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L’architettura fascista riscrive il paesaggio italiano con i suoi esempi più celebri e discussi

Avete mai sognato una Roma che sembra uscita da un kolossal hollywoodiano, ma con un tocco di terrore fascista? Mussolini, il Duce supremo, nel 1925 ha dichiarato guerra all’architettura noiosa per trasformarla in un’arma di propaganda epica: “La nuova Italia fascista sarebbe stata erede della Roma imperiale!” Così, edifici mastodontici e città intere sono nati per sfoggiare muscoli e grandeur, demolendo il passato per un futuro grandioso.

L’architettura fascista, quel mix micidiale di stile littorio colossale e monumentale, non era solo cemento e travertino: era pura propaganda del regime. Benito Mussolini, con la sua visione da dittatore, voleva che ogni pilastro e arco urlasse la grandeur dell’Italia fascista, erede della Roma imperiale. Immaginatevi la nazione come un gigantesco set cinematografico, con sventramenti urbani che spazzavano via il vecchio per fare spazio al nuovo impero – e che imbarazzo se non funzionava!

A differenza dei tedeschi con il loro nazismo rigido, il fascismo italiano ha giocato con le correnti architettoniche, permettendo un caos creativo tra neoclassico e razionalismo durante gli anni 1922-1942. Il neoclassico, diventato il preferito di Mussolini dalla fine degli anni ’30, guardava al passato romano con occhi affamati, scovando radici negli scavi di Ostia e Roma. Forme severe, simmetriche e disadorne, piene di muri, archi e colonne in travertino, creavano un’estetica monumentale ma spartana – niente fronzoli, solo potenza pura. Marcello Piacentini, il genio (o il burattinaio?) di questa follia, ha dominato le commissioni urbanistiche, plasmando il piano regolatore di Roma del 1931, la Città universitaria con il suo Palazzo del Rettorato, e l’E42 per l’Esposizione Universale mai realizzata. E non perdetevi il Palazzo della Civiltà Italiana di Guerrini, La Padula e Romano, ribattezzato con sarcasmo “Colosseo Quadrato”, l’emblema romano che grida autarchia – o forse solo egocentrismo.

Poi c’è il razionalismo, il ribelle del gruppo, ispirato alle avanguardie europee con funzionalismo, trasparenza e cemento armato, ma sempre con un inchino al passato per non irritare il regime. Nato in Lombardia grazie al Gruppo 7 e riviste come Casabella e Quadrante, ha trovato in Giuseppe Terragni il suo eroe, con capolavori come l’edificio Novocomum, l’Asilo Sant’Elia e la del Fascio a Como. Quest’ultima, con la sua facciata a griglia e atrium trabeato, è un pasticcio affascinante di moderno e antico – troppo fredda per le masse, ma l’edificio razionalista più epico del fascismo. Peccato che, con l’avvicinamento a Hitler, Mussolini abbia scaricato il razionalismo nel 1931, abbracciando il neoclassicismo di Stato: monumentale, scenografico e “romanissimo”, perfetto per spargere miti e grandezza fascista tra le folle ignare.

Il regime non si è limitato a erigere edifici sporadici: ha riscritto interi paesaggi, da Roma a Brescia, con sventramenti spietati. Piazza Augusto Imperatore e Via della Conciliazione, opera di Vittorio Ballio Morpurgo e Marcello Piacentini, hanno demolito quartieri per collegare monumenti antichi a quelli nuovi, creando assi prospettici da capogiro verso il Mausoleo di Augusto e la Basilica di San Pietro. Piacentini ha replicato il trucco a Brescia con Piazza della Vittoria, modello per le città laziali come Littoria (oggi Latina), Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, nate dalle bonifiche delle paludi. Insomma, un’ambiziosa follia urbanistica che, tra trionfi e distruzioni, ricorda come l’architettura possa essere sia gloria che scandalo. Che ne dite, era genio o delirio?

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