Biorisorse: Innovazione sostenibile attraverso l’utilizzo di resine derivanti dai materiali biologici

Le bioresine sono materiali a base biologica derivati ​​da risorse vegetali che sono rinnovabili, altamente disponibili e sostenibili. Pertanto, le bioresine sono resine derivate da fonti biologiche come oli vegetali caratterizzati da biodegradabilità, bassa tossicità, punti di infiammabilità elevati (>300 °C) e sono considerati sostenibili invece che da prodotti petrolchimici.

Nel contesto di una società in continua crescita e di una scarsità di risorse non rinnovabili, oltre all’impatto ambientale delle materie plastiche tradizionali, il rilascio di gas serra e sostanze nocive durante il loro ciclo di vita, e l’accumulo di rifiuti al termine del loro utilizzo, la ricerca si è indirizzata verso nuove alternative basate su materie prime rispettose dell’ambiente e rinnovabili.

Le bioresine sono polimeri ottenute da colture agricole rinnovabili e sostenibili, nonché da rifiuti agricoli residui. Il mais, lo zucchero e le risorse forestali sono esempi di colture agricole, mentre la paglia di riso, i ritagli di vite, le bucce di mais e la bagassa di canna da zucchero sono esempi di rifiuti agricoli.

Nella formulazione di bioresine gli oli vegetali sono preferiti dall’industria perché sono utilizzati nella preparazione di leganti polimerici per formulazioni di rivestimento, materiali per pavimentazioni e applicazioni di resine, rispetto alla cellulosa, che manca di applicazioni nel campo dei rivestimenti polimerici.

Bioresine epossidiche

Tra le bioresine quelle epossidiche con strutture altamente reticolate, proprietà meccaniche superiori ed elevata stabilità termica, chimica e dimensionale costituiscono un traguardo notevole della ricerca. Le bioresine epossidiche hanno, come quelle tradizionali, applicazioni nel campo delle vernici e dei rivestimenti, nell’elettronica, compositi, adesivi e sigillanti oltre che consumo nell’edilizia, come materiali da costruzione e macchinari, turbine eoliche e mezzi di trasporto, compresi componenti per l’industria aerospaziale.

Circa il 90% delle resine epossidiche disponibili in commercio sono ottenute dalla reazione tra l’epicloridrina tossica e derivata dal petrolio e il bisfenolo A che può causare disturbi endocrini e metabolici per ottenere il principale precursore, il bisfenolo A diglicidil etere.

Bioresine epossidicheBioresine epossidiche

Per l’ottenimento di bioresine epossidiche si utilizzano oli vegetali come quelli derivanti da soia, semi di lino, colza, girasole e karanja. La presenza di numerosi siti di insaturazione all’interno delle catene di trigliceridi aprono possibilità per la loro modifica chimica e l’utilizzo come precursori in materiali multifunzionalizzati.

Una di queste possibilità è l’ottenimento di derivati ​​epossidati che, a loro volta, possono essere utilizzati come substrati per la reazione di reticolazione con diverse sostanze indurenti naturali, come le diammine, i diacidi, polifenoli come  lignina e tannini, o composti aromatici come vanillina ed eugenolo, da cui si formano bioresine termostabili.

Gli oli vegetali possono essere modificati chimicamente attraverso un processo di epossidazione per introdurre gruppi funzionali epossidici che prevede tipicamente l’uso di un perossiacido o di un perossido per convertire i doppi legami carbonio-carbonio presenti negli oli vegetali in gruppi funzionali epossidici aggiungendo un ponte di ossigeno attraverso il doppio legame.

Vi sono, tuttavia mentre sono anche altri metodi di epossidazione disponibili, come l’epossidazione catalizzata da metalli con perossido di idrogeno e l’epossidazione chemo-enzimatica. La lignina, un polimero fenolico complesso che si trova naturalmente nel legno e in altri materiali di origine vegetale, può essere modificato chimicamente per produrre bioresine epossidiche.

Bioresine termoplastiche

Tra le bioresine termoplastiche vi è l’acido polilattico che è un poliestere alifatico costituito da acido lattico (acido 2-idrossipropionico) derivante da fonti di origine vegetale come mais, grano o barbabietola. E’ un polimero termoplastico biodegradabile ovvero si decompone grazie a un’attività biologica e ai mutamenti della sua struttura chimica e compostabile. Se esposto a determinate condizioni, infatti, si decompone non lasciando alcun residuo visibile o tossico.

E’ inoltre biocompatibile in contatto con tessuti viventi ed è quindi adatto per applicazioni biomedicali come impianti, suture e capsule per i farmaci. L’acido polilattico, a seconda della sua densità, è usato per articoli monouso come piatti, posate, bicchieri, flaconi, bottiglie e buste di plastica; in fibre è utilizzato come materiale di riempimento per cuscini, materassi e piumoni ma anche in tessuti e nell’abbigliamento sportivo mentre in schiuma è usato come riempitivo strutturale.

PHAPHA

Tra le bioresine termoplastiche vi sono i poliidrossialcanoati, polimeri naturali sintetizzati da numerosi batteri come riserva energetica e presenti sotto forma di granuli nel citoplasma cellulare. I poliidrossialcanoati sono poliesteri biologici che sono prodotti in particolari condizioni quali l’assenza di azoto, fosforo e zolfo e in eccesso di carbonio.

La loro elevata biodegradabilità rende questi composti oggetto di studio potendo rappresentare potenziali sostituti di polimeri termoplastici di origine sintetica. Questa proprietà, unitamente alla possibilità di ottenere i PHAs da fonti rinnovabili presenta notevoli vantaggi. Infatti questi materiali non sono accumulati nell’ambiente al contrario dei polimeri sintetici ottenuti a partire dal petrolio e non biodegradabili.

La produzione industriale dei poliidrossialcanoati è basata sulla fermentazione di colture microbiche pure su substrati quali zuccheri come il glucosio, o composti contenenti carboidrati come il mais. A causa dei costi elevati di produzione si sta affermando l’uso di colture miste che abbatte la gran parte dei costi di processo, quali la selezione di microrganismi e del loro substrato di crescita.

L’impiego di questi materiali comporta un duplice vantaggio: da un lato il poter utilizzare un substrato a basso costo e rinnovabile, per la produzione dei PHAs, dall’altro la riduzione parziale o totale di scarti industriali che comportano una voce di spesa consistente per il loro smaltimento, andando così a gravare sui costi di produzione.

amido termoplasticoamido termoplastico

Tra le bioresine termoplastiche vi è l’amido termoplastico che ha una elevata capacità filmogena, cioè è in grado di formare pellicole omogenee e trasparenti, con proprietà barriera per l’ossigeno, l’anidride carbonica o i lipidi. L’amido termoplastico può essere riscaldato, riformato e raffreddato numerose volte per formare una varietà di prodotti in plastica utilizzando gli stessi metodi esistenti per la plastica tradizionale.

Se miscelato con altri polimeri, naturali o sintetici, le sue proprietà possono essere adattate a un’ampia gamma di applicazioni. Può essere utilizzato anche nei processi di plastificazione esistenti e nelle apparecchiature progettate per polimeri sintetici, come estrusione, stampaggio a iniezione e soffiaggio.

Presenta, tuttavia, alcuni svantaggi in quanto naturalmente idrofilo e pertanto altamente solubile in acqua ed inoltre, raffreddandosi, assume una struttura più cristallina che provoca fragilità e scarse proprietà meccaniche e viene spesso miscelato con altri polimeri per controllarne e migliorarne le proprietà.

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