L’uranio impoverito, pur essendo meno radioattivo rispetto all’uranio naturale, ha scatenato allarmi globali per i suoi impieghi militari, i possibili effetti devastanti sulla salute umana e le gravi conseguenze ambientali. Come sottoprodotto del processo di arricchimento dell’uranio, dove si isola l’isotopo U-235 per reattori nucleari o armi atomiche, questo materiale lascia dietro di sé una minaccia insidiosa: una bassa radioattività combinata con una tossicità chimica elevata e una densità straordinaria che lo rende un’arma dalle potenzialità letali.
Proprietà chimico-fisiche dell’uranio impoverito
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L’uranio impoverito è dominato dall’isotopo uranio-238, con un contenuto ridotto di uranio-235 rispetto all’uranio naturale, rendendolo incapace di sostenere reazioni nucleare a catena ma ancora portatore di una radioattività residua. Fisicamente, è un metallo pesante e denso, con una densità di circa 19.1 g/cm³, superiore al piombo, che gli conferisce una capacità penetrante micidiale. Chimicamente, forma ossidi come UO₂ e U₃O₈ che, in caso di impatti, si disperdono come polveri tossiche, minacciando l’ambiente e la salute con effetti accumulati nel tempo.
Rischi per la salute e per l’ambiente
I pericoli dell’uranio impoverito si manifestano attraverso la sua tossicità chimica, simile a quella di metalli pesanti come piombo e cadmio, che può danneggiare reni, sistema nervoso e altri organi. La radioattività residua, emettendo radiazioni alfa, pone rischi se inalata o ingerita, con potenziali legami a tumori e malattie respiratorie. Ambientalmente, contamina suoli e acque, persistendo per decenni e alterando ecosistemi, come documentato in aree di conflitto con livelli anomali di uranio, alimentando dibattiti su bonifiche e normative internazionali.