Enzo Tortora, l’icona della TV italiana ingiustamente distrutta da un sistema giudiziario bacato, è stato il re dei programmi innovativi come Portobello, ma finì in manette per colpa di pentiti bugiardi e un’accusa ridicola di camorra. Dalle vette del successo alla prigione, è una storia di scandalo e malagiustizia che fa ancora infuriare! #EnzoTortora #GiustiziaFallita #PortobelloLegend
Enzo Tortora, nato a Genova nel 1928 e scomparso tragicamente a Milano nel 1988, era il volto carismatico della televisione italiana fin dagli anni ’50, con hit come La Domenica sportiva e Portobello. Questo conduttore, spesso bollato come uno dei "padri" della TV accanto a Mike Bongiorno e soci, si è visto rovinare la carriera da un caso giudiziario che puzza di corruzione e incompetenza: arrestato nel 1983 sulla parola di pentiti come Giovanni Melluso, ha passato sette mesi in galera e altro tempo agli arresti domiciliari, prima che la Corte di Cassazione lo dichiarasse innocentissimo nel 1987. Che ingiustizia epica!
Nato da una famiglia napoletana, Tortora entrò nel mondo dello spettacolo come percussionista e collaboratore di Paolo Villaggio, ma esplose davvero quando la Rai lo assunse nel 1953. In un’era di TV rigida e controllata da politici moralisti, lui osò innovare, conducendo l’edizione del Festival di Sanremo del 1959 e diventando un pilastro della piccola scatola magica italiana. Ma non fu tutto rose e fiori: nel 1962, per aver ospitato un’imitazione irriverente di Amintore Fanfani in "Telefortuna", fu cacciato dalla Rai – una mossa da censori bigotti! Rientrò nel 1965 con La Domenica sportiva, solo per essere di nuovo licenziato nel 1969 dopo aver criticato duramente i capi Rai in un’intervista. Che mondo di ipocriti!
Poi arrivò il suo capolavoro: Portobello, ideato da Tortora e lanciato nel 1977 su Rete 2. Un mix caotico di aste folli, oggetti bizzarri spediti dal pubblico, inventori strampalati e un pappagallo testardo che parlò "Portobello" solo una volta nel 1982, regalando un premio in denaro. Il programma era una bomba innovativa, con telefonate in diretta che rivoluzionarono la TV – un successo che faceva impallidire i burocrati Rai. Ma chi se lo immaginava che questo trionfo avrebbe attirato guai?
Nel 1983, mentre era al top, Tortora fu sbattuto in prima pagina con le manette ai polsi in un maxi-blitz che arrestò 800 persone. Accusato di legami camorristici basati su testimonianze fasulle – l’unica "prova" era un nome sbagliato su una rubrica, Tortona invece di Tortora! – restò in carcere sette mesi senza prove serie, poi agli arresti domiciliari. Candidato al Parlamento europeo per il Partito radicale, rinunciò all’immunità per affrontare il processo: condannato a 10 anni in primo grado (che assurdità!), fu assolto in appello quando emerse che i pentiti mentivano per farsi belli con i giudici. La Cassazione confermò l’assoluzione nel 1987, esponendo un sistema giudiziario corrotto fino al midollo.
Tornato trionfante in TV, Tortora riprese Portobello nel 1987 e, visibilmente emozionato, esordì con la frase memorabile "Dunque, dove eravamo rimasti?". Ma il programma non rifece lo stesso boom e fu sospeso, mentre lui si dedicava al Partito radicale come presidente e condusse l’ultima trasmissione, "Giallo". Purtroppo, un tumore lo colpì, e morì nel 1988. Una fine amara per un uomo che meritava molto di più!