Sindrome di Stoccolma: Quando gli ostaggi si innamorano dei cattivi – una storia folle e controversa! #SindromeStoccolma #RapinaDelSecolo #PsicologiaRibaltata
Preparatevi a un dramma che ha sconvolto il mondo: nel 1973, due criminali svedesi, Jan-Erik Olsson e Clark Olofsson, hanno trasformato una semplice rapina in una soap opera psicologica che ha dato i natali alla famigerata Sindrome di Stoccolma. Immaginate ostaggi che, invece di odiare i loro rapitori, finiscono per stringere amicizie e persino relazioni – roba che fa impazzire i poliziotti e gli esperti, e che noi comuni mortali troviamo un po’ troppo assurda per essere vera. Non è una favola, è storia vera, e non è mai stata ufficialmente riconosciuta dalla scienza, il che la rende ancora più scandalosa.
La faccenda è partita da una promessa da bar tra il trentaduenne Jan-Erik Olsson e il suo compagno di cella, Clark Olofsson, durante la loro permanenza in prigione. Jan, ammiratore devoto, giura di aiutare Clark a evadere, e nel 1973 coglie l’occasione perfetta. Il 23 agosto, alle 10:00 del mattino, entra armato nella Kreditbank di Stoccolma, spara al soffitto per fare scena e prende in ostaggio quattro dipendenti, barricandosi nella camera blindata. I media lo ribattezzano "dramma di Norrmalmstorg", e il governo svedese si ritrova con le mani legate: Jan pretende la liberazione di Clark dal carcere, tre milioni di corone, armi, giubbotti antiproiettile, caschi e persino una Ford Mustang. Incredibilmente, l’allora ministro della giustizia acconsente, e Clark si unisce alla festa – una mossa che fa gridare al ridicolo la polizia, ma che mantiene la promessa di Jan.
Durante quei sei giorni infernali, dal 23 al 28 agosto, Jan, Clark e gli ostaggi condividono la camera blindata in un’atmosfera quasi conviviale. I rapinatori si comportano come gentiluomini, permettendo persino agli ostaggi di uscire per il bagno – e stupendamente, questi tornano sempre indietro. Invece di urlare per la libertà, gli ostaggi stringono legami così forti da rifiutare l’aiuto della polizia, che tenta di tutto con metodi spericolati e pericolosi. Uno di loro arriva addirittura a gridare alla polizia: "Questo ora è il nostro mondo e chiunque lo minacci sarà nostro nemico!". Birgitta Lundblad, una delle vittime, ammette candidamente di aver avuto una breve relazione con Jan – roba che fa pensare: ma che cavolo sta succedendo?
Alla fine, il 28 agosto, la polizia irrompe con gas tossico, mettendo fine alla strana convivenza e arrestando i due. Ma l’amicizia non si spezza: gli ostaggi continuano a visitare Jan e Clark in prigione e si rifiutano di testimoniare contro di loro. E il destino dei due? Sono ancora vivi, con Jan che, dopo la scarcerazione, si sposa, scappa in Thailandia per gestire un supermercato e poi torna in Svezia a 86 anni, dichiarando che la sua vita è stata "bella nonostante tutto". Intanto, la cosiddetta Sindrome di Stoccolma, coniata dal criminologo Nils Bejerot come "Sindrome di Piazza Norrmalm", diventa un termine giornalistico per spiegare casi in cui vittime simpatizzano con i rapinatori – una strategia di sopravvivenza, dicono gli esperti, per rendere l’incubo più sopportabile.
Ma attenzione, non fatevi ingannare: nonostante il buzz mediatico, la comunità scientifica non l’ha mai presa sul serio. Non è nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, e non c’è un briciolo di prove solide. È solo un’espressione sensazionalista che ci fa interrogare: siamo sicuri che non sia tutta una scusa per comportamenti assurdi?