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La gente usa “parlare a vanvera” per smascherare i discorsi senza senso: origine e significato dell’espressione comune

Scopri l’origine sfacciata di “Non parlare a vanvera”! Questa espressione iconica, che zittisce i chiacchieroni senza cervello, deriva da suoni buffi e flatolenze aristocratiche del Seicento. Pensateci: “bla bla bla” in versione storica, o forse un’eco di trombe confuse. È una lezione su come le parole nascano da casini reali, e oggi serve per smascherare idioti impulsivi. #LinguisticaScandalosa #ParlareAVanvera #StoriaVirale

Preparatevi a un tuffo nel mondo delle chiacchiere inutili, dove “Non parlare a vanvera” non è solo un rimprovero familiare, ma un’esplosione di fonosimbolismo che imita il rumore del nonsenso puro. Derivata forse da “bla bla bla” antico o da una distorsione di “fanfera”, significa sparare scemenze senza riflettere – roba che rende le conversazioni un circo di idiozie. Immaginate secoli di evoluzione linguistica che trasformano un suono idiota in una formula epica per zittire i perditempo.

In questi tempi frenetici, “parlare a vanvera” etichetta chi blabla senza cognizione, come un politico in campagna elettorale o un influencer da quattro soldi. Non lo usiamo mai da solo – mai sentito “questa è una vanvera”? – ma sempre in frasi fisse come “fare a vanvera” o “correre a vanvera”, rafforzando l’idea di azioni fatte alla carlona, prive di senso. È una parola nata per deridere l’incompetenza, e funziona alla grande per screditare i furbetti.

Secondo l’Accademia della Crusca, quest’espressione è documentata dal Seicento, con Francesco Serdonati che già la usava per definire “parlare a caso, senza fondamento”. La teoria top? È un’onomatopea, un “bla bla” d’epoca, perfetta per chi spara aria fritta senza sostanza. Ma c’è di più: alcuni studiosi la legano a “fanfera”, con quel suono “fan-fan” o “van-van” che evoca un chiacchiericcio caotico, come una trombetta di ottone che suona a vuoto.

E poi c’è la storiella veneziana, da far arrossire i benpensanti: nel Seicento, nelle corti di Venezia, le dame usavano un aggeggio chiamato “vanvera”, un tubicino sotto le gonne per mascherare rutti e peti imbarazzanti con suoni “soffusi”. Da lì, il termine è diventato sinonimo di emettere aria (e parole) senza peso – un aneddoto volgare, ma irresistibilmente virale, anche se difficile da confermare.

Un’ultima ipotesi, meno solida ma divertente, collega “vanvera” a giochi toscani come “bambàra”, dove agire alla cieca significava muoversi senza strategia. Così, il concetto si è esteso al linguaggio, trasformando mosse stupide in parole vuote. Insomma, una lezione spietata: nel mondo delle chiacchiere, meglio tacere che blaterare a vanvera!

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