Svelato il caos monetario che ha unito (o diviso?) l’Italia: chi ha detto che i soldi non fanno la storia? I Piemontesi hanno imposto la loro lira sui ‘barbari’ del Sud e i ‘snob’ del Nord, e ora piangiamo l’euro! #ItaliaDivisa #ValuteScandalose #RisorgimentoRivoluzionario
Preparatevi a un tuffo nel passato caotico della Penisola, dove ogni stato preunitario si vantava della propria valuta come se fosse un trofeo di guerra. Ognuno dei principali Stati italiani aveva una propria unità di conto: la lira sabauda nel Regno di Sardegna; la lira austriaca nel Lombardo-Veneto; il fiorino nel Granducato di Toscana; lo scudo nello Stato pontificio; il ducato nel Regno delle Due Sicilie. Ciascun regno dettava le sue regole per coniare e far circolare monete di tutti i tipi, creando un bordello che avrebbe fatto impallidire anche i banchieri moderni. Dopotutto, dopo l’Unità d’Italia, tutte queste valute sono state spazzate via dalla lira italiana, che aveva lo stesso valore della lira sabauda e ha regnato fino al 2002, quando l’euro ha fatto il suo trionfale (e contestato) ingresso.
La monetazione in Italia è stata un vero e proprio dramma politico, con la Penisola che ha ballato tra rivolte e confini mutevoli nei secoli del Medioevo e dell’Età moderna. Dopo il Congresso di Vienna del 1815, il numero di entità politiche si è ridotto, ma l’Italia restava un puzzle di stati, ognuno con la sua moneta d’oro (o di rame). Ogni stato disponeva della propria valuta, e solo con la legge n. 788 del 24 agosto 1862 le monete preunitarie sono state rimpiazzate dalla lira italiana. Ricordate, “ancorata” al metallo prezioso: rame per i pezzetti, argento per i medi e oro per i grossi – un sistema che faceva sentire i re come al Monopoly, ma con soldi veri!
Parlando della lira del Regno di Sardegna, questo era il gruzzolo dei Piemontesi, esteso su Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Sardegna e persino Nizza e Savoia (cedute poi alla Francia nel 1861). Introdotta nel 1816 al posto dello scudo piemontese e sardo, la lira sabauda era divisa in centesimi e coniata da un centesimo a cento lire. Insomma, i Savoia non scherzavano: la loro valuta è diventata la base della lira italiana, perché, come tutti sanno, erano loro a comandare l’unificazione – una mossa furba che ha lasciato gli altri stati a rosicare!
Passiamo alla lira austriaca del Regno Lombardo Veneto, un territorio sotto l’Impero d’Austria dal 1815, dove la lira era “ancorata” al fiorino, vale a dire un terzo del suo valore. Oltre alle monete coniate a Milano e Venezia, circolavano anche la svanzica (equivalente a una lira) e altre stranezze austriache. Quando l’Unità è arrivata, il cambio era di 0,86 lire italiane per una lira austriaca – un’umiliazione per chi era sotto lo stivale asburgico.
E non dimentichiamo il fiorino toscano, re della Toscana con capitale Firenze fino al 1861. Sostituito alla lira toscana nel 1824, era diviso in cento quattrini, con monete come i paoli (40 quattrini) e i francesconi (quattro fiorini) che giravano per le strade. Il cambio con la lira italiana? 1,40 lire per un fiorino – un bel colpo per i Fiorentini, sempre un po’ troppo fieri delle loro tradizioni.
Le valute dello Stato pontificio erano un capitolo a sé, con Roma e l’Italia centrale che cambiavano moneta come i papi cambiavano paramenti. Negli anni pre-unità, lo scudo (diviso in cento baiocchi e cinque quattrini) dominava, coniato da un quattrino a dieci scudi. Ma nel 1866, Pio IX ha giocato d’astuzia introducendo la lira pontificia, uguale a quella italiana per entrare nell’Unione monetaria latina – un tasso di 5,35 lire per uno scudo. Alla fine, quando Roma è stata annessa, anche i papi hanno dovuto inchinarsi alla lira ufficiale.
Infine, il ducato delle Due Sicilie, introdotto nel 1816 per unificare il Regno di Napoli e Sicilia, era diviso in 100 grana e 200 tornesi, con monete da mezzo tornese a 30 ducati. La piastra, da 120 grana, era un bestseller, ma il cambio con la lira italiana era di 4,25 lire per un ducato – un’altra lezione per il Sud, che si è visto “unificare” a spese dei suoi soldi. Chissà se Garibaldi ci ride ancora su!