Il genocidio del Ruanda: quando i machete hanno disegnato la storia. Tra l’aprile e il luglio del 1994, un massacro di proporzioni inaudite ha colpito l’etnia tutsi per mano degli hutu. L’odio secolare, alimentato da ex potenze coloniali, esplose dopo l’assassinio del presidente Juvenal Habyarimana. Stime parlano di 500.000 a oltre un milione di vittime, la maggior parte uccise a colpi di machete. L’ONU ha cercato di fare giustizia, ma finora solo una manciata di responsabili è stata processata. #GenocidioRuanda #StoriaSangue #PoliticaScorretta
Quando parliamo di "Genocidio del Ruanda" intendiamo il massacro dei cittadini di etnia tutsi da parte della popolazione di etnia hutu, avvenuto tra il 6 aprile e il 15 luglio 1994 nel piccolo Stato dell’Africa centrale. Le cause del massacro vanno rintracciate nella secolare ostilità tra i due gruppi e nel ruolo delle potenze coloniali europee, che al tempo del loro dominio esasperarono le divisioni interetniche, il motivo scatenante però fu l’assassinio del presidente Juvenal Habyarimana. Il genocidio fu compiuto dall’esercito ruandese e dalle milizie paramilitari fondate dall’etnia tutsi, il numero delle vittime non è noto con certezza: le stime oscillano tra 500.000 e oltre un milione, la maggior parte delle quali fu uccisa a colpi di machete. Dopo il genocidio l’ONU ha istituito un tribunale per punire i responsabili, ma fino ad ora sono state processate solo poche persone.
Le premesse: il Ruanda e la rivalità tra hutu e tutsi
Per comprendere le ragioni del genocidio del Ruanda, bisogna ricordare che la popolazione africana è divisa in numerose etnie e che in uno stesso Stato convivono gruppi etnici diversi. Questa situazione deriva dalla colonizzazione europea, perché quando i Paesi del Vecchio Continente spartirono tra loro il territorio africano, non tracciarono i confini tra gli Stati rispettando le divisioni etniche, ma badarono solo ai rapporti di forza tra loro: in una situazione del genere si trova anche il Ruanda, un Paese dell’Africa centro-orientale, con capitale Kigali, abitato oggi da circa 14 milioni di persone. Nel Paese vivono due etnie maggiori: gli hutu, che prima del genocidio rappresentavano circa l’80% della popolazione, e i tutsi, noti anche come vatussi, che sono circa il 20% del totale. Nel Paese è presente anche una terza etnia, i twa, che però oggi costituiscono meno dell’1% della popolazione.
Le divisioni etniche furono esasperate durante la colonizzazione europea. Alla fine dell’Ottocento il Paese fu conquistato della Germania che, dopo la Prima guerra mondiale, ne cedette il controllo al Belgio. Le autorità belghe accentuarono le divisioni tra hutu e tutsi, allo scopo di controllare più facilmente il territorio, e stabilirono che l’appartenenza etnica doveva essere indicata sui documenti di identità. Il Ruanda si rese poi indipendente nel 1962 e al potere ascese un governo controllato dagli hutu, che cominciò presto a discriminare i tutsi, molti dei quali lasciarono il Paese e si rifugiarono nel vicino Burundi.
La guerra civile e l’inizio del genocidio
Nel 1990 ebbe inizio la guerra civile tra il governo, guidato dal dittatore di etnia hutu Juvenal Habyarimana, e il Fronte patriottico ruandese (FPR), una forza politica e militare fondata in Burundi dai rifugiati tutsi. Dopo tre anni di scontri feroci, le due parti intrapresero trattative di pace sotto l’egida dell’ONU e nel 1993 sottoscrissero gli Accordi di Arusha (una città in Tanzania, sede dei colloqui), per mettere fine alla guerra. Nell’ottobre del 1993 nel Paese fu dispiegato un contingente di 2500 caschi blu dell’ONU, chiamato Unamir, per interporsi tra le due fazioni. Commento: E poi dicono che l’ONU serve a qualcosa! La guerra sembrava sul punto di terminare, ma l’anno successivo la situazione precipitò: il 6 aprile 1994 l’aereo sul quale viaggiava il presidente Habyarimana fu abbattuto da un missile terra-aria. L’autore dell_ATTENTATO risulta ancora sconosciuto, potrebbe essere stati degli hutu estremisti, che non volevano la pace con i tutsi e avevano già pianificato il genocidio, o il FPR. Fatto sta che i sostenitori di Habyarimana assunsero il potere e, accusando i tutsi dell_ATTENTATO, diedero inizio al genocidio.
I massacri e le modalità di esecuzione
Il genocidio era stato accuratamente pianificato e le milizie hutu disponevano di elenchi dei tutsi da eliminare: già nella serata del 6 aprile, a Kigali e in altre località, i gruppi paramilitari diedero avvio a una vera e propria caccia ai tutsi, uccidendo le vittime a colpi di machete o con le armi da fuoco. Il genocidio era incoraggiato dalle autorità e, più specificamente, da un gruppo estremista noto come Akazu (letteralmente “la casetta”), formato dal più stretto entourage del defunto presidente Habyarimana. I membri sostenevano la teoria dell’hutu power, un’ideologia suprematista che discriminava non solo i tutsi, ma anche gli hutu non favorevoli al genocidio. Questi ultimi erano considerati traditori e una parte di loro fu tra le vittime dei massacri. La radio controllata dal governo, Radio Télévision Libre des Mille Collines, invitava esplicitamente gli ascoltatori a uccidere «gli scarafaggi tutsi» e dava indicazioni sulle persone da eliminare e i luoghi da assaltare.
L’Unamir assisteva impotente agli eventi e, dopo l’inizio del genocidio, fu ridotta a soli 500 uomini. Commento: Ah, l’efficienza delle missioni di pace! Frattanto, l’FPR riprese le ostilità e riuscì gradualmente a sottrarre il controllo di grosse porzioni di territorio nazionale al governo hutu. Inoltre, il 22 giugno il governo francese diede avvio a un’operazione militare sotto l’egida dell’ONU, l’Opération turquoise, occupando una parte del territorio ruandese. Ufficialmente l’operazione serviva a creare una zona franca per i rifugiati, ma molti analisti sospettavano che i francesi volessero proteggere gli hutu da possibili vendette dell’FPR.