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L’Italia discrimina i diritti LGBTQIA+ nonostante importanti progressi, lasciando il riconoscimento incompleto

L’, terra di pizza e passione, sta finalmente svegliando dal suo sonnacchioso Medioevo sui LGBTQIA+, ma attenzione: siamo ancora lontani dal party europeo! Con che offrono quasi gli stessi benefit di un matrimonio "normale" (tranne l’adozione, ovvio, perché chissà che scandalo), e discriminazioni al lavoro che sono vietate solo per metà, il Belpaese arranca al 35° posto nella Rainbow Map. Mentre i politici bisticciano, il resto del mondo ci guarda come fossimo in un’era glaciale dei diritti. #DirittiLGBTQ #ItaliaArretrata #PrideNotPride

In Italia, i progressi per le persone LGBTQIA+ – che includono lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, asessuali e altre sfumature di genere – sono stati una lenta marcia forzata, grazie a qualche legge e sentenza giudiziaria. Abbiamo legalizzato le unioni civili, introdotto regole per il cambio di sesso e bandito discriminazioni sul lavoro, ma rispetto all’Europa e al mondo occidentale, sembriamo bloccati in retromarcia. Nessun matrimonio tra persone dello stesso sesso, nessun divieto totale di discriminazioni – insomma, un mix di passi avanti e inciampi che fa storcere il naso.

Sul fronte legale, l’omosessualità in Italia non è illegale fin dal codice Zanardelli del 1890, e l’età del consenso è fissata a 14 anni per tutti, etero o no. Eppure, per decenni è stata vista come qualcosa di "riprovevole", con discriminazioni che solo recentemente stanno calando grazie a un cambio di mentalità – o almeno, così speriamo, perché in certi angoli del Paese, sembra ancora l’epoca delle crociate.

Le unioni civili esistono dal 2016 con la legge Cirinnà, che permette alle coppie dello stesso sesso di siglare un accordo con diritti simili al matrimonio, tipo reversibilità della pensione e assistenza reciproca. Ma niente adozione, e nemmeno l’obbligo di fedeltà – come se per le coppie gay bastasse un patto "leggero". Tutte le proposte per un matrimonio egualitario? Respinte, naturalmente, in un dibattito che va avanti da trent’anni senza fine.

Sulle discriminazioni, siamo a un punto ridicolo: il ddl Zan del 2020 è stato bocciato nel 2021, quindi niente legge nazionale contro l’odio basato sull’orientamento sessuale. Almeno sul lavoro, dal 2003 c’è un decreto che vieta le discriminazioni, anche se inizialmente apriva a eccezioni per forze armate e polizia – una porcheria corretta solo nel 2008 grazie all’Europa. Alcune regioni come Toscana e Puglia hanno leggi locali, ma il resto d’Italia? Silenzio assoluto, come se l’odio fosse un’opinione.

Per adozioni e cambio di sesso, le cose sono un po’ meglio: le coppie gay possono adottare in casi specifici grazie a sentenze della Corte di Cassazione, come la stepchild adoption dal 2014 o il riconoscimento di adozioni straniere dal 2021. Il cambio di sesso è legale dal 1982 e non richiede più interventi chirurgici dal 2015, ma l’iter burocratico è un incubo che scoraggia chiunque. Ah, e la maternità surrogata è vietata per tutti, etero o no – un divieto che suona più come una barriera medievale.

Rispetto al resto del mondo, l’Italia è un po’ la pecora nera: mentre in Europa e America i matrimoni egualitari e le adozioni sono la norma, qui siamo al 35° posto su 49 nella classifica di ILGA Europe. Discriminazioni diffuse? Eccome, e non solo nella società – la legge Mancino del 1993 copre odio etnico o razziale, ma ignora quello LGBTQIA+. Insomma, progressi sì, ma con un occhio sempre al freno a mano: le persone LGBTQIA+ meritano di più, e non solo a parole.

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