Metodi e Condizioni della Gravimetria
La gravimetria costituisce un metodo analitico quantitativo, utilizzato per misurare la massa o una variazione di massa. Nonostante siano emerse nuove tecniche analitiche, la gravimetria rimane un metodo valido per specifiche analisi.
La base della gravimetria può essere meglio compresa attraverso un esempio pratico. Ad esempio, per determinare la quantità di un sale di piombo solubile in una soluzione, è necessario convertire l’analita in una forma solida. Questo può essere ottenuto mettendo in soluzione due elettrodi di platino e applicando ad essi una opportuna differenza di potenziale per un determinato periodo di tempo.
Inoltre, l’analita può essere determinato anche indirettamente. Ad esempio, la concentrazione dello ione fosfito può essere determinata mediante la sua reazione con ioni cloruro, che permette di dedurne la quantità.
Classificazione dei Metodi Gravimetrici
I metodi gravimetrici si suddividono in tre categorie principali:
1. Gravimetria per precipitazione: ad esempio, quando si fa precipitare uno ione presente in una soluzione in presenza di un altro componente.
2. Elettrogravimetria: l’analita viene depositato su un elettrodo.
3. Gravimetria per volatilizzazione: un componente è determinato sfruttando la volatilità di uno dei suoi componenti e quella di un suo derivato.
Condizioni e Fattori
Le condizioni necessarie per effettuare un’analisi gravimetrica includono che la reazione e la stechiometria della reazione siano note e che la reazione avvenga quantitativamente. Inoltre, il precipitato che si forma deve essere poco solubile, avere elevata purezza e deve essere facilmente separabile.
Un importante fattore che influenza la solubilità del precipitato è il pH. Bassi valori di pH possono aumentare la solubilità del precipitato, mentre valori superiori a una certa soglia possono non influenzarla.
Precipitazione e Sovrasaturazione
La formazione di un precipitato in una soluzione inizia con la formazione di germi cristallini, su cui altri ioni si depositano, formando piccoli cristalli che successivamente precipitano dalla soluzione.
Spesso si verificano fenomeni di sovrasaturazione, in cui la soluzione è più concentrata di quanto permetterebbe la saturazione. In questi casi, non avviene immediatamente la precipitazione, ma sono necessarie condizioni specifiche affinché avvenga.
La diversa solubilità dei cristalli in funzione della loro grandezza deriva dalla tendenza dei solidi ad assumere la superficie minima. Questa tendenza è soddisfatta con l’ingrossamento dei cristalli più grandi a scapito di quelli più piccoli.Come ottenere cristalli ben formati da una precipitazione di ioduro di piombo
Per ottenere cristalli ben formati di ioduro di piombo (II) da una soluzione di cloruro di piombo (II) PbCl2, è necessario aggiungere lentamente e continuamente una soluzione diluita di ioduro di sodio NaI, agitando costantemente. Già alle prime gocce si raggiunge il prodotto di solubilità dello ioduro di piombo PbI2, ma non precipita a causa della sovrasaturazione. Continuando l’aggiunta di NaI, si formano molti piccoli cristalli che precipitano ingrossando e formando un precipitato ben formato di cristalli gialli facilmente filtrabili. La reazione netta di precipitazione si scrive come Pb2+(aq) + 2I-(aq) → PbI2(s).
Tuttavia, se la velocità di aggiunta della soluzione di NaI è superiore alla velocità con cui PbI2 può precipitare, si formeranno continuamente altri germi, dando luogo a un precipitato estremamente suddiviso, fioccoso e apparentemente amorfo. Lo stesso risultato si otterrà se le soluzioni dei reagenti sono molto concentrate.
Per ottenere cristalli più grandi, si può lasciare il precipitato “a riposo” nell’acqua madre a moderato calore, in un processo noto come “digestione”. In questo modo, i cristalli più piccoli si ridissolvono per depositarsi sui cristalli più grandi tramite un processo simile alla distillazione. È importante notare che i precipitati difficilmente si separano puri a causa della coprecipitazione e postprecipitazione.
La coprecipitazione può avvenire per adsorbimento di ioni estranei sulla superficie del precipitato esposta alla soluzione, rendendo i precipitati molto fini, microcristallini o amorfi e quindi più inquinati. Allo stesso modo, l’occlusione di ioni estranei durante il processo di ingrossamento delle particelle primarie del precipitato può avvenire, dipendendo dalla velocità di crescita dei cristalli.
Un’altra causa di inquinamento dei precipitati è la postprecipitazione, che avviene quando si forma un altro composto, generalmente non molto solubile e avente uno ione comune con il primo precipitato, sulla superficie del primo precipitato. Ad esempio, durante la precipitazione dell’ossalato di calcio in presenza di magnesio, la superficie dell’ossalato di calcio può postprecipitare il sale di magnesio, inquinando ulteriormente il precipitato.
In breve, per ottenere cristalli ben formati da una precipitazione, è importante controllare attentamente la velocità di reazione, la solubilità e il processo di separazione dei cristalli per ridurre al minimo il fenomeno di coprecipitazione e postprecipitazione.