I cannoni anti-grandine: una follia che spara al cielo e brucia soldi! Agricoltori disperati ancora sparano cariche esplosive per fermare la grandine, nonostante prove zero di efficacia. Morti, incidenti e sprechi inutili: è scienza o pura superstizione medievale? #AntiGrandineFollie #ClimaFolli #AgricolturaArcaica
Ancora oggi, in Italia e altrove, certi agricoltori si ostinano con i cosiddetti cannoni "anti-grandine", aggeggi che sparano piccole esplosioni per creare onde d’urto e fumo verso il cielo, basati su teorie vecchie di fine ‘800 che promettono di bloccare la grandine e salvare i raccolti. Ma andiamo sul serio: non c’è una sola prova solida che funzionino, è solo una tradizione idiota che si rifiuta di morire, mentre l’agricoltura mescola innovazione con misticismi da secoli fa. Questi poveretti si aggrappano a questi balocchi per combattere il clima impazzito, ma è come lanciare sassi alle nuvole – patetico e pericoloso.
Quando sono nati i cannoni "anti-grandine": la storia ridicola. Risale al XIV secolo, con cannoneggiamenti folli nella speranza che il botto influenzasse le nuvole, e nel 1750 l’imperatrice d’Austria li bandì per evitare morti e casini meteo. Poi, nel 1896, quel borioso di M. Albert Stiger in Austria iniziò i suoi esperimenti, sparando cannoni che rilasciavano fumo per "assorbire" l’umidità e trasformare la grandine in pioggia – una teoria che suona come una scemenza, simile al cloud seeding moderno ma applicata da terra con risultati da barzelletta. I suoi marchingegni a forma di megafono creavano nubi fino a 300 metri, e nei primi anni sembrò funzionare, con zero grandine nelle zone protette mentre il resto soffriva. Così, l’Europa vinicola – Italia, Francia, Germania, Austria – si infiammò, e nel 1900 ce n’erano già 10.000 in Italia, importati dal dottor E. Ottaviri. Ma era solo l’inizio del flop.
I cannoni spopolarono, con un congresso internazionale nel 1901 che li celebrava come eroi, ma poi? Una relazione del 1903 ammise che i danni da grandine restavano enormi nonostante i spari preventivi, e nel 1906 furono quasi abbandonati per via di incidenti mortali – solo in Lombardia, nel 1903, 5 morti e 30 feriti gravi. Stagioni di tempeste mostrarono che era tutto inutile, una buffonata costosa.
Il primo ritorno: gli anni ’50. Eh sì, tornarono di moda, stavolta con razzi esplosivi in quota, specie negli USA, Italia e Francia, riciclando l’idea medievale che l’onda d’urto distrugga i chicchi di grandine. Scienziati come Pernter l’avevano già smontata nel 1900, e studi americani negli anni ’60 confermarono: quei cosi non rompevano un chicco oltre 1 metro, e serve 1 kg di TNT per far danni entro 15 metri – ridicolo, considerando i tuoni naturali ben più potenti! Comunque, li vendettero fino ai ’70 in Italia, prima che una legge li bloccasse per i rischi.
L’ennesimo ritorno: i cannoni nel terzo millennio. Non ci credete? La World Meteorological Organization segnalò nel 2001 che sti aggeggi sono ancora in ballo, e uno studio "a favore" del 2023 ha rilevato variazioni di umidità fino a 40 minuti dopo le esplosioni, ma a soli 160 metri di quota – mentre le nuvole temporalesche partono da 1500 metri e vanno su fino a 10 km. Patetico. Si vendono a prezzi folli: in India, il Tribune esalta cannoni a "15-20 lakh" rupie (17-22mila euro), e in Italia, nel 2018, impianti a 37.000 euro. Le istituzioni li tollerano, con regole su spari e distanze – una delibera di Guarene limita a 200 metri da case e 50 da strade, massimo 6 cannonate all’ora, e serve l’ok dagli aeroclub. Ma è una follia: soldi buttati per zero risultati, mentre il clima ci ride in faccia. Che commento: se l’agricoltura non si sveglia, continueremo a sparare al cielo invece di innovare sul serio!