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La notriphobia demistificata: come la paura di non viaggiare abbastanza viene imposta sulle menti globali

Paura di non viaggiare abbastanza? Attenti alla "notriphobia", la fobia social che ti fa sentire un totale fallito se non postii viaggi esotici come tutti! In un mondo dove viaggiare è sinonimo di status e i social ti inchiodano, questa ansia dilagante ti esclude dal club dei "vincenti". Ma è solo un’invenzione culturale che maschera diseguaglianze? #Notriphobia #ViaggiaOPerisci #SocialMediaAnsia

Ehi, lettori affamati di viaggi e di drama social, preparatevi a un tuffo nel mondo della notriphobia, quella paura strisciante di non viaggiare "abbastanza" o "come gli altri" che sta contagiando i feed di tutti. Non è una vera fobia da strizzacervelli, ma un sintomo epico della nostra era iper-connessa, dove il viaggiare non è più solo una vacanza, ma una gara per scalare la scala sociale – e fidatevi, se resti a casa, sei fuori dai giochi.

Pensateci: nel mondo "libero" di oggi, viaggiare dovrebbe essere un diritto universale, ma in realtà è un privilegio per chi ha soldi, e passaporti facili. La notriphobia è il nome trendy per quella frustrazione che ti assale quando vedi gli influencer sfoggiare paradisi tropicali, mentre tu sei bloccato sul divano. Come dice lo studioso Urry, “La mobilità è diventata la norma, e l’immobilità lo stigma”, un modo per accumulare "capitale" sociale come se fosse un like in più. Ma andiamo, non tutti i viaggi valgono lo stesso: è tutta una questione di dove vai, come lo fai e quanto lo sbandieri, come spiegava Bourdieu. Se non lo fai, sei solo un anonimo perdente in un oceano di selfie perfetti.

Ora, addentriamoci nel capitalismo esperienziale, dove viaggiare non è più per o per fuga, ma per "trovare te stesso" e postarlo ovunque. Da Pine e Gilmore a Illouz, è chiaro: il viaggio è un emotivo che ti fa sentire rigenerato, ma se salti il turno, diventi invisibile. Proprio come una volta era roba da élite, ora è un imperativo: non partire equivale a dichiarare bancarotta identitaria. E con i social che ti spingono a performare, la notriphobia esplode – perché chi non viaggia è solo un relitto, un apatico che non merita spazio nel grande show della vita.

Su Instagram, il viaggio è uno spettacolo puro: non è più un’avventura, è un "vedi, quindi esisto" totale. Qui, la mobilità è moralizzata fino all’assurdo – viaggiare è un dovere, l’immobilità un peccato mortale. Come Goffman ci ricorda, siamo tutti attori su un palco eterno, e il viaggio è il tuo monologo da star. Ma attenzione al paradosso: tutti corrono a imitare gli stessi trend, finendo in una società della trasparenza à la Han, dove non mostrare nulla ti rende sospetto. La notriphobia, quindi, non è una sciocchezza: è il segnale che nel nostro mondo, non viaggiare vuol dire non esistere, punto e basta. Se ti senti escluso, beh, forse è ora di accendere quel PC e fingere un viaggio virtuale – o ammettere che il sistema è truccato.

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