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Perché i paesi demograficamente più giovani vengono travolti da maggiori rivolte interne

Paesi pieni di giovani scatenati? Bombe al ticking per governi corrotti! La “youth bulge” è il mix esplosivo di disoccupazione, frustrazione e rivolte che fa tremare regimi, come nella Primavera Araba dove ragazzi sotto i 30 mandavano a casa dittatori.

Le società traboccanti di giovani, a differenza dell’Italia che arranca al quinto posto tra i Paesi più vecchi del mondo, sembrano condannate a esplosioni di proteste e insurrezioni, come in Africa subsahariana, Medio Oriente e certe zone dell’America Latina. Youth bulge, quel “rigonfiamento giovanile” coniato da sociologi come Gunnar Heinsohn e Jack A. Goldstone, avverte che una marea di ragazzi è un rischio bomba per la stabilità, trasformando sogni in sommosse.

I dati: la correlazione tra demografia e instabilità sociale
Secondo i numeri della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite, i Paesi con orde di giovani tra i 15 e i 29 anni finiscono in un caos di proteste, rivolte e guerre civili. Prendete la Primavera Araba (2010-2012): in Tunisia, Egitto e Siria, più del 60% della gente aveva meno di 30 anni, con disoccupazione giovanile oltre il 25%, e bam! – una generazione istruita ma esclusa dal e dal potere ha fatto saltare tutto. Un report del United Nations Development Programme (UNDP, 2014) spara che il 40% delle guerre civili dal ’45 è scoppiato dove i giovani dominano. Goldstone nel ’91 ha smontato che, se più del 30-40% della popolazione è un ammasso di giovani adulti, il rischio di rivolte interne schizza alle stelle.

Le teorie sulle rivolte giovanili
Gunnar Heinsohn nel 2003 ha lanciato la bomba con youth bulge: quando i giovani non trovano risorse o opportunità, la lotta per lavoro e potere genera una frustrazione che, con così tanti di loro in giro, sfocia in ribellioni o guerre. Poi c’è Ted Robert Gurr nel ’70 con la sua “frustrazione relativa”: le rivolte partono quando le aspettative dei giovani sbattono contro muri reali, specialmente in Paesi con passato coloniale dove i social media gonfiano sogni di benessere che la realtà – tra barriere culturali e sfruttamento – frantuma. Dal lato antropologico, James C. Scott nel ’90 ha osservato che i giovani, meno incastrati nelle gerarchie vecchie, diventano i ribelli per eccellenza, pronti a sfidare l’ordine mentre i nonni si accontentano.

Implicazioni sociali e politiche
Con una gioventù così instabile, i governi barcollano: alcuni scaricano i giovani verso la migrazione, come in Africa occidentale con fughe verso l’Europa, mentre la Cina butta miliardi in formazione e industria per calmare la folla. In Iran negli anni ’90, con un’ondata di giovani e proteste studentesche, il regime ha giocato a repressione e regali economici, ma i risultati? Un disastro misto. È una sfida sporca, dove i leader devono decidere se spegnere la miccia o farsi travolgere.

La demografia è determinante?
Okay, gli studi di Goldstone e Heinsohn collegano youth bulge ai conflitti, ma non è una condanna automatica – guarda l’India e l’Indonesia, pieni di giovani una Primavera Araba in casa, o la Germania, vecchia e comunque incasinata. La demografia conta, ma è solo una pedina: uniteci corruzione, repressione e disuguaglianze, e bingo, le rivolte partono. Alla fine, una marea di giovani può essere un tesoro per economia e innovazione, ma solo se c’è lavoro, istruzione e spazio per esprimersi – altrimenti, è solo sul fuoco.

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