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Sapori nel grembo materno percepiti dai feti, rivela la scienza come influsso precoce sul gusto umano

Feti che assaggiano la cena della mamma prima ancora di nascere? Scioccante! Immaginate: i vostri futuri marmocchi che già si lamentano del gusto amaro del cavolo riccio mentre galleggiano nel pancione – perché, sì, la conferma che i feti non sono solo in vacanza uterina, ma assaporano letteralmente ciò che mangiate, con facciali che vanno dal sorriso per le cose dolci a smorfie da incubo per le verdure. Questo non è un trips psichedelico, è evoluzione pura, e potrebbe spiegare perché i vostri bimbi rifiutano le cene sane fin dal primo respiro.

Ma entriamo nei dettagli succosi: il grembo materno non è una fortezza impenetrabile, bensì un filtro che fa passare i sapori del mondo esterno dritto nel liquido amniotico, dove i feti ne ingoiano litri ogni giorno. Dopo che una mamma sbrana un pasto, molecole di cibo viaggiano attraverso il sangue, superano la placenta e trasformano quel brodo in una zuppa sensoriale. Non stiamo parlando di un tasting menu stellato, ma di cambiamenti chimici che i piccoli “assaggiano” in modo grezzo e primordiale. E quando maturano, tra il secondo e il terzo trimestre, i loro sensi del gusto e dell’olfatto entrano in azione, rendendoli critici gastronomici in erba.

Prendete uno studio del 2022 da Psychological Science, dove ecografie 4D hanno catturato feti che facevano faccette buffe: dopo capsule alla carota, esibivano espressioni simili a un sorriso, mentre con quelle al cavolo riccio – un sapore amaro che nemmeno i grandi sopportano – sfoggiavano smorfie corrucciate, come a dire “Ma che schifo è questo?”. Non è adorabile? O forse inquietante, se ci pensate troppo.

E non finisce qui: se una mamma si ingozza di certi cibi nelle ultime settimane, lascia una “memoria gustativa” nei feti, influenzando le preferenze dei neonati. Gli stessi ricercatori di Durham hanno visto che, dopo ripetute dosi di carota o cavolo, i bimbi appena nati reagivano con meno musi lunghi a quei sapori, persino al detestato cavolo. Studi più vecchi, tipo quelli sugli aromi forti come l’anice in Alsazia, confermano che i piccoli diventano più tolleranti a ciò che le mamme divorano abitualmente, combattendo la neofobia alimentare – quella paura innata dei cibi nuovi che rende le verdure un incubo per i genitori.

Ma perché tutta questa storia di sapori prenatali? Dal punto di vista evolutivo, è un trucco geniale: aiuta i neonati a riconoscere la mamma dal sapore e odore del , che ricorda il liquido amniotico, facilitando quel legame primordiale per non perdersi nel caos post-partum. Altrimenti, passare dal calduccio uterino al mondo esterno sarebbe un trauma epico, con odori e gusti che sembrano alieni. Così, questi assaggi precoci preparano i piccoli a tuffarsi nella vita reale, rendendo il primo respiro un po’ meno shockante e un po’ più… familiare. Che colpo di genio della natura, no?

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