AI e Cibo: Immagini "Inquietanti" che Fanno Schifo e Rovinano l’Appetito!
Siete pronti a perdere la fame? Uno studio bomba dall’Università di Duisburg-Essen, pubblicato su Appetite, rivela che le foto di cibo create dall’AI – quelle quasi perfette ma con difetti ridicoli – ci fanno letteralmente accapponare la pelle. Chiamatela "valle del perturbante", ma è solo un modo fancy per dire che l’AI sta rovinando il nostro pranzo con proporzioni da incubo e texture che sembrano uscite da un horror low-budget. #AICibo #ValleDelPerturbante #NeofobiaAlimentare
In un mondo dove l’AI promette meraviglie, questo studio getta benzina sul fuoco: 95 persone hanno giudicato 38 immagini di piatti generati dall’intelligenza artificiale, da super realistici a palesemente falsi, inclusi cibi marci e schifosi. Risultato? Le immagini quasi perfette, con errori minuscoli come proporzioni sbagliate o texture innaturali, sono state etichettate come le più "inquietanti", lasciando i partecipanti con un disagio da far invidia a un film di zombie. Al contrario, quelle totalmente finte o realistiche? Boh, il cervello le archivia e passa oltre, perché noi umani siamo troppo furbi per cascarci.
Ma ecco il colpo basso: lo studio collega tutto alla neofobia alimentare, quella paura idiota di provare cibi nuovi. Gente con alti livelli di neofobia ha dato di matto di fronte a queste imperfezioni, mentre chi ha un BMI più alto – sì, parliamo di chi ama mangiare sul serio – si è rivelato più tollerante, addirittura apprezzando le foto AI come se fossero un invito a tavola. E dai, è come se l’AI stesse sabotando il marketing alimentare: un piccolo errore visivo e addio campagna pubblicitaria, trasformando un piatto invitante in qualcosa di totalmente rivoltante.
Alla fine, i ricercatori sostengono che l’evoluzione ci ha resi ipersensibili alle anomalie nel cibo per proteggerci, ma ora ci fa rifiutare roba sicura solo perché "sembra sbagliata". Insomma, l’AI potrebbe starci rendendo paranoici, e chi lo sa, magari è solo un altro trucco per venderci di più. Che mondo, eh?