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Il piano di Trump per Gaza sulla “Riviera del Medio Oriente” è considerato difficile da realizzare

Credit: D. Myles Cullen

Negli ultimi giorni, la proposta riguardante la Striscia di Gaza ha suscitato un ampio dibattito a livello internazionale. Il Presidente degli Stati Uniti ha suggerito la possibilità di prendere il controllo dell’area e di espellere circa due milioni di palestinesi che vi risiedono, trasformandola in una “Riviera del Medio Oriente”. Tale proposta ha sollevato interrogativi significativi, non solo per quanto riguarda il diritto internazionale, in quanto violerebbe la Quarta Convenzione di Ginevra, ma anche per la sua fattibilità pratica. Questa convenzione, entrata in vigore nel 1950, vieta esplicitamente il trasferimento forzato di popolazioni da un territorio occupato. La decisione di interrompere le attività di U.S.A.I.D.

e richiamare gli aiuti statunitensi ha ulteriormente complicato la situazione.

Dall’Arabia Saudita all’Europa: le reazioni

La reazione della comunità internazionale è stata ampia e variata. Paesi come Francia, Germania, Regno Unito e diverse nazioni arabe, tra cui Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno espresso forte dissenso nei confronti dell’idea, evidenziando i rischi di destabilizzazione per l’intera regione. Tuttavia, Israele ha preso una posizione diversa, sostenendo la proposta americana. Il primo ministro ha accolto favorevolmente l’idea, descrivendola come “straordinaria”, mentre il ministro della Difesa ha avviato piani per la “partenza volontaria” dei palestinesi da Gaza. D’altra parte, l’organizzazione Hamas ha invitato la popolazione a opporsi attivamente al progetto.

Le difficoltà nella realizzazione del piano di Trump per Gaza

La proposta di espulsione degli arabi palestinesi dalla Striscia di Gaza presenta notevoli sfide pratiche. Trasferire circa due milioni di persone richiederebbe una complessa organizzazione logistica e la disponibilità di risorse considerevoli. I paesi limitrofi, come Egitto e Giordania, hanno manifestato la loro opposizione ad accogliere ulteriori rifugiati. Inoltre, la gestione della situazione richiederebbe l’impiego di un numero elevato di soldati statunitensi, contraddicendo le promesse di riduzione della presenza militare americana in Medio Oriente. La trasformazione di Gaza in un hub turistico necessiterebbe anche di massicci investimenti per la ricostruzione delle infrastrutture, già gravemente danneggiate da precedenti conflitti. La proposta comporterebbe quindi un elevato rischio di crisi umanitaria, con potenziali sfide legate alla gestione delle proprietà abbandonate e al trasporto delle persone e dei loro beni.

La visione di Trump e del suo entourage per la Striscia di Gaza come una destinazione turistica non è inedita. Il progetto, che prevede la creazione di resort e investimenti internazionali, si basa sull’idea che, dopo un lungo periodo di lavori di sgombero e ricostruzione, Gaza potrebbe attrarre cittadini da tutto il mondo. Tuttavia, la realizzazione di un simile progetto è ostacolata dalla necessità di stabilità politica e militare, difficilmente raggiungibile nel contesto attuale.

Le politiche nazionaliste e le scelte unilaterali di Trump e Netanyahu, in passato, hanno enfatizzato la sovranità statale e la sicurezza nazionale, come dimostrato dall’appoggio di Trump alla gerarchizzazione di Gerusalemme come capitale di Israele nel 2017 e alle promesse di un “Piano del Secolo” del 2020. Nonostante il fermo rifiuto di tali piani da parte della Palestina e della comunità internazionale, queste posizioni hanno avuto un impatto sulla percezione di Trump come alleato di Israele. La proposta di espulsione degli arabi palestinesi da Gaza si inserisce in un contesto più ampio di controllo territoriale e sicurezza rigorosa, che continua a influenzare la situazione nel conflitto israelo-palestinese.

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