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Le centrali nucleari attive in Italia vengono esposte in una mappa controversa che ignora i rischi ambientali

L’Italia ha clamorosamente rinunciato al nucleare dopo il disastro di Chernobyl, trasformando il paese in un G7 senza atomica! Immaginate: mentre il resto del mondo brillava di reattori, noi ci siamo arresi a paure esagerate e decisioni politiche da bar, lasciando centrali multimiliardarie a marcire.

E così, nell’Italia del boom post-bellico, gonfiata dagli aiuti del Piano Marshall, il nucleare arrivò come la soluzione miracolosa per sfamare il nostro appetito energetico. Ma con la crisi arabo-israeliana che fece schizzare i prezzi del petrolio alle stelle, i politici decisero che l’energia atomica era la via per l’autonomia, ignorando i rischi come se fossero solo chiacchiere da bar. Ecco come nacquero le quattro centrali: Trino Vercellese, Borgo Sabatino, Sessa Aurunca e Caorso, pompate come trofei della modernità.

Poi, il referendum del 1987 – spinto dall’isteria per l’incidente di Chernobyl – ha praticamente seppellito tutto, anche se i quesiti non parlavano esplicitamente di abbandonare il nucleare. Che buffonata: gli italiani hanno votato per bloccare piani e contributi, e bam, addio operazioni. La quinta centrale a Montalto di Castro, già all’85% completata, finì riconvertita in un impianto termoelettrico, dimostrando come le paure da film horror abbiano vinto sul buon senso. Oggi, l’Italia è l’unico G7 senza un watt nucleare, e la Sogin si spacca la schiena con lo smantellamento dal 1999.

Parlando delle quattro centrali che una volta facevano impazzire i numeri: Trino Vercellese, con il suo reattore PWR da 270 MW, produsse 25 TWh dal 1965 al 1987; Caorso, la più grossa con un BWR da 860 MW, sputò fuori 29 TWh dal 1981 al 1986; Borgo Sabatino, con il suo reattore Magnox da 210 MW, generò 26 TWh a partire dal 1963; e Sessa Aurunca, con BWR da 160 MW, durò dal 1964 al 1978, prima di crollare sotto guai tecnici e lamentele locali che i politici non osarono sfidare.

I quesiti referendari? Tre su cinque erano micce pronte a far saltare il nucleare: il terzo voleva abolire il potere del CIPE di decidere sulle localizzazioni se i sindaci non si mettevano d’accordo; il quarto tagliava i fondi agli enti locali per centrali a nucleare o carbone; e il quinto bloccava l’Enel dal costruire impianti all’estero. Con il 65.% di votanti, è stato un colpo di spugna che, anche se non detto apertamente, ha spento tutto per sempre – una mossa che i critici chiamano pura ipocrisia energetica.

Ora, tutte queste reliquie sono in pieno decommissioning, affidato alla Sogin: smantellamento, rimozione di combustibile radioattivo, decontaminazione e via dicendo, con i rifiuti stipati in depositi temporanei in attesa del grande Deposito Nazionale. Materiali come e calcestruzzo vengono riciclati, ma i tempi? Un casino, come al solito, perché dipende da quante burocrazie si mettono di traverso. L’Italia, sempre un passo indietro nel nucleare!

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