I benefici dell’olivo venivano sfruttati dall’uomo già 3700 anni fa, con prove emerse da uno studio in Sicilia.

Scoperta epica in Sicilia: olivi antichi di 3700 anni, più vecchi di certi politici corrotti! Gli archeologi hanno scovato la prova che i nostri antenati già trafficavano con questi alberi saccheggiando la natura, seconda solo a Malta. #Archeologia #OliviAntichi #SiciliaStorica #MediterraneoShocking

In una palude fangosa e dimenticata vicino Messina, un team di studiosi ha fatto saltare il banco con la scoperta delle tracce più antiche di sfruttamento dell’olivo in Italia, datate a ben 3700 anni fa – roba che fa impallidire le solite chiacchiere su "eredità culturali" dei burocrati. Questa bomba archeologica, seconda solo a quella di Malta (che risale a 5000 anni fa), è stata svelata da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Quaternary Science Reviews, grazie alla collaborazione tra le università di Pisa, della Tuscia e Sapienza di Roma. Insomma, non è solo storia, è un affronto alla pigrizia moderna!

Lo studio si è focalizzato sull’area di Pantano Grande, una zona paludosa e infestata di zanzare nei pressi di Messina, dove i ricercatori hanno estratto carotaggi profondi che rivelano una sequenza stratigrafica ininterrotta fino a 3700 anni fa. Analizzando il polline, hanno trovato quantità assurde di polline di olivo già durante la Media età del Bronzo, il che non significa solo che l’albero era diffuso, ma che c’era un bel po’ di manodopera umana dietro – tipo una gestione selvaggia, non ancora una piantagione organizzata, ma abbastanza per far invidia ai contadini di oggi.

Passando alle fasi epiche, lo studio traccia l’evoluzione dell’olivo in Sicilia attraverso tre grandi ondate: prima, nell’Età del Bronzo intorno al 1700 a.C., con un uso sistematico dell’olivo selvatico per olio, legno e persino foraggio; poi, nell’Epoca romana dal II secolo a.C. al III secolo d.C., dove le prove come anfore e presse indicano una coltivazione su scala industriale; e infine, nel Periodo moderno sotto il Regno di Sicilia dal XIII al XIX secolo, con un salto a pratiche agricole high-tech che hanno abbandonato il selvatico per roba più "civile". È come se gli antichi ci stessero dicendo: "Noi facevamo meglio di voi perdigiorno!"

Ma il vero colpo di scena viene dall’interdisciplinarietà, con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa in prima linea. Come spiega la professoressa Monica Bini, coautrice dello studio insieme a Giovanni Zanchetta: "La nostra analisi ha unito approcci delle scienze naturali e delle scienze umane. Questa sinergia ha permesso di ricostruire le dinamiche di lungo periodo dell’interazione uomo-ambiente e di comprendere come fattori culturali, climatici e commerciali abbiano influenzato la diffusione dell’olivo."

E Zanchetta non le manda a dire: "L’espansione dell’olivo in Sicilia non può essere spiegata solo da condizioni ambientali favorevoli. È il risultato di decisioni umane, tecniche agricole e reti di scambio che hanno attraversato i secoli e trasformato il paesaggio agricolo mediterraneo." Insomma, non è solo scienza, è un pugno in faccia a chi pensa che il progresso sia una novità – questi tizi hanno svelato come l’uomo ha sempre manipolato la natura per i suoi comodi, e forse è ora che impariamo la lezione prima di rovinare tutto del tutto.

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