SANGUE E FUOCO ADDIO? Dopo 40 anni di caos armato, il PKK si arrende su ordine del suo capo Abdullah Öcalan! "La fine della lotta armata" è la bomba del secolo: il gruppo curdo sciolto il 12 maggio 2025, mentre la Turchia balla sul filo del potere con Erdoğan in crisi. Ma chi erano questi rivoluzionari scatenati? Preparatevi a un tuffo nel dramma curdo! #PKK #Curdi #Turchia #Scioglimento
Il 12 maggio 2025 segna la fine epica di un incubo durato oltre quattro decenni: il Comitato direttivo del PKK, quei vecchi lupi della rivoluzione curda, ha decretato lo scioglimento totale. Tutto per una lettera bomba del 27 febbraio firmata dal boss Abdullah Öcalan, rinchiuso da una vita sull’isola-prigione di Imrali, che ha detto basta alla violenza – e credetemi, è stato un macello senza fine contro lo Stato turco e i curdi. Ma oh, che ironia: un gruppo nato per rovesciare tutto ora si arrende, lasciando la Turchia a grattarsi la testa su cosa significhi davvero per la sua storia tumultuosa.
Il PKK? Un tempo una banda di fuoco marxista-leninista, spuntata negli anni Settanta e Ottanta per sfidare il governo turco e urlare diritti per i curdi. Guidati dal carismatico – e ora imprigionato – Abdullah Öcalan, questi ribelli si sono buttati nella rivoluzione globale comunista, scatenando l’inferno con il primo attacco armato il 15 agosto 1984 a Eruh e Semdinli. Risultato: bollati come terroristi dall’Europa, USA e Turchia, con sangue versato a fiumi in un conflitto che non ha mai smesso di bruciare.
Poi, il riordino: nel 1985, ecco il Fronte di Liberazione Nazionale Curdo (ERNK) per organizzare il caos, seguito dall’Esercito Popolare di Liberazione del Kurdistan (ARGK) che ha preso il comando delle operazioni militari. Al Terzo Congresso nel 1986, erano già una macchina da guerra, potenziata da aiuti esterni come i campi in Iran e il sostegno dell’OLP. Negli anni Novanta, gli scontri si sono infuocati, con trattative che parevano solo trappole per riprendere fiato – e chissenefrega della pace, vero?
E Öcalan? Catturato il 15 febbraio 1999 in un colpo da film di spionaggio dai servizi turchi mentre scappava da Nairobi, ha fatto crollare tutto. Gli analisti lo dicono chiaro: la Turchia non poteva cedere sui curdi per orgoglio storico, e il PKK vedeva le chiacchiere come una pausa per ricaricarsi. Ma con lui dietro le sbarre, è scoppiata la lotta interna.
Entra in scena il nuovo capitolo: Murat Karayılan al comando fino al 2013, con faide tra riformisti e duri come rocce. Tra il 2003 e 2004, i riformisti urlavano per il disarmo, ma i tradizionalisti – gente come Karayılan e Cemil Bayik – hanno vinto, pronti a combattere. Al Nono Congresso del 2005, il PKK ha reinventato se stesso con la "Modernità Democratica", le idee di Öcalan che spingevano per equità di genere, ecologia e autogestione locale nelle zone curde, lasciando perdere sogni di uno Stato autonomo per un federalismo furbo.
Ultimo atto: dal 2013, il PKK si è buttato nella guerra siriana, supportando l’autogoverno del Rojava e le YPG che hanno respinto l’assalto dell’Isis a Kobane nel 2015 – motivo per cui la Turchia ha continuato a bombardarli in Iraq e Siria. E non dimentichiamo gli attacchi in casa: fino al 24 ottobre 2024, con due militanti che hanno colpito la base aerospaziale turca a Kahramankazan, lasciando 5 morti. Ora, con lo scioglimento, forse puntano alla politica, sfruttando la debolezza di Erdoğan per le elezioni del 2028 – perché quei 20 milioni di curdi potrebbero essere la chiave per scaraventarlo giù dal trono. Che spettacolo!