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Spesso quando riflettiamo sui terremoti, ci viene immediatamente in mente la tettonica delle placche. Tuttavia, vi sono molti altri elementi capaci di scatenare attività sismica sulla nostra planetaria, tra cui la fusione dei ghiacciai, un fatto di sempre maggiore rilevanza. Studi recenti dimostrano che l’accelerazione della fusione delle calotte polari, provocata dal riscaldamento globale, possa contribuire all’aumento dei terremoti generalmente di bassa magnitudo, in territori normalmente stabili dal punto di vista tettonico, come ad esempio la Groenlandia. Questo fenomeno sismico è legato al rimbalzo post-glaciale, un processo geologico naturale che comporta il sollevamento della litosfera in seguito alla perdita di massa glaciale sovrastante, influenzando in modo significativo i regimi di stress nel sottosuolo.

Il modello del rimbalzo isostatico

Le calotte glaciali possono essere comprese come un carico sulla superficie terrestre, esercitando quindi uno stress sulla litosfera che si deforma in risposta. Durante l’apice dell’ultima era glaciale, circa 20.000 anni fa, oltre il 25% della terra emersa e circa l’8% della superficie terrestre erano coperti da enormi distese di ghiaccio, con spessori che superavano i 3 km in alcuni luoghi. Per effetto di questo carico, la litosfera sottostante ha subito un fenomeno di subsidenza, un affondamento graduale, poiché poggia su una porzione duttile e viscosa dell’astenosfera.

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Immaginate di stare in piedi su un materassino gonfiabile riempito di miele: inizialmente nulla cambia, ma nel tempo, la vostra presenza fa letteralmente sprofondare il materassino. Quando vi alzerete, il materassino riprenderà pian piano la sua forma originale. Questo processo, conosciuto come rebound isostatico o rimbalzo post-glaciale, avviene dopo la perdita di massa dei ghiacciai provocata dalla fusione e comporta il risollevarsi della crosta fino a ritornare alla sua posizione di equilibrio. Questo processo ha avuto inizio 19.000 anni fa e continua tuttora nelle aree con calotte glaciali continentali, come la Groenlandia e l’Antartide.

Terremoti in relazione alla fusione dei ghiacciai

Negli ultimi 20 anni, le calotte glaciali dell’Antartide e della Groenlandia hanno subito una perdita media annuale di 150 e 270 miliardi di tonnellate di ghiaccio, rispettivamente. Questa diminuzione di massa glaciale ha comportato un sollevamento della litosfera. Nel 2012, uno studio ha stimato che in alcune zone della Groenlandia la velocità di rimbalzo post-glaciale superava i 20 mm all’anno. Ricerche successive hanno evidenziato che i terremoti di bassa magnitudo, generalmente inferiori a 3 gradi, tendevano a presentarsi nelle aree con maggiore sollevamento isostatico, suggerendo un chiaro legame tra fusione dei ghiacci e attività sismica.

Allo stesso modo, il campo glaciale Glacier Bay in Alaska ha perso oltre 3.000 km³ di ghiaccio dal 1770, corrispondente a una diminuzione di spessore di circa 1.5 km della calotta glaciale. In certe aree, sono stati documentati picchi di sollevamento fino a 4 cm all’anno. I ricercatori hanno scoperto che la fusione dei ghiacciai ha incrementato la frequenza di terremoti superficiali con magnitudo massima 2.4 tra il 2002 e il 2006. Anche i terremoti registrati nella zona del ghiacciaio Bering, tra il 1973 e il 2001, sono stati attribuiti alla fusione glaciale. Un’indagine recente ha suggerito che l’aggiustamento isostatico possa essere stato un fattore scatenante per un terremoto significativo di magnitudo 7.8 avvenuto nel sud-est dell’Alaska nel 1958.

Altri studi hanno indicato un possibile legame fra la fusione dei ghiacciai e la riattivazione di faglie geologiche nelle Alpi, negli Stati Uniti e in Scandinavia, risalenti a migliaia di anni fa.

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Fonte Verificata

Il melting dei ghiacciai può provocare terremoti: esempi dall’Artico.

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