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ChatGPT viene preferito alle sessioni con psicologi per le confidenze: il motivo dietro questa tendenza

Giovani stanno scaricando ChatGPT come il loro nuovo confidente personale, preferendolo ai terapisti umani che "sparlano" e stressano! Questa follia tech sta trasformando la solitudine in un chat robotico, dove l’IA elude giudizi scomodi e dà risposte come zucchero – ma siamo sicuri che non sia solo una bugia digitale? #ChatGPTTerapia #IASupportoEmotivo #SolitudineVirale

È una tendenza esplosiva: i giovani si affidano sempre più a chatbot come ChatGPT per supporto emotivo e psicologico, trattandolo come uno spazio di ascolto comodo e senza drammi. A differenza di quei terapisti umani che ficcano il naso con opinioni scomode, l’IA non ha memoria personale e non ti giudica – solo risposte istantanee, sempre disponibili, perché chi ha per relazioni complicate oggigiorno? Questo fenomeno fa sorgere domande toste: come sta stravolgendo le forme della cura, il ruolo degli "esperti" e il nostro bisogno disperato di connessioni vere in un mondo di emoji e algoritmi. Cosa significa affidarsi a un algoritmo per il nostro "sé" emotivo? È un sintomo di come gestiamo la sofferenza oggi – in modo veloce, isolato e decisamente tecnologico.

ChatGPT come psicoterapeuta: un casino nella relazione d’aiuto. La terapia tradizionale si basa su roba classica come fiducia, empatia e quel tocco umano – pensate a Carl Rogers, che giurava che è la relazione vera a fare la magia. Ma ora? Un algoritmo fredda il tutto: interazioni immediate, senza deviazioni, sempre online per un effetto rassicurante che suona figo ma rischia di sterilizzare l’aspetto emotivo reale. Anthony Giddens parlava di “fiducia astratta” per descrivere come ci affidiamo a sistemi che non capiamo, tipo banche o aerei – e bingo, è lo stesso con l’IA! Eva Illouz sostiene che la psicologia è diventata una lingua culturale, e usare ChatGPT si inserisce nella "cultura dell’automiglioramento" dove ogni problema emotivo è un’opportunità per fixarci da soli, con tool tecnologici facili e standardizzati. L’IA? Non è una “minaccia”, solo l’ultima evoluzione di una società che urla risposte rapide e personalizzate, anche se significa delegare la nostra anima a un bot.

Soggetti soli in cerca di ascolto. Ecco la cruda verità: rivolgersi a un chatbot rivela una solitudine epica, normalizzata dall’individualismo neoliberale, dove curarsi è un fai-da-te. Ulrich Beck definiva “individualizzazione” una società dove tutti affrontano le crisi da soli, e ChatGPT calza a pennello come strumento di auto-aiuto tech. Nikolas Rose chiama tutto questo “psicopolitica”: misuriamo il nostro valore basato su emozioni e produttività, come se fossimo app da ottimizzare. Risultato? ChatGPT è uno specchio digitale che ti fa sentire ascoltato, ma ti spinge a monitorare le tue emozioni come un gioco – ideale per una generazione che evita il supporto umano per paura di stigma o fatica. Come scrive Byung-Chul Han, parlare non è solo sfogarsi; è confermare che stiamo “funzionando”. Peccato che, in questo caos, finiamo per cullarci in risposte facili, ignorando quanto siamo davvero isolati.

Perché ci rivolgiamo a un algoritmo per le nostre fragilità. ChatGPT è "più sicuro" perché non ti sbatte in faccia punti di scomodi, non ha una vita propria e non è una presenza imbarazzante – exactly come Sherry Turkle avverte, ci stiamo abituando a relazioni "senza la complessità dell’altro umano". Judith Butler spiega che costruire il nostro io richiede un riconoscimento vero, non solo automatico come con l’IA, che valida ogni emozione senza domande. Risultato? Un effetto-specchio che riorganizza i tuoi sfoghi in modo ordinato, dandoti sollievo istantaneo. Luciano Floridi descrive la nostra come una “società dell’infosfera”, dove umani e macchine si mischiano, cambiando come pensiamo alle relazioni e alla cura. Insomma, confidarsi con un algoritmo non è una fase passeggera; è il segno di una trasformazione totale, dove la cura è privata, rapida e tech-driven, riflettendo le nostre solitudini e aspettative in modo brutale. La vera domanda? Cosa dice di noi una società che adora questi bot – forse che stiamo perdendo l’umanità?

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