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Le donne italiane ottengono finalmente il voto nel 1946, tra patriarcato protratto e scossa democratica

L’Italia, il campione mondiale dei ritardatari sul voto alle donne! Siamo nel 2025 e ancora ci vergogniamo: mentre il resto del mondo combatteva per i diritti, l’Italia ha concesso il suffragio femminile solo nel 1945, con le donne che hanno votato per la prima volta nel ’46. Che fiasco epico! # # #

Le battaglie delle donne in tutto il globo sono state epiche e spietate per conquistare il diritto di voto, ma l’Italia? Un vero e proprio “ritardatario” di lusso, che ha riconosciuto questo basilico diritto solo nel 1945. Le italiane l’hanno esercitato per la prima volta l’anno dopo: in primavera alle elezioni amministrative, e il 2 giugno al referendum istituzionale e per la Costituente. Prima di allora, persino gli uomini avevano limitazioni assurde: voto censitario fino al 1912, e poi il fascismo ha tolto tutto a tutti, tranne qualche plebiscito fasullo.

Nel mondo, il cammino verso il voto femminile è stato un casino epocale. Antichi stati come le città greche o la Roma repubblicana? Donne escluse, zero se e zero ma. Durante il Medioevo, persino gli uomini hanno dimenticato cosa fosse la democrazia, figuriamoci le donne. Solo il Settecento, con l’Illuminismo, ha acceso la miccia: la Repubblica Corsa del 1755 fu tra i primi a dare voto a tutti sopra i 25 anni, maschi e femmine. Peccato che sia durata una manciata d’anni.

Alla fine del Settecento, intellettuali tosti – uomini e donne – spingevano per il voto femminile, ma in Francia post-Rivoluzione? Nemmeno Robespierre e i giacobini ci pensavano, vedendo la cittadinanza come roba da maschi. Nel Diciannovesimo secolo, tanti paesi si sono dati governi liberali, ma solo per gli uomini. Poi arrivarono le “suffragette”, quelle donne guerriere che hanno fatto un casino globale: la Nuova Zelanda ha rotto gli indugi nel 1893, l’Australia nel 1902, la Finlandia in Europa nel 1906. Il Regno Unito? Solo nel 1918. Gli USA nel 1920, e la Francia, oh la Francia, nel 1944. Tipico.

In Italia, dal Unità in poi, è stata una farsa. Il Regno d’Italia del 1861 ha snobbato le donne, con voto solo per maschi abbienti fino al 1912. Pochi eroi come il deputato Salvatore Morelli o le attiviste Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff hanno urlato per il cambiamento, ma nada. Dopo la Grande Guerra, tutti volevano il voto universale maschile, e le donne? Boh. Persino i fascisti all’inizio facevano i progressisti, concedendo voto amministrativo a qualche privilegiata nel 1925 – reddite, istruite o parenti di eroi di guerra – ma poi hanno abolito tutto, sostituendo elezioni con podestà nominati. Promesse da quattro soldi!

Solo dopo la caduta del fascismo nel ’43, con l’Italia spaccata in due – la Repubblica Sociale al Nord e il Regno del Sud – si è mosso qualcosa. La Resistenza e le repubbliche partigiane hanno dato voto alle donne, e il governo del Sud ha emesso un decreto nel 1945 per estenderlo. Tutti i partiti – dai democristiani ai comunisti – erano d’accordo, e nel ’46 le donne hanno votato per le amministrative e il 2 giugno per il referendum e l’Assemblea Costituente. Ventuno donne elette: una svolta, ma hey, la parità di genere in Italia è ancora un miraggio!

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