Rivelatori di energia radiante: curva H e D
I rivelatori di energia radiante convertono il flusso radiante in un segnale elettrico legato alla radiazione incidente sulla superficie di un sensore. Le radiazioni elettromagnetiche e le loro intensità possono essere rivelate tramite fenomeni indotti dalla radiazione ovvero attraverso effetti chimici, effetti fotoelettrici, produzione di calore o per diretta induzione elettromagnetica.
Metodi fotochimici e fotografici
Un metodo assoluto per la rivelazione di una radiazione elettromagnetica e della sua intensità è fornito da una qualunque reazione fotochimica di cui si conosca la resa. Infatti la resa della reazione dipende dal numero di fotoni incidenti della radiazione e quindi dell’intensità. Tuttavia, un metodo fotochimico è capace di dare una risposta di tutta la radiazione incidente per un certo periodo di tempo senza nessuna valutazione di possibili fluttuazioni di intensità in periodi di tempo più piccoli. Un particolare aspetto dei metodi fotochimici che trova vaste applicazioni è dato dai metodi fotografici. Essi sfruttano il fatto che radiazioni sufficientemente energetiche sono capaci di dissociare gli alogenuri di argento:
AgBr → Ag + Br
con il risultato di avere un deposito di argento metallico in alcune zone di un film o di una lastra opportunamente sviluppati. La quantità di argento metallico depositatasi in un punto può essere misurata attraverso un densitometro. Esso misura l’intensità della luce trasmessa attraverso il film o la lastra sviluppata rispetto all’intensità di luce incidente.
Curva H e D
La determinazione e valutazione fotografica è spesso soggetta a notevoli limitazioni a causa della non linearità della risposta dell’emulsione fotografica rispetto alla intensità dell’energia raggiante ricevuta. Esiste tra queste grandezze una relazione complessa che può essere visualizzata attraverso la curva H e D (da Hurter e Drieffeld) in cui sull’asse delle ascisse sono riportate i logaritmi delle esposizioni e sull’asse delle ordinate la densità. L’esposizione è la quantità totale di energia raggiante ricevuta ovvero il prodotto del potere raggiante moltiplicato per il tempo di esposizione. La densità è definita come il logaritmo decimale del rapporto tra la luce incidente (Po) e quella trasmessa (Pt):
D = log10 Po /Pt
Quindi, ad esempio, se la luce incidente vale 10 e quella trasmessa è uguale a 5 si ha:
D = log10 = 10/5 = 0.3. La curva H e D mostra chiaramente che una buona linearità esiste solo in un campo ristretto di esposizione, infatti non presenta un andamento rettilineo per radiazioni poco e molto intense quindi il tratto rettilineo rappresenta l’unica zona di lavoro effettiva della curva. Per questo motivo è spesso difficile far uso di metodi fotografici in assoluto, ma si preferisce tarare con opportuni standard e fare misure di confronto con essi. La rivelazione fotografica richiede radiazioni sufficientemente energetiche e trova applicazione nel campo del visibile, ultravioletto e particolarmente nella regione dei raggi X.
Fototubi nel vuoto
Nel classico effetto fotoelettrico i fotoni dotati di un’energia superiore ad una ben definita soglia limite sono capaci, quando arrivano su una superficie metallica, di provocare l’emissione di elettroni dotati di un’energia cinetica che dipende sia dall’energia della radiazione incidente sia dalla natura del metallo la quale controlla il valore della soglia limite dell’energia. Questo principio è sfruttato in tubi fotoemissivi mantenuti sotto vuoto o riempiti di gas. Questi tubi sono costituiti da due elettrodi sottoposti a una differenza di potenziale tramite una sorgente esterna e posti in un involucro trasparente; il catodo è generalmente costituito da un foglio di metallo costruito in maniera tale da raccogliere la radiazione incidente. Esso è ricoperto di un materiale caratterizzato dalla tendenza ad emettere elettroni per bombardamento fotonico. Nel fotocatodo opaco lo strato è spesso e gli elettroni sono emessi nella stessa direzione da cui arriva la radiazione. Nel fotocatodo trasparente sono emessi nell’altra direzione. L’anodo è costituito da un filo metallico che serve a scaricare gli elettroni emessi per effetto fotoelettrico. I tubi a fotoemissione trovano applicazione nel campo del visibile e del vicino ultravioletto.
Fototubi moltiplicatori
Tra i rivelatori di energia radiante vi sono i fototubi moltiplicatori. Hanno una particolare geometria operanti nel vuoto e costruiti in modo da ottenere in un solo tubo una amplificazione del segnale elettrico di parecchi milioni di volte per mezzo di un processo di emissione secondaria. Gli elettroni sono emessi da un catodo come in un normale fototubo, per effetto fotoelettrico. Tuttavia sono poi inviati contro una seconda superficie più sensibile (Cu-Be, Cs-Sb) detta dinodo mantenuta a un potenziale più positivo. Un elettrone incidente su tale superficie causa per urto l’emissione di molti elettroni secondari che sono a loro volta accelerati ed inviati ad un altro dinodo e così via. Questo processo viene ripetuto 10-15 volte per dare un’amplificazione totale di 2^10- 3^10 volte. I fototubi moltiplicatori sono usati negli spettrofotometri.