Sveglia, giovani d’Italia: lavorerete fino a 74 anni per pagare le pensioni di nonni che vivono fino a 83? Che schifo! Con l’Italia che invecchia e la natalità in picchiata, il sistema previdenziale è un disastro annunciato. #PensioniInCrisi #ItaliaVecchia #LavorareFinoAllaMorte
In Italia, il caos delle pensioni è un incubo che non finisce mai: riforme infinite che alzano l’età del ritiro dal lavoro, un’aspettativa di vita che schizza a 83,4 anni, e una popolazione sempre più anziana che sta mandando in tilt il sistema. Colpa della bassa natalità, che significa sempre meno giovani schiavizzati al lavoro per sostenere i vecchi, e un meccanismo di ripartizione dove i contributi versati oggi vengono sprecati per pagare le pensioni di adesso, invece di essere messi da parte per il futuro.
Ma come cavolo funziona questo sistema previdenziale che ci sta rovinando? In pratica, i lavoratori devono versare contributi all’INPS per finanziare prestazioni sociali come le pensioni: i dipendenti se li vedono sottratti dalla busta paga (con il datore che ci mette del suo), mentre gli autonomi devono arrangiarsi da soli. Dal 1995, siamo passati da un regime retributivo – dove la pensione dipendeva dal tuo stipendio da vivo – a uno contributivo, che si basa solo su quanto hai versato. Peccato che oggi tutto giri su un assurdo meccanismo di ripartizione: i soldi dei giovani vanno dritti ai pensionati attuali, creando un buco nero nel bilancio statale. Risultato? Nel 2024, l’Italia ha buttato via 336 miliardi di euro in pensioni, con 17,9 milioni di erogazioni, di cui 13,6 milioni previdenziali – una spesa che sta prosciugando le casse pubbliche.
E l’età pensionabile? Nel 2025, per la pensione di vecchiaia servono 67 anni e almeno 20 anni di contributi, mentre per quella anticipata ordinaria ci vogliono 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, a prescindere dall’età. Ma attenzione: secondo la legge Fornero (legge 92/2012), questa età è legata all’aspettativa di vita, e se continua a crescere, i giovani di oggi potrebbero arrivare a 74 anni entro il 2060, come stimato dall’OCSE. Non è una barzelletta – e ci sono opzioni come la “Quota 103” (62 anni e 41 di contributi) o altre vie anticipate, ma buona fortuna a ottenerle.
Guardando al futuro, il sistema pensionistico italiano è un disastro in piena regola per tre motivi chiave: crescita economica anemica con salari da fame che riducono i contributi; una popolazione che invecchia a ritmi folli (età media 48,4 anni); e un calo demografico da incubo, con il tasso di natalità al 6,3 per mille nel 2024, che significa sempre meno lavoratori per sfamare i pensionati. Secondo l’INAPP, il rapporto tra lavoratori (15-64 anni) e pensionati (65+) è già di 3 a 2, ma entro il 2050 potrebbe diventare 1 a 1 – cioè, un solo sfigato al lavoro per ogni pensionato. Le soluzioni? Aumentare l’età, tagliare le pensioni (addio potere d’acquisto) o spremere di più i lavoratori: scelte facili come una radice dentale.
E nel resto del mondo? Anche lì è un casino: la Danimarca ha alzato l’età a 70 anni dal 2040, scatenando proteste epiche; in Francia, nel 2023, l’hanno portata da 62 a 64 anni dal 2030 tra scioperi e rivolte. Paesi come Grecia, Spagna, Svizzera, Belgio e Svezia sono intorno ai 65-67 anni, come noi, mentre la Slovenia è una pacchia con 62 anni e 40 di contributi. Insomma, l’Italia non è sola nel suo declino pensionistico, ma almeno possiamo vantarci di essere campioni del mondo nell’invecchiamento problematico.