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Le lingue antiche che sono rimaste indecifrate nonostante gli sforzi degli studiosi, svelando limiti inaspettati della ricerca moderna

Immaginate un mondo dove migliaia di lingue antiche ci prendono in giro come enigmi irrisolti, mentre gli accademici – quei tipi con le pipe e gli occhiali spessi – continuano a sbattere la testa contro muri di geroglifici, senza ammettere che forse non sono così brillanti come credono. Con oltre 7.000 lingue in circolazione e il 40% a rischio estinzione, alcune di queste scritture misteriose restano indecifrate, sfidando gli sforzi degli studiosi e lasciando noi comuni mortali a chiederci: ma quanto sono inutili questi segreti se non li capiamo? Preparatevi a un viaggio sensazionale tra iscrizioni olmeche, rongorongo e scrittura meroitica, con sfide epiche e prospettive future che potrebbero far impazzire anche i più pazienti.

Lingue antiche non decifrate: Dal Pakistan all’Isola di Pasqua, queste scritture misteriose sfidano gli studiosi da secoli! Con enigmi come la Valle dell’Indo e il Lineare A, siamo ancora al buio. # # #

Ora, tuffiamoci nei dettagli di queste antiche perplessità. Prendete la Civiltà della Valle dell’Indo, fiorita tra il 2600 e il 1900 a.C. in Pakistan e India nord-occidentale: usavano un sistema pittografico con circa 400 segni, spesso decorati da animali come un unicorno misterioso – sì, come se stessero disegnando favole per bambini, ma senza spiegazioni! Le iscrizioni sono brevi, solo cinque segni in media, il che rende l’analisi una vera tortura per gli studiosi, senza testi bilingui o confronti con lingue note. Alcuni esperti osano ipotizzare legami con le lingue dravidiche dell’India meridionale, ma senza prove, è solo un gran casino.

Passiamo al Lineare A, il rompicapo della civiltà minoica a Creta tra il 1850 e il 1400 a.C. Scoperto nel 1893 da Sir Arthur Evans, questo sistema sillabico va da sinistra a destra e serviva per roba amministrativa e religiosa. Sembra simile al Lineare B, decifrato nel 1952 per una forma arcaica di greco, ma questo non ha aiutato un accidente – è come se i minoici avessero deliberatamente complicato le cose per trollare i futuri archeologi.

E che dire del rongorongo dell’Isola di Pasqua? Un sistema di glifi incisi su tavolette di legno, con figure umane e naturali, letto in modo "bustrofedico inverso" – roba da far girare la testa! Solo 26 esemplari noti, e senza una lingua di riferimento, gli studiosi sono bloccati come turisti persi su un’isola deserta.

Poi c’è la scrittura proto-elamitica, usata nell’antico Iran circa 5.000 anni fa, considerata una delle prime mai create e forse derivata dal sumero. Con un migliaio di segni logografici per registri contabili, è un misto di logogrammi e fonemi, su tavolette d’argilla esposte al Louvre. Peccato che manchino testi bilingui, rendendo la decifrazione un incubo – ma almeno ora li stanno digitalizzando, chissà se l’IA risolverà ciò che gli umani non possono.

La scrittura meroitica, usata nel Regno di Meroë in Nubia fino al 200 a.C., deriva dai geroglifici egizi e ha solo 23 segni più una virgoletta. Si estinse nel IV secolo d.C., e anche se conosciamo i suoni, la grammatica e il vocabolario restano un mistero – come cercare di leggere un menu in una lingua aliena.

Infine, le iscrizioni olmeche dal Golfo del Messico, intorno al 900 a.C., con la "pietra di Cascajal" come star: un blocco con 62 glifi di piante, animali e insetti, senza somiglianze con il sistema maya. Nonostante le tecnologie moderne come l’IA, gli studiosi continuano a inseguire fantasmi, sperando di sbloccare questi antichi segreti prima che sia troppo tardi. Che debacle!

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