La fotometria di fiamma è una tecnica analitica ampiamente impiegata per identificare e quantificare ioni di metalli, in particolare sodio, potassio e metalli alcalino-terrosi. Questa metodologia, conosciuta anche come spettroscopia di emissione di fiamma, ha le sue origini nel lavoro del mineralogista tedesco Georg Agricola. Nel 1556, Agricola descrisse un metodo per analizzare qualitativamente minerali attraverso l’osservazione del colore dei fumi prodotti.

Origini storiche della fotometria di fiamma

Il contributo di Georg Agricola trovò validazione scientifica solo secoli più tardi, con la scoperta delle particelle atomiche e della quantizzazione dell’energia. Nel 1873, Paul Champion, Henri Pellet e Charles Grenier perfezionarono le tecniche analitiche, creando un metodo quantitativo per l’analisi del sodio. Questo strumento rappresentò la prima realizzazione progettata di proposito per la raccolta di dati quantitativi, segnando l’avvio della fotometria di fiamma.

Funzionamento della spettrofotometria di fiamma

La spettrofotometria di fiamma si basa sull’emissione di luce da parte di atomi di vari metalli quando vengono energizzati, ad esempio, tramite il calore di una fiamma. Ogni elemento emette luce a una lunghezza d’onda specifica, la quale deve essere scelta in base alla sua intensità e alla ridotta interferenza di altre lunghezze d’onda.

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Il principio fondamentale della fotometria di fiamma si rifà al modello atomico di Bohr. Quando un atomo o un ione riceve energia — in questo caso, tramite calore — gli elettroni si spostano a uno stato eccitato. La riemissione dell’energia avviene quando gli elettroni ritornano allo stato fondamentale, generando radiazione che può risultare visibile. Ogni metallo presenta un colore distintivo, ad esempio, il litio produce un rosso, il sodio un giallo e il potassio un viola. La luminosità della radiazione emessa è direttamente proporzionale alla quantità di metallo presente nel campione analizzato.

Per eseguire l’analisi, si utilizza un fotometro a fiamma, composto da diversi elementi chiave: una sorgente di fiamma, un nebulizzatore, un monocromatore, filtri selettivi e un fotorilevatore. La fiamma genera il calore necessario per eccitare gli atomi, mentre il nebulizzatore trasforma il campione liquido in un aerosol fine. Il monocromatore permette di isolare la lunghezza d’onda desiderata, migliorando l’accuratezza delle misurazioni. Infine, il fotorilevatore converte la radiazione in un segnale elettrico proporzionale all’intensità della luce.

Procedura per l’analisi

Il primo passo consiste nella preparazione della soluzione madre standard e del campione da analizzare. Nel caso in cui la concentrazione del campione sia troppo elevata, è necessario procedere a una diluizione. Le soluzioni standard, con concentrazioni note, vengono create per calibrare il sistema. Successivamente, si regola la fiamma del fotometro per ottimizzarne le condizioni, assicurandosi che la temperatura sia adeguata per una corretta atomizzazione.

Dopo aver stabilizzato la fiamma per circa cinque minuti, si inserisce il filtro specifico. Le misurazioni dell’intensità della luce emessa vengono quindi correlate con la concentrazione del metallo nel campione, permettendo la costruzione di una curva di calibrazione. Questa curva è fondamentale per determinare, tramite interpolazione, la concentrazione dell’analita nel campione esaminato.

Per approfondire la letttura

Fotometria di fiamma : funzionamento e analisi

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