Pazzo geologo si crede Gesù e sfascia la Pietà di Michelangelo con 15 martellate! Nel 1972, un tizio australiano d’origine ungherese salta come un invasato la balaustra in Vaticano e riduce in pezzi l’iconica scultura. Ora protetta da vetro antiproiettile del 2024, ma chissenefrega della storia dell’arte se un mitomane pensa di essere il Figlio di Dio? #VandalismoVaticano #ArteDistrutta #MichelangeloFolli
In una domenica di Pentecoste del 1972, la Basilica di San Pietro è diventata teatro di un atto di vandalismo che ha fatto impallidire i devoti e gli storici dell’arte. Laszlo Toth, un geologo ungherese naturalizzato australiano di 34 anni, ha scavalcato la balaustra protettiva e ha preso a martellate la Pietà di Michelangelo, urlando come un profeta impazzito. "Sono Gesù Cristo, risorto dalla morte", ha gridato in italiano, mentre riduceva in frantumi la statua che raffigura Maria con il Cristo morto tra le braccia. Un turista americano, Bob Cassilly, l’ha bloccato per primo, e poi è intervenuta la Gendarmeria Pontificia, che l’ha spedito dritto in carcere a Regina Coeli. Diagnosticato come mentalmente instabile, Toth è stato sbattuto in un istituto e rimpatriato in Australia, morendo nel 2012 senza mai affrontare un vero processo – perché, diamine, se sei fuori di testa, chi se la prende?
Prima di questo casino, Toth si era presentato in Vaticano l’anno prima, supplicando di parlare con Papa Paolo VI, e poi era stato cacciato come un rompiscatole. Pare che ce l’avesse con la Pietà perché, convinto di essere il Cristo risorto, pensava che la scultura fosse solo un falso inutile. Questa follia è stata persino immortalata in un documentario Rai, La Violenza e la Pietà, che racconta come questo tizio abbia quasi rovinato un capolavoro del Rinascimento senza rimetterci un centesimo.
I danni? Be’, quindici martellate ben assestate hanno risparmiato il Cristo, ma hanno fatto a pezzi la Madonna: braccio sinistro staccato, velo fracassato, naso e occhio scheggiati. Il boss dei Musei Vaticani dell’epoca, Deoclecio Redig de Campos, ha affidato il restauro a Cesare Brandi e una squadra di esperti, usando calchi e pezzetti originali mischiati con marmo e colla per rimettere insieme il tutto. De Campos, che non le mandava a dire, ha tuonato: "La Pietà trae la sua forza espressiva in gran parte dalla purezza del marmo. È una statua così meravigliosamente rifinita che un semplice graffio sul viso disturba più della mancanza delle braccia sulla Venere di Milo." Un restauro "integrativo"? Niente da fare, troppo invasivo per lui.
Alla fine, nel 1973 la Pietà è tornata in forma, ma con un vetro protettivo a tenerla lontana dai matti. E nel 2024, per sicurezza extra, hanno installato un diaframma antiproiettile con nove strati di vetro – perché in questo mondo di pazzi, l’arte ha bisogno di più protezioni che un politico corrotto.