Fuochi fatui: l’origine scientifica e le teorie leggendarie
I fuochi fatui, citati nella canzone “Un chimico” di Fabrizio De André, sono oggetto di leggenda e mistero dovuto alla loro natura enigmatica. Si tratta di pallide luci a forma di fiammella di vario colore osservabili di notte o al crepuscolo presso paludi, acquitrini e anche nei cimiteri. In passato, si era convinti che fossero le manifestazioni delle anime dei defunti, spiriti malvagi o anche anime protettrici. Tuttavia, la prima teoria scientifica riguardante i fuochi fatui è dovuta ad Alessandro Volta nel 1764, che pose l’attenzione sul fenomeno elettrico invece che sulla combustione di vapori.
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L’origine dei fuochi fatui e le teorie scientifiche
Con il progresso della chimica, si è compreso che i fuochi fatui si sviluppano dalla decomposizione di materiale organico, attraverso un processo noto come decomposizione aerobica. Le piante e gli animali, composti principalmente da carbonio, idrogeno e ossigeno, producono acqua, anidride carbonica e calore in tale processo. Tuttavia, nelle zone paludose avviene una decomposizione anaerobica, in cui i batteri producono metano, biossido di carbonio, azoto, fosfine e difosfano. Quando questi gas risalgono dal terreno e si immettono nell’atmosfera, il metano si mescola con le fosfine, generando una luce blu. Questa combinazione può auto-infiammarsi, producendo una nuvola bianca densa che può infiammare altre sostanze.
La ricerca sulla origine dei fuochi fatui
Sebbene il fenomeno sia difficile da replicare in laboratorio, alcuni chimici italiani hanno tentato di riprodurlo ottenendo una chemiluminescenza, l’emissione di radiazione elettromagnetica che può accompagnare una reazione chimica. Questo suggerisce che potrebbe trattarsi più di chemiluminescenza della fosfina che di combustione vera e propria.
In conclusione, i fuochi fatui, sebbene abbiano ispirato leggende e superstizioni, trovano la loro origine in processi chimici ben definiti e possono essere razionalmente spiegati grazie alla scienza.