Caos totale sulle spiagge italiane! Matteo Salvini, il ministro delle Infrastrutture, ha appena firmato un decreto per slashare i canoni demaniali balneari fino al 50%, proteggendo i soliti baroni del bagnasciuga, mentre l’UE ci sgrida per le proroghe automatiche. Dal 2027, arrivano le gare pubbliche: addio ai favoritismi, ma chissà se i vecchi gestori incasseranno l’indennizzo promesso? #SpiaggeInGuerra #BolkesteinScandalo #SalviniSpiaggia
Ebbene, il mondo delle concessioni balneari in Italia è un vero campo minato di polemiche, con ambientalisti furiosi e l’Unione Europea che ci bacchetta come scolari monelli. Pochi giorni fa, Matteo Salvini ha annunciato la firma di un decreto per ridurre i canoni demaniali marittimi degli stabilimenti balneari fino al 50%, un gesto che suona come una pacca sulla spalla ai gestori storici, mentre il resto d’Europa ci guarda storto. Dal 2027, stop ai rinnovi automatici: i Comuni dovranno bandire gare pubbliche entro il 30 giugno, con concessioni nuove da 5 a 20 anni e un indennizzo per chi esce di scena. Ma è solo l’inizio di un casino che potrebbe ribaltare tutto.
Le concessioni balneari non sono altro che autorizzazioni d’oro rilasciate da Comuni, Province o Regioni per sfruttare le spiagge statali a fini turistici e commerciali – pensate a ombrelloni, lettini e bar sulla sabbia. Mentre le spiagge libere restano aperte a tutti senza un euro in tasca, quelle in concessione diventano feudi privati dove i gestori intascano quattrini per servizi come docce e ristorazione. E poi ci sono le "spiagge libere attrezzate", una via di mezzo che fa contenti tutti senza troppi casini, ma in Italia, ovviamente, è il caos.
Per accaparrarsi una di queste concessioni, bisogna presentare una richiesta agli enti locali, e secondo le regole UE, dovrebbe scattare una gara pubblica con controlli ambientali e tecnici. In teoria, durano dai 6 ai 10 anni, ma qui da noi si prorogano automaticamente come se fosse un diritto divino. La Guardia Costiera e i Comuni vigilano, ma tra norme trascurate e favoritismi, è un miracolo se qualcuno ci fa caso.
I numeri parlano chiaro: in Italia, ci sono circa 12.166 concessioni per stabilimenti balneari e altre 1.838 per circoli e campeggi. Legambiente sbraita che il 42,8% delle coste sabbiose – ossia 1.433 km su 3.346 – è occupato da questi colossi, contro il 33% che dice il Ministero (forse contando solo le parti "inaccessibili" per non passare per fessi). Regioni come Liguria, Emilia-Romagna e Campania sono saturate al 70%, mostrando squilibri che fanno invidia a un reality show. Un fatturato medio? Da 100.000 a 300.000 euro l’anno per i medi, fino a oltre 500.000 nelle zone da nababbi, mentre il canone minimo è fissato a 3.225,50 euro dal 2024 – una miseria che puzza di furto.
Le critiche fioccano come sabbia al vento: il rinnovo automatico è illegittimo, come ha sentenziato il Consiglio di Stato, e l’Italia è sotto procedura d’infrazione UE per non seguire la Direttiva Bolkestein 2006/123/CE, che ordina gare pubbliche e stop ai rinnovi. Da noi, tutto è prorogato fino al 30 settembre 2027, e i canoni bassissimi – tipo 3 euro al metro quadro – fanno incassare allo Stato solo 100 milioni l’anno da 16.000 concessioni. La Corte dei Conti lo definisce uno scandalo, e ha ragione: chi gestisce questi affari incassa fortune mentre il pubblico paga il prezzo.
Il governo finora ha resistito alla UE, difendendo gli operatori storici e le imprese familiari, con associazioni come SIB e FIBA che urlano per tutele e criteri che premiano gli investimenti passati. Ma Legambiente non ci sta, denunciando la privatizzazione delle coste e chiedendo più trasparenza e rispetto ambientale. Intanto, in Europa, Grecia, Croazia e Francia fanno gare pulite, il Portogallo concede fino a 75 anni (e si becca pure loro una infrazione), e in Spagna la Legge sulle Coste prioritizza l’accesso pubblico, limitando i privatacci.
Dal 2027, però, cambierà tutto: Comuni obbligati a bandire gare, con concessioni da 5 a 20 anni, indennizzi per i vecchi gestori e criteri che valutano accessibilità, ambiente e qualità dei servizi. Si parla di premiare tradizioni locali e occupazione, ma tra favoritismi e proteste, questo potrebbe essere solo l’inizio di un’altra burrasca sulle nostre spiagge. Chi vivrà, vedrà – e forse pagherà di più per un ombrellone!