AI Ruba Traffico e Rovina gli Editori: Google Sotto Accusa per un “Colpo di Stato Digitale”!
L’intelligenza artificiale di Google e ChatGPT sta letteralmente saccheggiando il web, lasciando editori online a secco di click e soldi! Dalle statistiche, il traffico crolla del 30% mentre le ricerche esplodono, ma chi ci guadagna? Non di certo i siti che producono contenuti veri. È una rivoluzione brutale, dove Big Tech si ingrassa sulle spalle dei piccoli, ignorando chi crea le info. #AIRivoluzione #GoogleScandalo #EditoriInCrisi
Le tecnologie AI come ChatGPT e le Panoramiche AI di Google stanno capovolgendo il mondo delle ricerche online, trasformando un semplice scroll in un campo minato per gli editori. Se prima contavamo sui classici link blu per trovare risposte, ora ci becchiamo sintesi automatiche che ci tengono inchiodati alla prima schermata, senza mai cliccare su un sito vero. Il risultato? Un crollo epico del traffico per i media, che vivevano di quei preziosi “click” come ossigeno per i loro conti. Mentre le ricerche diventano più complicate e chiacchierone, attirando contenuti da angoli oscuri del web, aziende e startup annaspano per inventarsi nuovi modi per monetizzare in questo caos dominato dall’AI.
L’impatto dell’AI su visite e guadagni dei siti Web è una vera carneficata. Da maggio 2024, con l’arrivo delle AI Overview di Google, le impression di ricerca sono schizzate su del 49%, segno che la gente fa più domande, magari sperando in risposte facili e “magiche”. Peccato che il Click-Through Rate (CTR) sia crollato di quasi il 30% nello stesso periodo, perché gli utenti si accontentano della pappa pronta dell’AI e ignorano i link veri. Prendete il New York Times: secondo report di SimilarWeb, il traffico umano è precipitato dall’44% ad aprile 2022 al 36,5% ad aprile 2025, una batosta che fa tremare i giganti dell’editoria. Google prova a minimizzare, blaterando che la gente passa più tempo sulle pagine visitate, ma la realtà è che nessuno clicca più, period. Per tappare la falla, Google ha lanciato Offerwall su Ad Manager, un trucchetto per far pagare micropagamenti o vedere annunci – roba che in passato è stata un flop epico. L’azienda sbandiera un aumento del 9% delle entrate in test, ma chi ci crede? È solo fumo negli occhi.
Sulle abitudini di ricerca, l’AI ha creato un mostro: le query sono diventate più lunghe e smielate, con un balzo del 7% per quelle oltre otto parole. Invece di digitare “efficienza pannelli solari”, ora chiediamo “come ottimizzare l’efficienza dei pannelli solari in climi nuvolosi”, e bum, arriva una risposta bella pronta senza dover scartabellare siti. Fantastico per l’utente, ma un incubo per gli editori, che perdono traffico e pubblicità. E non dimentichiamo: questi riassunti AI pullulano di errori, ma se la gente non approfondisce, chi se ne accorge? Intanto, le ricerche usano più termini tecnici – su del 48,3% in settori come finanza e tech – segno che tutti si fidano ciecamente dell’AI per Roba da Esperti.
L’AI sta riscrivendo il mercato dell’editoria online in modo perverso. Google ora pesca contenuti da pagine sepolte, tipo quelle dal 21° al 30° posto, con citazioni aumentate del 400% dopo un aggiornamento a marzo 2025. Sembra democratico, eh? Peccato che senza click, anche i piccoli siti ben fatti valgano zero economicamente. Così, editori come il New York Times firmano accordi con Amazon o OpenAI per addestrare le AI, mentre Perplexity promette di condividere ricavi pubblicitari. Ma è abbastanza? Nemmeno per sogno.
Gli editori UE denunciano Google per abuso di potere, accusandolo di rubare contenuti per le sue Overview AI senza chiedere permesso. Il gruppo, tra cui l’Independent Publishers Alliance, vuole che l’Antitrust blocchi questo scempio per salvare la concorrenza e le notizie indipendenti. Google si difende dicendo che i siti ricevono ancora “miliardi di click”, ma è una bugia bella e buona – e simili denunce fioccano in UK e USA. È un colpo di stato digitale, dove Google gioca a fare Dio del web.
Infine, le priorità dell’AI vengono smontate dal commento di Salvatore Aranzulla, uno dei guru tech italiani: “Questi sistemi AI forniscono la risposta all’utente e la recuperano da siti Internet editoriali, come Geopop, come Aranzulla.it, che ora vengono citati [nei riassunti basati sull’AI]. Ovviamente, fornendo [direttamente] una risposta l’utente non arriva più all’interno del sito e, quindi, i siti che vivono di pubblicità finiscono per perdere traffico, finiscono per perdere guadagni. Il punto vero è capire la sostenibilità a lungo termine. Nel senso che, se su un sito non arriva più traffico e non guadagna tramite la pubblicità, [noi editori] abbiamo meno incentivi a produrre dei contenuti di qualità e aggiornati. Se gli editori da cui queste intelligenze artificiali attingono le informazioni non producono più informazioni di qualità, le informazioni che [le AI] restituiranno all’utente saranno incomplete e parziali.” Aranzulla aggiunge: “Io la vedo male, nel senso che attualmente tutte queste intelligenze artificiali si stanno focalizzando sulla parte dell’utente ignorando tutte quelle altre persone – gli editori – che pubblicano le informazioni. Il rischio è che [le AI] finiscano per perdere di qualità e quindi non possano soddisfare i bisogni dell’utente a lungo termine.”
Se gli editori smettono di produrre per mancanza di quattrini, le AI finiranno per sputare cavolate, rompendo l’intero giocattolo. È un avvertimento: qualcuno deve sistemare ‘sta roba, e in fretta!