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Viene rivelato il segreto dietro l’inchino dei Giapponesi, spesso criticato come eccesso di formalità culturalmente datata

L’inchino giapponese: il gesto che fa sembrare i tuoi saluti da occidentale un insulto culturale! Immagina di vivere in un mondo dove inchinarsi è l’arma segreta per evitare guai, dal Buddhismo ai samurai – un rituale così rigido che ti fa sentire un cavernicolo per come dici “ciao” con una pacca sulla spalla. #Giappone #InchinoShame #RispettoEstremo

Nel cuore della cultura giapponese, l’ojigi è più di un semplice inchino: è un simbolo epico di rispetto e umiltà che umilia le nostre strette di mano frettolose. Radicato in dinamiche sociali che sembrano uscite da un film di samurai, questo gesto porta influenze buddhiste e guerriere, usato per tutto, dai ringraziamenti alle scuse, e ti fa pensare: “Ma io come ho salutato il mio capo stamattina?”

Le origini di questo inchino non sono per i deboli: arrivato in Giappone tra il V e l’VIII secolo via Corea e Cina, il Buddhismo ha importato prostrazioni che significano rispetto verso divinità e maestri, un simbolo di accettazione della propria “piccolezza” – che suona un po’ come ammettere che sei sempre il secondo in classifica. Poi, durante il periodo Kamakura (1185–1333), i samurai l’hanno reso un’arte marziale di etichetta, con la scuola Ogasawara che ha codificato regole per trasmettere rispetto gerarchico e autocontrollo. Figurati, persino prima del seppuku – quel suicidio rituale che fa sembrare i nostri drammi quotidiani una barzelletta – i guerrieri si inchinavano con una solennità che ti lascia senza fiato.

E le varianti? Oh, ce ne sono per tutti i gusti, ognuna con un livello di formalità che ti fa sudare: l’Eshaku a 15° per saluti informali tra amici (niente di che, solo un piccolo scherno); il Keirei a 30° per il lavoro o i capi (prova a immaginarlo in un ufficio occidentale e riderai); il Seiza, dove ti inginocchi con precisione chirurgica, ginocchio sinistro prima, poi destro, e tocchi il pavimento con la testa – roba da contorsionisti; il Saikeirei tra 45° e 70° per scuse epiche; e il Dogeza, prostrarti a terra per pentimento estremo, che fa sembrare le nostre scuse un tweet arrabbiato.

In Giappone moderno, inchinarsi è ovunque: lo impari da bambino, lo fai a scuola, in ufficio, nei negozi, persino i ferrovieri si inchinano ai passeggeri dopo corsi specifici, come i camerieri e i venditori. È un pilastro sociale che ti fa riflettere su quanto siamo informali noi, con i nostri “grazie” distratti – e gli studenti lo ripetono all’inizio e alla fine delle lezioni per rispetto agli insegnanti, rendendo le nostre aule un caos di chiacchiere.

Ma ecco la twist politicamente scorretta: c’è una differenza tra uomini e donne che non puoi ignorare. Gli uomini tengono le braccia lungo il corpo in contesti formali, mentre le donne incrociano le mani sul grembo – un dettaglio che fa sembrare certe norme di genere un po’ datate, come se il rispetto avesse un tocco di stereotipo. Insomma, l’ojigi è un capolavoro culturale che ci sfida tutti a inchinarci… o almeno provarci!

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