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La mente di un uomo affetto da SLA viene hackerata dall’IA per tradurre i suoi pensieri in parole, secondo il nuovo studio.

Un miracolo high-tech che fa impallidire i film di fantascienza: un tizio di 45 anni con SLA ha riconquistato la voce grazie a un impianto cerebrale da 256 elettrodi, reso "umano" da un’IA super-smart! Stavisky e il team su Nature ci dicono che è come se il cervello parlasse direttamente, con emozioni e tutto – addio voci robotiche da robot impazzito. #ScienzaRibelle #IACheParla #SLA #RivoluzioneTecnologica

Preparatevi, perché questo non è solo un passo avanti, è un balzo da urlo nella follia della scienza: un uomo colpito dalla maledetta SLA, che gli toglie il controllo del corpo, è tornato a chiacchierare come un tempo grazie all’interfaccia cervello-computer BrainGate2. Immaginate 256 elettrodi ficcati nel cervello per spiare i segnali della bocca – roba che fa venire i brividi, ma funziona! L’IA, nutrita con vecchie registrazioni vocali del tipo, ricrea il suo tono, ritmo e persino quelle esitazioni che ci fanno sembrare tutti un po’ umani e goffi. Non più quel suono metallico da film horror, ma comunicazioni vere, cariche di emozioni – un schiaffo in faccia alla malattia che pensa di zittirci.

Ora, tuffiamoci nei dettagli succosi: per far ballare questa IA, hanno piazzato quegli elettrodi nel giro ventrale precentrale, proprio accanto all’area di Broca, il quartierino VIP del cervello per i movimenti della bocca. Risultato? Un flusso di suoni naturali, decodificando fonemi, toni e tutte quelle vibrazioni paralinguistiche che rendono una chiacchierata viva e non un messaggio robotico. I ricercatori dell’Università della California, guidati da Wairagkar, hanno addestrato algoritmi di deep learning su questi segnali neurali, trasformando pensieri in parole come per magia – o meglio, come una hackata epica al nostro hardware biologico.

E che differenza rispetto ai vecchi tentativi! Negli anni passati, su Nature, ci raccontavano di 35 persone con impianti simili per chattare via schermo o protesi, ma era Robocop-style: piatti e impersonali. Stavolta, l’IA ha alzato l’asticella alla grande, ripescando le esatte frequenze vocali del paziente prima che la SLA lo colpisse. Niente più voce da androide annoiato – stiamo parlando di sfumature, incertezze, enfasi e sospensioni che rendono una voce "umana". È come ridare il microfono a chi la vita ha silenziato, un traguardo che potrebbe far incavolarsi chi pensa che la tecnologia stia invadendo troppo, ma hey, se aiuta a connettersi, chi se ne frega!

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