Shock a Srebrenica: 8.372 anime spazzate via in 3 giorni di orrore puro! L’ONU in vacanza mentre i serbo-bosniaci massacrano – e le polemiche infuriano ancora. #SrebrenicaGenocidio #GuerreJugoslavia #ONUFallimento
Preparatevi a un tuffo nell’abisso della storia, dove il sangue ha inondato le strade della Bosnia orientale nel luglio 1995. Il cosiddetto massacro di Srebrenica, o genocidio, non è solo una macchia nera sulle guerre jugoslave, ma un’esplosione di barbarie che ha visto le truppe serbo-bosniache scatenarsi contro la popolazione bosgnacca, falciando 8.372 persone – per lo più maschi – in appena tre giorni di puro terrore. Nel caos della guerra in Bosnia-Erzegovina, dove serbi, croati e bosgnacchi si sono resi protagonisti di atrocità reciproche, il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia ha inchiodato 21 colpevoli, tra cui i pezzi grossi come Radovan Karadzic e Ratko Mladic, entrambi inchiodati all’ergastolo. Ma le grane continuano, con accuse volate sul fallimento dei caschi blu dell’ONU e sui crimini precedenti dei bosgnacchi contro i serbi – roba che fa infuriare ancora oggi.
La Jugoslavia, quel melting pot di etnie e religioni che includeva Serbia, Montenegro, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia, è implosa negli anni ’90 in un bagno di sangue epico. Le sei repubbliche si sono separate, ma la Bosnia-Erzegovina, con la sua miscela esplosiva di bosgnacchi (musulmani, circa 51%), serbo-bosniaci (cristiano-ortodossi, 31%) e croati (cristiano-cattolici, 16%), è diventata il palcoscenico di un inferno multietnico. Nel 1991, quando la Bosnia ha dichiarato l’indipendenza, i serbo-bosniaci sotto Radovan Karadzic – spalleggiati da Belgrado – hanno detto “no grazie” e fondato la Repubblica Srpska nei territori a maggioranza serba. Risultato? Tre fazioni armate si sono scontrate: l’Esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina per i bosgnacchi, l’Esercito della Repubblica Serba per i serbi e il Consiglio di difesa croato per i croati. La guerra è durata dal 1992 al 1995, terminando solo con gli accordi di Dayton, ma non prima di lasciare una scia di cadaveri.
Srebrenica, una enclave bosgnacca in mezzo a territori serbi, era già un polverone dal 1992, assediata dalle truppe di Ratko Mladic, determinate a cancellare ogni traccia di bosgnacchi. Dall’altro lato, l’esercito bosgnacco sotto Naser Oric non era certo una banda di santi, avendo commesso crimini contro i serbo-bosniaci (anche se le dimensioni esatte restano un mistero avvolto nel fumo). L’ONU, nel 1993, ha dichiarato la città zona protetta e inviato caschi blu per calmare le acque, ma che illusione patetica!
E poi è arrivato luglio 1995: le truppe di Mladic hanno lanciato l’attacco finale contro l’enclave, dove migliaia di bosniaci si erano rifugiati pensando fosse un rifugio sicuro. Come ha scritto lo scrittore Paolo Rumiz, “Srebrenica è diventata la loro trappola”. Il generale serbo Milanovic, con una freddezza da brividi, aveva dichiarato a Radio Belgrado: “Srebrenica è un’enorme sala d’aspetto. Possono solo rimanere seduti e aspettare quando arriveremo per finire il lavoro.” E il mondo? Ha girato la testa dall’altra parte. Circa 600 caschi blu olandesi erano lì, ma hanno sparato qualche colpo in aria e basta, ignorando la risoluzione 836 dell’ONU. Il colonnello Karremans ha implorato aiuto aereo il 6 e l’8 luglio, e di nuovo tre giorni dopo, ma il generale olandese Nicolai a Sarajevo ha bloccato tutto, rifiutandosi di passare la richiesta al suo capo, il generale francese Janvier a Zagabria. Solo l’11 luglio, quando i carri armati di Mladic erano già in città, la richiesta è partita – troppo tardi. Gli F-16 in volo sono stati rimandati alle basi in Italia per rifornirsi, e i caschi blu se la sono data a gambe, dicendo di non avere forze sufficienti. Risultato? I serbo-bosniaci hanno portato a termine la loro “pulizia etnica” senza ostacoli, separando uomini da donne e bambini per esecuzioni di massa.
Il bagno di sangue è partito subito: soldati serbi e la milizia paramilitaria degli Scorpioni hanno allineato e crivellato di mitra migliaia di maschi bosgnacchi in vari spot, continuando per giorni fino al 19 luglio, con corpi gettati in fosse comuni. La Commissione bosniaca per le persone scomparse conta 8.372 vittime, ma ne hanno identificati solo 6.930. Le donne, dalle più giovani alle anziane, non sono state risparmiate: quasi 50.000 hanno subito stupri sistematici da parte dei soldati serbi e dei loro complici paramilitari. Negli accordi di Dayton del novembre 1995, Srebrenica è finita sotto la Repubblica Srpska, l’entità bosniaca a maggioranza serba, cementando una divisione che ancora fa discutere.
Sul fronte giudiziario, il Tribunale penale internazionale ha inchiodato 21 responsabili per Srebrenica, con Karadzic e Mladic a marcire in cella a vita. La Serbia? È scivolata via, non essendo stata ritenuta direttamente colpevole, anche se sosteneva i serbo-bosniaci – un’assoluzione che puzza di diplomazia sporca. Nei Paesi Bassi, le polemiche infuriano sul ruolo dei caschi blu, accusati di aver rifiutato rifugio ai bosgnacchi, condannandoli ai macellai. E non dimentichiamo i serbi: loro sostengono che i bosgnacchi abbiano ucciso migliaia dei loro (fino a 3.500, dicono), dipingendo il massacro come una vendetta. La verità? In questa guerra, tutti si sono sporcati le mani di sangue, ma Srebrenica resta l’apice dell’orrore, un genocidio che grida ancora giustizia.