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Il sito archeologico di Sizhou e la sua storia

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Immagine generata con AI

In Cina si trova un spesso definito “la Pompei Cinese”: la città di , distrutta nel 1680 a causa di una violenta alluvione del Fiume Giallo, che la ricoprì con uno spesso strato di limo e argilla. A differenza di Pompei, che fu sepolta da ceneri vulcaniche, Sizhou condivide con essa una rapida distruzione e un’immersione prolungata nel .

La distruzione della città di Sizhou

Le rovine di Sizhou si trovano nella contea di Xuyi, nell’attuale centro urbano di Huai’an. Situata tra il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro, la città alla fine del 1600 era un importante snodo commerciale durante il regno dell’Imperatore Kangxi. Tuttavia, Sizhou era frequentemente soggetta ad alluvioni devastanti. Nel 1680, dopo un periodo di intense piogge, il Fiume Giallo inondò rapidamente la città, ricoprendo ogni via con acqua e fango e lasciandola sepolta per oltre tre secoli. È interessante notare che sembra che la popolazione sia stata evacuata per tempo, come dimostra il ritrovamento limitato di scheletri all’interno del sito.

La riscoperta del sito archeologico

Sizhou è rimasta nascosta per oltre 300 anni, con scavi iniziati solo nel 1999. Al termine dei lavori, nel 2015, si è scoperto che l’area della città era di 2,4 km². La planimetria della città era ovale, simile a un guscio di tartaruga, ed era circondata da mura spesse tra i 17 e i 24 metri, per una lunghezza totale di 338 metri. Una strada principale lunga 75 metri e larga 4, pavimentata con piccoli blocchi di roccia e ghiaia, attraversava la città da nord-ovest a sud-est, con numerose vie secondarie che portavano a case, ristoranti e negozi, spesso dotati di cortili privati.

All’interno del sito sono state rinvenute numerose reliquie significative, tra cui componenti edilizi in pietra e ceramica, oggetti di uso quotidiano, armi e strumenti in pietra, ferro e osso. Dal 2015, il sito è stato aperto al pubblico e il suo stato di conservazione lo rende particolarmente interessante.

Le osservazioni di Chen Gang, vicedirettore dell’Istituto provinciale di reperti culturali e archeologia di Jiangsu, evidenziano le affinità tra Sizhou e Pompei: “Rispetto a Pompei, che fu inghiottita dal magma in un istante, la città di Sizhou fu inghiottita dalle inondazioni e sepolta nel limo, protetta dagli agenti atmosferici e dai danni causati dall’uomo. Per alcuni aspetti, la integrità non è inferiore a quella di Pompei.”

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Perché la foto delle tue chiavi non dovrebbe MAI essere pubblicata su internet

Pubblicare online la foto delle proprie chiavi può sembrare innocuo, ma espone a gravi rischi di sicurezza. Scopri perché e come proteggere la tua privacy.

Canva

Scattare una foto delle proprie chiavi in occasione di un trasloco o per celebrare un evento può sembrare un gesto innocuo. Un ricordo da condividere con gli amici sui social, ma quest’abitudine nasconde un rischio notevole: l’accesso diretto alla propria abitazione. Grazie ai progressi tecnologici, è possibile riprodurre una chiave a partire da un’immagine. Pertanto, è opportuno riflettere prima di pubblicare tali immagini.

Il ruolo della tecnologia: come si riproduce una chiave da una foto?

Le chiavi non sono tutte uguali; i loro denti, scanalature e profilo sono elementi unici che, se sufficientemente visibili, possono essere replicati con grande precisione. Secondo un esperto di sicurezza informatica, una semplice immagine può contenere dettagli sufficienti per creare una copia perfetta utilizzando una stampa 3D. Questo significa che un ladro produrre una chiave identica senza dover forzare una serratura. A questa vulnerabilità si aggiunge il rischio di informazioni personali poste a fianco delle immagini, come la localizzazione, che consentono di individuare l’abitazione.

Social e condivisione: i pericoli nascosti

Il fenomeno della condivisione sui social media ha raggiunto livelli elevati, con l’utenza che pubblica frequentemente dettagli della propria vita, inclusi elementi privati. Questa pratica, se non gestita con attenzione, può esporre a rischi. Fra i contenuti sconsigliati da condividere ci sono:

  • Biglietti aerei che possono rivelare personali e essere utilizzati per annullare prenotazioni.
  • Foto di bambini in uniforme scolastica che possono fornire informazioni sulla scuola e sull’indirizzo di casa.
  • Post relativi al luogo di che potrebbero inquadrare documenti sensibili.
  • Immagini di altre persone senza consenso, che possono comportare conseguenze legali per la divulgazione non autorizzata.

Una maggiore consapevolezza riguardo a temi è fondamentale per tutelare la propria privacy e quella degli altri.

Come pubblicare in sicurezza

Se si desidera continuare a postare contenuti sui social, è possibile adottare alcune precauzioni:

  • Evitare la pubblicazione in tempo reale che segnala la propria assenza da casa.
  • Modificare le impostazioni di privacy per limitare la visibilità dei post.
  • Oscurare dettagli sensibili come biglietti aerei e indirizzi.
  • Pensare prima di postare, valutando se l’immagine potrebbe essere utilizzata in modo improprio.

Cosa fare se hai già pubblicato una foto delle chiavi

Se ci si è resi conto di aver pubblicato una foto delle chiavi, è consigliabile rimuovere il post immediatamente. Se l’immagine è rimasta online per un periodo, si può considerare l’idea di cambiare la serratura, soprattutto se sono condivisi altri dettagli sensibili riguardo l’abitazione. Questa misura è un atto di prevenzione per evitare conseguenze spiacevoli.

Proteggere la propria privacy online è cruciale, poiché ciò che viene condiviso può rimanere accessibile più a lungo del previsto. Una chiave fisica è un oggetto privato, mentre una chiave online può finire nelle mani sbagliate. Pertanto, è opportuno riflettere attentamente prima di pubblicare.

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Differenze tra Maya, Aztechi e Inca: la storia in breve delle civiltà precolombiane

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Le tre più famose americane , ovvero i Maya, gli e gli Inca, si differenziano tra loro per cultura, lingua, modello politico, religione e area geografica di provenienza. I Maya occupavano un territorio che comprende attualmente la penisola dello Yucatán, parte del Guatemala, El Salvador, Honduras e Belize. Gli Aztechi si svilupparono negli altopiani del Messico centrale, mentre gli Inca si concentrarono lungo la cordigliera andina, nei moderni territori di Perù, Bolivia e Cile.

La civiltà Maya

Quando i colonizzatori spagnoli giunsero in Messico all’inizio del XVI secolo, i Maya si trovavano in un periodo di decadenza. La loro fase di massimo splendore, conosciuta come periodo “classico”, si estende dal V al IX secolo d.C., evidenziando che il loro apice precedette di molto l’arrivo degli europei nel continente. Gli antenati dei Maya, originari della zona dell’attuale Guatemala, migrarono verso nord nello Yucatán tra il X e l’VIII secolo a.C.

Nel periodo classico, i Maya svilupparono una complessa civiltà urbana, organizzata secondo un modello di città-stato, con centri importanti come Tikal e Chichén Itzá. A differenza degli Aztechi e degli Inca, i Maya non formarono un governo centralizzato, ma ogni città si amministrava autonomamente, con un proprio sovrano e aristocrazia. L’economia era basata sull’agricoltura, con una forte enfasi sulla coltivazione di mais e fagioli, ma anche commercio tra le diverse città.

Le della famiglia maya sono ancora parlate da circa 6 milioni di persone tra Messico, Guatemala, Belize, El Salvador e Honduras. I Maya avevano un sofisticato sistema di scrittura, che utilizzava glifi per comunicare suoni e parole. Le iscrizioni totali sono stimate in circa 10.000, e le loro conoscenze matematiche e astronomiche influenzarono anche le civiltà circostanti.

I Maya adoravano numerose divinità, tra cui Itzamnà, dio del sole, e Kukulkan, il Serpente Piumato. La pratica dei sacrifici umani era parte della loro religione, sebbene in misura minore rispetto agli Aztechi. Tuttavia, a partire dal X secolo d.C., una serie di fattori, tra cui guerre, crisi sociali e cambiamenti climatici, contribuirono al decline dei centri urbani. Gli Spagnoli incontrarono una civiltà in gran parte decimata rispetto a secoli precedenti.

La civiltà Azteca

Gli Aztechi si stabilirono negli altopiani del Messico centrale, creando uno dei più potenti imperi mesoamericani. Originari di terre più a nord, giunsero nella regione nel XIII secolo e sottomisero diverse popolazioni vicine, fondando la capitale Tenochtitlan, situata all’interno del lago Texcoco. Insieme a Texcoco e Tlacopan, formarono la “Triplice Alleanza”, che diede vita all’Impero Azteco.

Guidato dallo Huey Tlatoani, l’Impero Azteco si sviluppò militarmente, ma anche scientificamente e architettonicamente, assimilando eredità della cultura maya. Utilizzavano un sistema di scrittura caratterizzato da pittogrammi e simboli. Gli Aztechi, anch’essi politeisti, praticavano sacrifici umani come tributo per mantenere l’equilibrio cosmico, solitamente impiegando prigionieri.

La conquista spagnola, iniziata nel 1519, portò alla caduta dell’impero azteco nel 1521, nonostante il numero relativamente ridotto dei conquistadores, grazie anche al risentimento delle popolazioni sottomesse.

La civiltà Inca

A differenza delle altre due civiltà, l’impero degli Inca si sviluppò lungo la cordigliera delle Ande nel Sudamerica. Si stima che siano autoctoni della regione, cominciando a costruire il loro dominio nel XII secolo attraverso la sottomissione di popolazioni vicine. Il termine “Inca” si riferisce esclusivamente all’imperatore; l’organizzazione della società era altamente centralizzata.

Gli Inca ampliarono il loro impero nel XV secolo, creando un vasto dominio precolombiano. La capitale Cusco era una delle metropoli più grandi e popolose dell’epoca, con un’architettura particolarmente avanzata per l’ambiente andino. L’economia si basava su agricoltura, commercio e artigianato, ma non svilupparono un sistema di scrittura. Comunicarono invece attraverso i chaski e i quipu, che utilizzo di nodi e colori per trasmettere informazioni.

Gli Inca adoravano molte divinità, praticando sacrifici umani in scala ridotta. La conquista spagnola dell’impero Inca, guidata da Francisco Pizarro, iniziò nel 1532 e culminò con l’esecuzione dell’ultimo imperatore Tupac Amaru nel 1572.

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Un indovinello sul peso di un mattone viene risolto

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In questo articolo esaminiamo un noto :

Un pesa un chilo più mezzo mattone. Quanto pesa il mattone?

Prima di rivelare la soluzione, si invita il lettore a riflettere un momento senza utilizzare carta e penna. Quale risposta fornireste?

La soluzione dell’indovinello del mattone

Se la vostra risposta è stata ,5 kg, purtroppo avete commesso un errore. Si tratta di un inganno cognitivo: la frase “un chilo più mezzo mattone” può indurre a interpretare erroneamente il . Tuttavia, non è così semplice.

Esaminiamo due approcci per risolvere l’indovinello: uno mediante un ragionamento logico, l’altro tramite un’equazione matematica.

Il 50% del peso del mattone

Utilizzando il ragionamento, iniziamo analizzando la frase: “Un mattone pesa UN CHILO più MEZZO MATTONE”. Riflettendo, possiamo considerare che “mezzo mattone” corrisponde al 50% del mattone, e ogni mattone è composto da due metà. Pertanto, se un mattone è costituito da una metà più un chilo, implica che quel chilo rappresenta l’altra metà. Da questo, deduciamo che un chilo equivale alla metà del mattone, e quindi il peso totale del mattone è di 2 kg.

Impostare un’equazione per il mattone

Mattone con scritte indovinello mattone

Per chi preferisce un approccio più formale, possiamo impostare un’equazione. Indichiamo il peso del mattone con la lettera m. Possiamo così tradurre l’indovinello nella seguente forma matematica:

Un mattone (m) pesa (=) un chilo (1 kg) più mezzo mattone (m/2).

Da qui otteniamo l’equazione:

m = 1 kg + m/2.

Moltiplicando entrambi i membri per 2, si ottiene 2m = 2 kg + m. Sottraendo m da entrambi i lati, giungiamo a:

m = 2 kg.

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Le lingue fischiate e come funzionano

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Le fischiate, o linguaggi fischiati, sono forme di comunicazione particolari che combinano l’abilità umana di generare suoni tramite fischi con esigenze pratiche legate a specifici ambienti o culture. linguaggi, grazie alla loro natura, riescono a superare barriere naturali e offrono un’occasione unica per esaminare come le persone abbiano adattato il loro modo di comunicare. Le lingue fischiate si dividono in tonali e non tonali e sono presenti in varie culture di tutto il mondo, con una diffusione che include almeno 70 gruppi umani.

Come funzionano le lingue fischiate?

Le lingue fischiate non sono idiomi a sé stanti, ma una trasposizione sonora di lingue esistenti. Sono particolarmente utilizzate in contesti montuosi o in foreste dense, dove i fischi possono trasmettere messaggi a lunga distanza, soprattutto tra pastori. Tale modalità comunicativa si basa sulla modulazione di vari elementi del suono, come il tono, l’intensità, la durata e la frequenza. Si possono distinguere due categorie principali:

  • Lingue tonali: in lingue come il cinese o il yoruba, dove il significato varia a seconda dell’intonazione, i fischi riproducono i toni originali della lingua. Le variazioni nei toni dei fischi riflettono dunque le alterazioni tonali del parlato.
  • Lingue non tonali: in lingue come il turco o lo spagnolo, il fischio si concentra ritmo e sulla sequenza delle sillabe. Qui, l’altezza e la durata dei fischi apportano informazioni su consonanti e vocali.

La capacità dei fischi di diffondersi in spazi aperti permette di coprire distanze comprese tra 2 e 10 chilometri, decisamente superiori a quelle raggiungibili dalla voce umana.

Esempi di lingue fischiate nel mondo

Tra i più noti sistemi di lingua fischiata, si possono elencare:

  • Silbo Gomero (Isole Canarie, Spagna): una trasposizione del linguaggio spagnolo, utilizzata dai pastori di La Gomera per comunicare nelle profonde valli. È stato riconosciuto come patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO ed è insegnato nelle scuole locali.
  • Kuş Dili (Turchia): conosciuta anche come la "lingua degli uccelli", è impiegata nel villaggio di Kuşköy e nelle aree circostanti per comunicare attraverso le valli del Mar Nero.
  • Sfyria (Grecia): parlata sull’isola di Èvia, è a rischio di estinzione e veniva usata dai pastori per trasmettere comunicazioni senza essere percepiti dai nemici.
  • Pirahã (Amazzonia, Brasile): i membri di questo gruppo indigeno utilizzano una forma fischiata della propria lingua per comunicare durante la caccia o nel folto della foresta.
  • Mazateco Fischiato (Messico): in Oaxaca, il popolo Mazateco usa questa variante fischiata della loro lingua per interagire durante lavori agricoli o cerimonie religiose.
  • Bearnese (Francia): nelle regioni montuose dei Pirenei, è utilizzata da pastori e agricoltori, sebbene sia meno comune al d’oggi.

Curiosità sulle lingue fischiate

Questi linguaggi non si limitano a trasmettere messaggi semplici; possono veicolare conversazioni complesse, includendo domande e racconti dettagliati. Alcuni linguaggi fischiati possono adattarsi a più lingue, come nel caso del Silbo Gomero, che ha evoluto le proprie forme con il passaggio dal guanci allo spagnolo.

Le lingue fischiate sono spesso associate al canto degli uccelli, un aspetto che ha alimentato una visione poetica di questo modo di comunicare. Inoltre, alcune di esse sono diventate attrazioni turistiche, come accade a La Gomera, dove le guide mostrano il Silbo Gomero ai visitatori. I linguisti e gli scienziati si interessano a queste forme di comunicazione per approfondire la comprensione delle funzioni cerebrali. Recenti studi hanno dimostrato che le aree del cervello attivate dall’ascolto di linguaggi fischiati sono le stesse utilizzate per le lingue parlate. Nonostante alcune lingue siano a rischio di estinzione, molte stanno trovando nuova vita grazie ai social e alle piattaforme educative, contribuendo alla loro conoscenza e preservazione a livello globale.

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La storia breve della Centennial Light

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Nel contesto delle innovazioni tecnologiche, la lampadina centenaria emerge come un’eccezione notevole. Chiamata “ “, questa lampadina ha illuminato senza interruzioni la rimessa delle autopompe della caserma dei vigili del fuoco di Livermore, in California, da oltre 124 anni. Prodotta a Shelby, Ohio, rappresenta non solo un fatto curioso, ma anche un simbolo di ingegneria duratura. La prima lampadina a incandescenza, brevettata nel 1878, fu accesa solo 23 anni prima dell’accensione della Centennial Light, datata 1901. La luce, seppur fioca, continua a brillare, dimostrando la possibilità di creare oggetti capaci di superare il test del .

Caratteristiche tecniche della lampadina centenaria

Dal punto di vista tecnico, la lampadina è un modello a incandescenza con filamento in carbonio, racchiuso in un’ampolla di vetro soffiato in cui è stato creato un vuoto. Si stima che all’origine consumasse 60 W, mentre oggi il suo consumo è ridotto a circa 4 W, a causa della naturale usura del filamento. Attualmente, la lampadina emette una luce calda e fioca; la superficie interna dell’ampolla presenta depositi di carbonio che si sono distaccati dal filamento, causando un oscuramento.

La storia della Centennial Light

Prodotta dalla Shelby Electric Company negli ultimi anni del XIX secolo, la lampadina fu donata ai vigili del fuoco nel 1901 da Dennis Bernal, proprietario delle infrastrutture energetiche di Livermore. La lampadina ha subito almeno quattro spostamenti, il più significativo nel 1976, quando fu scortata per raggiungere la sua attuale sede al 4550 East Ave, Livermore, California. Durante il trasporto, fu necessario tagliare il cavo di alimentazione per evitare danni al dispositivo, e rimase scollegata per 22 minuti.

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Dall’installazione, la lampadina è mantenuta accesa in modo continuo, anche durante blackout, grazie a un gruppo di continuità. Una webcam registra costantemente il suo funzionamento e permette di osservarla in tempo reale tramite un sito web.

In aggiunta, alcuni eventi interessanti da notare riguardano:

  • Sopravvivenza alla ristrutturazione della caserma nel 1937, durante la quale rimase spenta per circa una settimana;
  • Alimentazione diretta dalla rete elettrica a 110 Volt per i primi 75 anni, soggetta a interruzioni di corrente;
  • Un’interruzione nel maggio 2013 per un guasto al cavo di alimentazione, che la mantenne spenta per oltre 9 . Al ricollegamento, tornò a consumare 60 W per qualche ora, poi riprese il consumo abituale di 4 W;
  • Il periodo più lungo di illuminazione ininterrotta è stato di 37 anni, dal 1976 al 2013;
  • La lampadina ha superato tre tecnologie di webcam dal 1990 per monitorarne il funzionamento 24 ore su 24.

Nel 1972, il Guinness dei Primati l’ha riconosciuta come la lampadina più longeva del mondo, diventando un’icona locale e una fonte di ispirazione per una produzione industriale più sostenibile.

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Come fa la lampada a funzionare ancora?

La durata straordinaria della lampadina continua a suscitare domande. Alcuni esperti attribuiscono la sua longevità alla qualità dei materiali impiegati e al filamento spesso, unitamente al basso consumo di 4 W, considerato fondamentale per evitare un eccessivo surriscaldamento. Questo modello contrasta nettamente con la pratica dell’obsolescenza programmata, che caratterizza molti prodotti contemporanei, suggerendo un’importante riflessione sull’uso delle risorse e la necessità di concepire dispositivi più durevoli.

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L’Impero austro-ungarico fu fermato dall’Italia nello scontro

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La seconda battaglia del Piave, nota anche come “battaglia del solstizio”, si svolse tra il 15 e il 24 giugno 1918, durante la Prima Guerra Mondiale, tra l’esercito italiano e le forze dell’Impero austro-ungarico. Questo conflitto seguì la battaglia di Caporetto del 1917, quando le truppe austriache occuparono una vasta porzione del territorio italiano. Nel giugno del 1918, l’Austria-Ungheria avviò una nuova offensiva nel tentativo di costringere l’Italia alla resa. Dopo la sconfitta di Caporetto, l’esercito italiano subì una riorganizzazione sotto la guida di Armando Diaz, che migliorò la coesione della linea difensiva lungo il Piave e l’uso delle risorse. Con il supporto degli alleati britannici e francesi, le forze italiane riuscirono a resistere e fermare l’avanzata nemica. Successivamente, i soldati italiani ripresero l’iniziativa, recuperando territori perduti in precedenza. Essa rappresenta un episodio significativo nella memoria storica e patriottica italiana.

La seconda battaglia del Piave

La Prima Guerra Mondiale e la rotta di Caporetto: la prima battaglia del Piave

Per meglio comprendere la battaglia del solstizio, è importante considerare il contesto della Prima Guerra Mondiale, in cui le forze italiane operarono principalmente lungo il fiume Isonzo, in Friuli, e su un altro fronte secondario in Trentino. Il conflitto era caratterizzato da guerre di posizione, con gli eserciti che combattevano in trincea, cercando di guadagnare terreno a caro prezzo in termini di vite umane. Tra il 1915 e l’agosto del 1917, vennero combattute undici battaglie presso l’Isonzo, con modestissimi spostamenti del fronte; una delle conquiste più rilevanti fu l’occupazione di Gorizia nel 1916.

La situazione cambiò drasticamente nell’ottobre del 1917, quando le forze austro-tedesche sfondarono il fronte a Caporetto, costringendo l’armata italiana a una ritirata di 150 km verso il Piave. In novembre, nella prima battaglia del Piave, le truppe italiane riuscirono a stabilire una linea difensiva, contenendo l’avanzata nemica. Durante questo periodo, l’Austria-Ungheria occupò gran parte del Friuli e del Veneto.

Avanzata austrotedesca di Caporetto Avanzata austro–tedesca di Caporetto

I piani degli austriaci sul Piave

Il fronte si stabilizzò lungo il Piave per diversi mesi. La sconfitta di Caporetto rappresentò un evento traumatico per l’Italia, ma nel periodo seguente, il Paese e le forze armate iniziarono un processo di recupero. A seguito di questo evento, ci furono cambiamenti significativi: il governo italiano e il comando supremo dell’esercito furono sostituiti, con Armando Diaz che rimpiazzò Luigi Cadorna. Gli alleati decisero di supportare le truppe italiane inviando rinforzi.

Conscio delle proprie difficoltà, l’Impero austro-ungarico pianificò un attacco decisivo per sfondare la linea difensiva italiana Piave, espandendo la propria presenza nella Pianura Padana e forzando l’Italia a chiedere l’armistizio. Le forze austriache, schierando 73 divisioni, disponevano di circa 946.000 uomini e 6.800 cannoni. Dall’altro lato, l’esercito italiano, forte di circa 965.000 uomini e 7.000 cannoni, ricevette supporto da reparti francesi e britannici.

Passerella austriaca sul Piave Passerella austriaca sul Piave

La battaglia del solstizio: scontri sul Monte Grappa e sul Piave

L’attacco austro-ungarico ebbe inizio il 15 giugno su un ampio fronte del Piave. Le forze nemiche avanzarono in alcuni settori, utilizzando passerelle di legno per attraversare il fiume, e si impadronirono di alcune posizioni strategiche sul Monte Grappa, inclusa la cima del Col Moschin. Tuttavia, l’esercito italiano reagì, riuscendo a riconquistare il Col Moschin grazie agli Arditi, le truppe d’assalto, e contrattaccò lungo il fiume, respingendo il nemico.

Il comando supremo adottò una strategia efficace utilizzando l’aviazione per bombardare le passerelle austriache sul Piave, isolando le unità nemiche già sulla riva occidentale. L’ avanzata austriaca si fermò a Fagarè, attuale Fagarè della Battaglia, in provincia di Treviso. Entro il 24 giugno, tutte le forze austro-ungariche furono costrette a ritirarsi sulla sponda orientale del fiume, segnando il fallimento dell’offensiva.

Mappa della Battaglia Mappa della Battaglia

Le conseguenze della seconda battaglia del Piave

La seconda battaglia del Piave comportò perdite significative: quasi 12.000 austriaci persero la vita, con un totale di 118.000 tra morti, feriti e prigionieri. L’esercito italiano e i suoi alleati contarono 91.000 perdite, di cui circa 8.400 morti. Questo rappresentò l’ultimo grande tentativo offensivo austriaco, in un momento di crisi per il loro apparato bellico e con una situazione politica interna sempre più instabile. Nei mesi successivi, le forze italiane, supportate dai successi degli alleati sul fronte occidentale, contrattaccarono, riacquistando i territori persi a seguito della sconfitta di Caporetto, culminando con la conclusione del conflitto a novembre e la sconfitta dell’Austria.

Celebre scritta vergata durante la battaglia Celebre scritta vergata durante la battaglia

La memoria della battaglia del solstizio

La seconda battaglia del Piave ha acquisito un valore simbolico significativo nella memoria nazionale italiana. Sotto l’influsso di Gabriele d’Annunzio, che la definì “battaglia del solstizio”, il quesito di commemorare tali eventi si riflette in molteplici forme culturali, inclusa la celebre canzone La leggenda del Piave, che divenne un canti patriottico noto tra i soldati. Strade e piazze in tutta Italia vengono intitolate in onore di questo conflitto e, in ricordo del contrattacco del 1918, un reparto d’assalto dell’esercito porta il nome “Col Moschin”. La battaglia è pure legata a figure storiche che, attraverso la loro esperienza, hanno formato la narrativa di quell’epoca, riconducendola a temi di resistenza e identità.

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Apre in Finlandia il Nokia Design Archive, un museo dedicato alla storia del telefonino (anche online)

In è stato avviato il Nokia Archive, un digitale che narra la storia del telefonino, presentando prototipi, modelli storici e documenti che illustrano il processo di innovazione dell’azienda.

Negli anni ’90, possedere un telefono Nokia rappresentava un’era pionieristica nella telefonia mobile. I modelli iconici, come il 3310 e l’8810, insieme all’innovativo N-Gage, hanno segnato un periodo significativo nel settore delle comunicazioni. La loro eredità riemerge ora nel Nokia Design Archive, un museo digitale che celebra i progressi degli ultimi decenni in questo campo.

Un viaggio nella storia della telefonia mobile

Il progetto, promosso dall’Aalto University in Finlandia, raccoglie prototipi, modelli rari, bozze e documenti, fornendo un’opportunità per esplorare il dietro le quinte di un’azienda che ha trasformato la comunicazione. La professoressa Anna Valtonen, dell’Aalto University, ha evidenziato l’importanza dell’archivio, che rende accessibili al pubblico studi e ricerche condotte sull’interazione tra tecnologia e comportamento umano.

Un viaggio nel tempo

Il Nokia Design Archive è un portale digitale accessibile gratuitamente, che offre oltre 700 voci curate e più di 20.000 file digitali, documentando due decenni di storia aziendale. Gli utenti possono esplorare schizzi, fotografie e interviste che ravvivano la “golden age” della telefonia mobile.

Tra i modelli esposti vi sono:

  • Nokia 5110 (1998): primo cellulare GSM con cover intercambiabile e famoso per il gioco Snake.
  • Nokia 3310 (2000): noto per la resistenza e batteria duratura, venduto in oltre 126 milioni di esemplari.
  • Nokia 8810 (1996): soprannominato “banana phone” e apparso nel film Matrix.
  • Nokia N-Gage (2003): un esperimento innovativo che combinava console e cellulare.

Insieme ai successi, l’archivio presenta anche progetti mai realizzati, dimostrando l’innovazione del marchio con schizzi di telefoni touchscreen e prototipi come il Mango Phone.

L’ascesa e la caduta di un gigante

Fondata nel 1865 come cartiera, Nokia ha intrapreso un cammino di trasformazione, emergendo come leader nel mercato della telefonia mobile dal 1998. La sua posizione ha cominciato a declinare nel 2007, a seguito del lancio dell’iPhone, mentre Android ha rapidamente guadagnato terreno. Nonostante tentativi come l’introduzione di Windows Mobile e l’acquisizione da parte di Microsoft nel 2014, la divisione mobile di Nokia ha subito un inevitabile ridimensionamento.

Nokia: un’eredità ancora viva

L’apertura dell’archivio segna una tappa significativa per il marchio, che, pur non occupando più una posizione di punta nel mercato degli smartphone, continua a influenzare l’industria delle telecomunicazioni attraverso innovazioni e brevetti, rimanendo un attore chiave nelle infrastrutture 5G. Il Nokia Design Archive non solo celebra il passato, ma incoraggia anche una riflessione potenziale futuro dell’innovazione tecnologica.

Il portale digitale del Nokia Design Archive è accessibile a partire dal 15 gennaio 2025, grazie a donazioni di Microsoft Mobile Oy e dei designer coinvolti, insieme al supporto del Research Council of Finland e della Kaute Foundation.

Un video di presentazione del Nokia Design Archive è disponibile per ulteriori dettagli sull’iniziativa.

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Cosa significa e quali sono le prospettive lavorative analizzate

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Il programma Dialoghi di di Geopop si propone di modificare la percezione comune riguardante lo studio delle materie scientifiche, come Matematica e Chimica. Il format, un Vodcast condotto da DeNa e Meribì, mira a sciogliere i dubbi e le perplessità di chi non conosce a fondo queste discipline ma nutre nei loro confronti.

Le Scelte degli Esperti

Nel primo episodio, i conduttori discutono delle loro esperienze personali e professionali in Matematica e Chimica. Tra le domande fondamentali, emerge il motivo per cui hanno deciso di intraprendere studi in queste aree. Le scienze spesso vengono percepite come complesse e distanti dalla quotidianità, il che porta a una certa riluttanza in chi non è avvezzo a tali discipline. Tuttavia, si sottolinea che studiare Matematica comporta un approccio diverso rispetto a quanto si apprende durante le scuole superiori. La Matematica non si limita a risolvere equazioni o a eseguire calcoli, ma serve a comprendere le origini degli strumenti matematici e a interpretare il mondo che ci circonda.

Il Ruolo della Chimica

La Chimica, quindi, diventa fondamentale per capire i meccanismi che governano la materia e le interazioni tra i diversi elementi. Studiare Chimica consente di spiegare i fenomeni naturali partendo dalle fondamenta costruite attraverso la comprensione del linguaggio matematico. DeNa e Meribì esplorano anche il percorso che li ha portati a scegliere queste carriere, evidenziando le difficoltà e le sfide incontrate lungo il cammino verso l’inserimento lavorativo, che spesso non segue un tracciato lineare e semplice.

La puntata completa del Vodcast è disponibile per la visione, offrendo un’ulteriore opportunità di approfondimento su temi di rilevanza scientifica.

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Il Nastro di Möbius: curiosità e utilizzi

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Il di è una superficie singolare, caratterizzata da una sola faccia e un bordo continuo. Costruito avvolgendo una striscia di carta e incollando le estremità dopo aver effettuato una torsione, questo oggetto ha catturato l’attenzione di matematici e appassionati per la singolarità geometrica. I suoi studi, avviati nel 1858, sono attribuiti ai matematici Johann Benedict Listing e August Ferdinand Möbius.

Costruzione e geometria del nastro

La costruzione di un nastro di Möbius è semplice. Si parte da una striscia di carta rettangolare, il cui lato più lungo deve essere almeno il doppio del lato più corto. Ruotando uno degli estremi di mezzo giro e incollandoli, si ottiene una figura che sfida le convenzioni geometrica. Una caratteristica intrigante è che, tracciando una linea lungo la superficie senza staccare la matita, si torna al punto di partenza, avendo coperto entrambe le facce del nastro senza mai attraversare un confine. Tale peculiarità conferma la natura non orientabile del nastro, contrapposta alla di un cilindro, che possiede lati distinti e orientabili.

Effetti sorprendenti nel taglio

Tagliare un cilindro a metà produce due anelli separati, mentre un nastro di Möbius tagliato nella stessa maniera genera un unico anello. Questo fenomeno è sfruttato anche in trucchi di magia, dove il taglio di diverse figure, tra cui un nastro di Möbius, produce effetti inaspettati. Ad esempio, un nastro con una torsione completa produce due anelli intrecciati. Se il nastro di Möbius è tagliato a un terzo della larghezza, si ottiene un nuovo nastro di Möbius intrecciato con un anello più grande, dimostrando così la complessità di questa superficie nel contesto dei tagli.

Applicazioni pratiche e creative

Il nastro di Möbius non è solo un’entità teorica; le sue proprietà geometriche hanno trovato applicazione in vari settori. È stato utilizzato in nastri di registrazione, nelle macchine da scrivere e nelle cartucce di stampa, oltre che in cinghie di trasmissione progettate per usurare equamente la superficie del nastro. Testimonianze della sua applicazione risalgono al 1871, anche se precedenti riferimenti risalgono già al XII secolo. Nella progettazione creativa, il nastro di Möbius continua a servire da fonte di ispirazione, trovando applicazioni in opere come montagne russe e strutture architettoniche innovative.

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1 milione di chat e dati online sono stati rilasciati

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Il GPDP (Garante per la Protezione dei Dati Personali) ha disposto un blocco immediato per l’intelligenza artificiale cinese DeepSeek. Questa decisione interessa le aziende Hangzhou DeepSeek Artificial Intelligence e Beijing DeepSeek Artificial Intelligence, responsabili dello sviluppo del chatbot, e si applica al trattamento dei dati degli utenti italiani, in risposta a comunicazioni ritenute insufficienti da parte delle società coinvolte. Il Garante ha comunicato la propria decisione tramite una nota ufficiale, a seguito della rimozione dell’app dalle versioni italiane del Play Store e dell’App Store. È emersa anche una grave vulnerabilità nei database di DeepSeek, con oltre un di e informazioni sensibili potenzialmente esposte .

Provvedimento del Garante e contesto

Il provvedimento adottato dal Garante si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso il trattamento dei dati personali da parte di aziende extraeuropee. Le società cinesi coinvolte hanno dichiarato di non operare in Italia e di non essere soggette alla normativa europea, posizione giudicata inaccettabile dall’Autorità. Il blocco, attuato in via d’urgenza, è volto a proteggere i dati degli utenti italiani da possibili violazioni e utilizzi impropri. Nel comunicato del Garante si evidenzia che la comunicazione ricevuta dalle società è stata ritenuta del tutto insufficiente.

Vulnerabilità nei sistemi di DeepSeek

Una ricerca condotta da Wiz Research, startup americana specializzata in cybersecurity, ha evidenziato falle critiche nella sicurezza dell’infrastruttura di DeepSeek. Gli esperti hanno scoperto istanze del database ClickHouse non adeguatamente protette, permettendo l’accesso pubblico a informazioni estremamente sensibili. Tra i dati esposti figuravano oltre un milione di registri delle conversazioni degli utenti non criptati, API e dettagli backend della piattaforma. La configurazione di accesso consentiva a chiunque di accedere a queste informazioni tramite semplici query SQL, senza alcuna forma di autenticazione.

La portata della vulnerabilità ha sollevato preoccupazioni tra gli esperti di sicurezza informatica, dato che il database conteneva log interni registrati a partire dal 6 gennaio 2025. La configurazione rischiava di consentire a malintenzionati di estrarre dati sensibili, tra cui messaggi privati e credenziali di accesso. Pur avendo DeepSeek reagito rapidamente chiudendo l’accesso ai database vulnerabili, rimane ancora il dubbio su eventuali accessi non autorizzati prima della scoperta della falla di sicurezza.

La vicenda di DeepSeek evidenzia questioni significative riguardo alla sicurezza dei dati nell’ambito dell’intelligenza artificiale e la necessità di un controllo rigoroso da parte delle autorità sui vari attori del settore.

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Uno di questi sintomi potrebbe essere avuto da tuo figlio se sta più di 2 ore al giorno su TikTok.

Più di due ore al a scrollare video su è una pratica dannosa, che alimenta la noia cronica e ha effetti sulla salute mentale.

Un recente studio dell’Universitat Oberta de Catalunya (UOC) e dell’Università Pompeu Fabra (UPF), pubblicato sulla rivista Nature, ha rivelato che oltre un quinto degli adolescenti trascorre più di due ore al giorno su piattaforme come TikTok e YouTube. Questa pratica è associata a una gamma di problemi di salute mentale, che includono depressione, ansia e frustrazione.

Tempo d’uso e salute mentale

Lo studio ha mostrato una correlazione diretta tra il speso sui social e l’incidenza di problemi legati al benessere psicologico. È emerso che TikTok, in particolare, è più pericoloso rispetto ad altre piattaforme, poiché incoraggia un consumo passivo di contenuti, limitando l’interazione tra gli utenti.

Analisi dei dati e differenze di genere

Nel corso della ricerca, 737 adolescenti spagnoli di età compresa tra 12 e 18 anni hanno partecipato a un’indagine quantitativa. I risultati hanno evidenziato significative di genere nell’uso della piattaforma: le ragazze tendono a spendere più tempo su contenuti legati alla bellezza e alla moda, mentre i ragazzi si concentrano maggiormente su videogiochi e temi sportivi. Questo suggerisce che i ruoli di genere tradizionali influenzano ancora le scelte di consumo.

Più della metà degli intervistati (oltre il 53%) ha indicato di trascorrere più di un’ora su TikTok, mentre oltre il 20% supera le due ore. Questo utilizzo è accompagnato da una percezione positiva del proprio benessere digitale, con punteggi medi su una scala da 1 a 5 che indicano una scarsa capacità di stabilire limiti. I risultati suggeriscono una necessità di interventi che vadano oltre i semplici controlli parentali, proponendo un’educazione all’uso moderato delle piattaforme e audit regolari sugli algoritmi per prevenire effetti di dipendenza.

Alcuni studi precedenti hanno già messo in evidenza come l’uso eccessivo dei social media sia collegato a bassa autostima, percezione negativa della salute mentale e maggior rischio di disagio psicologico.

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