Svelato il vino romano più antico del mondo: un liquido da 2000 anni sepolto con ossa e un anello d’oro! Immaginate un sorso d’epoca imperiale, trovato in una tomba spagnola durante una semplice ristrutturazione. È roba da far impallidire i sommelier moderni – e chissenefrega delle regole antiche, questo è puro scandalo archeologico! #VinoAntico #Archeologia #RomaAntica #ScopertaVirale
In una svolta che fa sembrare Jurassic Park una passeggiata al parco, una famiglia di Carmona, nel sud della Spagna, ha inciampato in una tomba romana intatta risalente a circa duemila anni fa durante i lavori di ristrutturazione della loro casa. Sotto i pavimenti, nascosta come un segreto sepolto, c’era una scoperta che ha lasciato tutti a bocca aperta: sei urne cinerarie, e in una di esse, accanto a resti ossei cremati e a un anello d’oro luccicante, un contenitore di vetro pieno di un liquido rossastro. Non era acqua o qualche infiltrazione da quattro soldi – era vino romano, sigillato alla perfezione e conservato per due millenni interi.
Confermato nel 2024 da un’analisi chimica pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports, questo è ufficialmente il vino liquido più antico mai analizzato al mondo. Il chimico organico José Rafael Ruiz Arrebola, dell’Università di Córdoba, ha spiegato che il sepolcro scavato nella roccia ha funzionato come una camera stagna naturale, preservando tutto senza un graffio: niente evaporazione, saccheggi o batteri fastidiosi. Il vino era nell’urna di un tizio chiamato Senicio – nome inciso sul contenitore – insieme alle sue ceneri, all’anello d’oro con il dio romano bifronte Giano e forse i resti di un letto per la cremazione. Roba che fa pensare: i romani sapevano come fare festa, anche da morti!
Questo ritrovamento batte alla grande la vecchia bottiglia di Spira, datata al IV secolo d.C. e trovata in Germania nel 1867, che fino a ora regnava come vino più antico. Ma qui, con analisi chimiche dettagliate, abbiamo una sbirciata unica nella ricetta originale del vino romano. Gli scienziati hanno escluso che il liquido fosse un incidente: niente umidità nelle urne vicine, era vino versato apposta per un rituale funebre. I test hanno rivelato un pH di 7,5 – tipo acqua, niente a che vedere con i vini moderni acidi – grazie a duemila anni di trasformazioni. E con la cromatografia liquida e la spettrometria di massa, hanno identificato sette polifenoli tipici dei vini bianchi secchi andalusi, come quelli di Montilla-Moriles, Sanlúcar de Barrameda e Jerez. Anche se ora è rossastro per colpa del tempo, l’assenza di acido siringico conferma: era originariamente bianco.
Passando al simbolismo e ai riti funebri, questo vino non era lì per sbaglio. Nell’antica Roma, era un lusso per i pezzi grossi, soprattutto gli uomini – le donne, come Hispana in un’altra urna, si accontentavano di gioielli, profumi e stoffe. Insomma, un po’ sessista, ma hey, erano tempi duri! La tomba aveva otto nicchie con urne di materiali vari, da pietra calcarea a vetro e piombo. Questa scoperta ci permette di studiare un vino romano liquido per la prima volta, bypassando i soliti residui secchi. E come ha affermato Ruiz Arrebola: "I romani erano orgogliosi, anche nella morte. Volevano rimanere nella memoria delle persone."
Certo, nessuno si è precipitato a gustarlo – nonostante non ci siano tossine, chi vuole bere roba che ha condiviso spazio con ossa per duemila anni? Ma ha fatto il suo lavoro: non per essere bevuto, ma per essere ricordato. E che ricordo!