Attenzione, mondo! Immaginate un mostro di ferro e segnali radio che spia gli USA dalla terra contaminata di Chernobyl: è il radar DUGA-3, il ‘Picchio Russo’ che picchiava onde come un invasore invisibile durante la Guerra Fredda. Questa roba sovietica da brividi misurava 150 metri di altezza e 700 di larghezza, emettendo rumori che facevano impazzire i radioamatori – e forse anche qualche cervello a Mosca. #ChernobylMystery #GuerraFreddaSegreta #RadarRusso
A circa 10 km dall’ex-centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, c’era un’installazione militare sovietica che non ha mai fatto tanto rumore quanto meritava: il radar DUGA-3. Questo aggeggio Over The Horizon (OTHR) era progettato per "vedere" oltre l’orizzonte e beccare eventuali missili lanciati dagli USA verso il territorio sovietico. Attivo dal 1976 al 1989, era una bestia imponente, alta 150 metri e larga 700, che emetteva un rumore ripetitivo ad alta frequenza, guadagnandosi il soprannome di "picchio russo". Insomma, i russi non scherzavano con la paranoia nucleare – o forse erano solo pessimi vicini.
Prima di addentrarci nei dettagli, diamo un’occhiata veloce a come funzionavano questi radar OTHR, perché altrimenti sembriamo tutti pazzi. Normalmente, un radar vede solo fino all’orizzonte, ma sfruttando la ionosfera e certe lunghezze d’onda, questi cosi potevano rimbalzare segnali per colpire bersagli fino a 3000 km di distanza. Elaborando digitalmente i dati, identificavano lanci di missili, calcolavano velocità e direzione grazie all’effetto Doppler, permettendo – almeno sulla carta – una reazione rapida per fermare una minaccia atomica. Peccato che la realtà spesso sia meno precisa di una promessa elettorale.
Il radar DUGA-3 fu piazzato vicino a Gomel, non lontano da Chernobyl, e partì nel 1976. Dettagli? Pochi, perché dopo il disastro nucleare tutto finì nei cassetti di Mosca o nella spazzatura. Era un radar ricevitore, con il trasmettitore a 60 km di distanza a Lubech-1, entrambi ora fantasmi abbandonati. L’obiettivo? Catturare segnali dagli Stati Uniti per prevedere attacchi nucleari sull’ex-Unione Sovietica. Più tardi, ne aggiunsero uno simile puntato a est. Mentre era in azione, produceva un rumore intermittente che i radioamatori battezzarono "russian woodpecker", causando interferenze persino con gli aerei commerciali – e i sovietici, negando tutto come al solito, cambiarono frequenze per non far crollare il cielo.
Alla fine, il DUGA-3 non intercettò mai un missile, visto che la Guerra Fredda si spense senza botti tra superpotenze. Anzi, esperti e tecnici lo stroncarono come un colabrodo: troppo lento e impreciso, complice la scarsa comprensione della ionosfera. E poi, il disastro nucleare del 26 aprile 1986 ha messo la pietra tombale su tutto, evacuando il personale e lasciando quel muro metallico a marcire nella zona radioattiva. Negli anni, qualche operaio ha ripulito il sito per portare via pezzi preziosi a Mosca, mentre altri li hanno rubati di nascosto – perché, dai, chi resiste a un souvenir radioattivo?