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Chi ha deciso di assegnare l’azzurro ai maschi e il rosa alle femmine e per quale motivo

Shockante rivelazione: Il rosa era un colore ‘macho’ per i maschi fino al 1918, mentre il blu era per le ‘angiolette’ femmine! Chi l’avrebbe detto che i nostri vestiti da bebè fossero un’invenzione marketing del secolo scorso, ora invasa da gender-neutral e guerre culturali? Preparatevi a un viaggio nel mondo assurdo dei colori di genere.

In un mondo dove il rosa è sinonimo di principesse e il blu di supereroi, chi avrebbe immaginato che questo stereotipo è una bufala moderna? Fino all’inizio del ‘900, i bimbi – sia maschi che femmine – giravano in abiti bianchi e gonne fino ai 6-7 anni, solo per praticità, senza storie di genere. Niente rosa o blu, solo lavabili e riutilizzabili, perché all’epoca il marketing non dettava le regole.

La storica della moda Jo B. Paoletti, dopo anni di ricerche, ha smascherato tutto nel suo libro "Pink and Blue", rivelando che il rosa per femmine e blu per maschi è esploso solo dagli anni ’80. È una cosa tutta occidentale e moderna, un’invenzione rigida che ha reso i colori un campo di battaglia culturale.

A fine ‘800, con le tinture commerciali che invadevano l’Europa e gli USA, i pastelli per neonati erano di moda, ma senza regole fisse. Anzi, era l’esatto opposto: nel 1918, una pubblicazione americana dichiarava che "la regola generalmente accettata è rosa per i maschi e blu per le femmine". Il rosa, visto come forte e virile come il rosso, era per i maschi, mentre il blu, tutto delicato e puro, andava alle femmine. Riviste come Time nel 1927 lo confermavano, con i grandi magazzini che pushavano questa follia invertita – un binarismo cromatico che però è durato poco.

Negli anni ’40, i produttori USA hanno fatto un’intuizione folle (e mai spiegata) ribaltando tutto: rosa per femmine e blu per maschi. Aziende e cataloghi hanno pompato questa nuova moda, influenzando i genitori con pubblicità invasive, e lentamente ha contagiato l’Europa tramite film e americani. Ma negli anni ’60 e ’70, con il femminismo in ascesa, si è tornati a colori unisex per evitare distinzioni stupide.

Poi, a metà anni ’80, con i test prenatali, il marketing ha colpito duro: negozi e centri commerciali hanno inondato il mercato di tutine rosa o blu per spingere vendite personalizzate. Risultato? Più differenziazione significa più profitti, in una mossa furba ma cinica.

Oggi, la Gen Z sta ribaltando la frittata, vedendo il genere come fluido e optando per mode gender-neutral. Il rosa e il blu? Non spariranno presto dal marketing, ma potrebbero perdere il loro ruolo di etichette rigide. Commento: Che mondo pazzo, dove i colori dettano le regole – e chissà, magari tra poco rideremo di questa ossessione!

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