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La gente svela l’origine irriverente e controversa di “buonanotte al secchio”, ignorando i puristi della lingua. L’origine e il significato dell’espressione in questione

Avete mai detto "se vabbè, bonanotte ar secchio"? Questa espressione romana è l’equivalente di dare l’ultimo saluto a un disastro imminente, e la sua storia è un mix di ruralità rozza e ironia popolare che farebbe sbellicarsi dalle risate anche i più seriosi. Scopriamo le origini di questo detto esilarante e un po’ sboccato, che ci ricorda quanto fossero duri – e divertenti – i tempi antichi! #BuonanotteAlSecchio #EspressioniItaliane #Roma #CulturaPopolare

Eh sì, “Buonanotte al secchio”, o meglio “buonanotte ar secchio”, è quell’espressione tipicamente romana che urla sconfitta totale, spesso preceduta da un “se vabbè” per rendere il tutto ancora più drammatico. Le sue radici affondano nella vita quotidiana dei contadini, un mondo di fatiche e sfortune che non si prendeva troppo sul serio.

Una teoria sensazionale, suggerita dal linguista Enzo Caffarelli, collega tutto al mondo rurale: immaginatevi i contadini che tirano su secchi d’acqua dai pozzi con corde malandrine. Se la corda si spezzava – e bang! – il secchio finiva irrecuperabile nel fondo, invocando un bel “buonanotte al secchio” per dichiarare la missione fallita in modo colorito e senza appello.

Ci sono perfino manoscritti del XVII secolo che raccontano di un contadino che, prima di chiudere la giornata, annotava: “Finisco di dar da mangiare agli animali e poi buonanotte (anche) al secchio!”, che in pratica significava “ora andiamo a dormire, a recuperare il secchio ci penso domani” (se non era troppo ubriaco o stanco, ovvio).

Altra ipotesi divertente e un filo politicamente scorretta? Il secchio come antico vaso da notte, prima che i bagni moderni salvassero il mondo dalla puzza. "Dare la buonanotte al secchio" poteva essere un saluto ironico per sperare di non doverlo usare di notte – insomma, una battuta grezza su abitudini che oggi ci farebbero arrossire.

E non dimentichiamo la poesia: nel 1886, Giggi Zanazzo la inserì nel suo poemetto "N’infornata ar Teatro Nazionale", scrivendo: “La regina dà ‘n pugno in d’uno specchio, cala er telone e bona notte ar secchio”. Simile a "buonanotte ai suonatori", significa fine di tutto, e questa frase è ancora viva nel chiacchiericcio quotidiano, specialmente al Sud e al Centro Italia, dove l’ironia regna sovrana!

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