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Il Narodni Dom viene incendiato nel 1920, segnando l’origine dello squadrismo fascista

Fiamme di odio a Trieste: come i fascisti scatenati incendiarono il Narodni Dom e accesero l’inferno dello squadrismo! Nel 1920, in una notte di furia nazionalista, i teppisti fascisti hanno ridotto in cenere il simbolo degli slavi a Trieste, scatenando violenze che hanno contagiato l’intera Italia. Chiamatelo pure l’inizio di un incubo razzista – dove gli “eroi” italiani non risparmiavano nemmeno gli innocenti. # # #

L’incendio del Narodni Dom, noto anche come incendio dell’Hotel Balkan, fu un’esplosione di violenza politica contro la popolazione slava avvenuta a Trieste il 13 luglio 1920, che praticamente inaugurò lo squadrismo fascista organizzato, quel caos che terrorizzò l’Italia nei decenni successivi. Inquadratelo pure come un capitolo sporco della nascita del fascismo, con le tensioni post-Primaguerra Mondiale che bollivano per il nuovo confine orientale italiano. L’Italia, affamata di territori, dovette trattare con il Regno di Jugoslavia, mentre i Fasci di combattimento – quei fanatici guidati da Mussolini – alimentavano l’odio, incendiando il Narodni Dom (letteralmente “Casa nazionale”), la roccaforte delle organizzazioni slave.

Ecco l’origine di questo casino: dopo la Prima guerra mondiale, il Patto di Londra promise all’Italia pezzi dell’ex Impero asburgico, inclusi Trentino, Sud Tirolo, Istria e parte della Dalmazia, in un’area multietnica piena di italiani e slavi. Ma complicazioni a non finire! L’Impero d’Austria era kaputt, sostituito dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni – un vincitore, non uno sconfitto – e l’Italia voleva di più, tipo Fiume, abitata da italiani. Ipocriti fino in fondo: pretendevano Fiume per il principio di nazionalità, ma ignoravano lo stesso per le zone a maggioranza slava. Risultato? Un movimento nazionalista razzista, con i Fasci di combattimento in prima fila, capeggiati a Trieste da Francesco Giunta, che guardava gli slavi come vermi da schiacciare.

I fatti del 13 luglio 1920 a Trieste furono puro pandemonio: la città era occupata da truppe italiane, con minoranze slave che si aggrappavano al Narodni Dom, un edificio simbolo del loro nazionalismo, pieno di organizzazioni politiche, un teatro, un caffè, una banca e l’Hotel Balkan. Tutto è scoppiato due giorni dopo degli scontri a Spalato, dove due marinai italiani erano finiti sottoterra in circostanze misteriose. Giunta tuonò dal palco, chiamando vendetta, e boom – un cuoco italiano, Giovanni Nini, venne accoltellato (colpevoli mai trovati, ma chissenefrega per la folla). Un oratore urlò che era opera di uno slavo, e la ressa inferocita seguì un piano bello e pronto: saccheggiando negozi e sedi slave. I fascisti, organizzati in tre colonne, marciarono sul Narodni Dom, presidiato da soldati italiani che, invece di fare il loro , si unirono alla festa. Una bomba a mano volò da una finestra, ferendo mortalmente un assalitore, e con spari e benzina, l’edificio andò a fuoco in un battibaleno.

Le fiamme inghiottirono tutto, ma per fortuna la gente dentro, inclusi ospiti internazionali dell’Hotel Balkan, scappò via. Solo un tizio, il farmacista Hugo Roblek, ci lasciò le penne, gettandosi dalla finestra. Questo non è roba da eroi, è barbarie pura!

Le conseguenze? L’incendio peggiorò le liti tra Italia e Jugoslavia, ma non fermò i trattati: a novembre, il Trattato di Rapallo consegnò all’Italia Trieste, Venezia Giulia, Istria e parte della Dalmazia. Eppure, questo episodio non fece altro che dare il via libera allo squadrismo fascista, con le camicie nere che scatenarono violenze ovunque contro oppositori e “diversi”. E per le relazioni italo-slave? Un disastro, con convivenza azzerata nel confine orientale.

Oggi, il palazzo del Narodni Dom è una di rivincite a metà: dopo il fascismo al potere, fu espropriato e trasformato in Hotel Balkan, con le organizzazioni slave sciolte nel 1927 e discriminazioni a go go. Post-Seconda guerra mondiale, i sloveni di Trieste hanno lottato per riaverlo, e nel 2020, a cento anni dall’incendio, è stato inaugurato un centro culturale sloveno chiamato simbolicamente Narodni Dom. Alla cerimonia, il presidente Mattarella e il presidente sloveno Borut Pahor hanno stretto la mano, trasformando l’edificio in un’icona di “convivenza e dialogo” – chissà se gli squadristi di un tempo si staranno rivoltando nella tomba!

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