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Effetti di una sbornia: reazioni, enzimi, prodotti di reazione

Impatto della sbornia sul corpo: approfondimento sulle reazioni biochimiche

Metabolismo dell’alcol e conseguenze per la salute

L’eccessivo consumo di alcol porta a una serie di effetti fisici che vanno ben oltre il semplice malessere post-sbornia. Questo comporta gravi rischi per la salute, come tumori, danni al fegato, malattie cardiovascolari e problemi psichici. I giovani che abusano dell’alcol possono manifestare problemi motori, rallentamento dei tempi di reazione e compromissione della memoria, con casi estremi di coma etilico che richiedono addirittura cure ospedaliere.

Il metabolismo dell’alcol dipende da vari fattori, tra cui genetica e stato di salute. L’alcol viene metabolizzato principalmente nel fegato, dove l’alcol etilico viene convertito in tramite l’enzima alcol deidrogenasi (ADH). Questa sostanza è responsabile di molti dei sintomi che accompagnano l’eccessivo consumo di alcol ed è anche considerata cancerogena.

Altre reazioni biochimiche coinvolte includono l’ossidazione dell’acetaldeide in acido carbossilico, che può danneggiare vari organi come il fegato, il pancreas, il cervello e il tratto gastrointestinale. Questi processi sono catalizzati da come il citocromo P450 2E1 e la catalasi, che possono avere impatti duraturi sul corpo.

Il metabolismo dell’alcol può essere influenzato anche da fattori genetici, come la presenza di varianti genetiche che influenzano la funzionalità dell’enzima aldeide deidrogenasi. In alcune popolazioni asiatiche, la carenza di questo enzima può portare ad un accumulo di acetaldeide nel corpo anche dopo un consumo moderato di alcol, aumentando i rischi per la salute.

In conclusione, è importante considerare non solo gli effetti immediati di una sbornia, ma anche le complesse reazioni biochimiche che avvengono nel corpo in risposta all’assunzione di alcol. Capire come il nostro organismo metabolizza l’alcol e i potenziali rischi per la salute legati a questo processo può essere fondamentale per prevenire danni a lungo termine.

Potere calorifico superiore e inferiore, misura

Il Concetto di Potere Calorifico Superiore e Inferiore nei Combustibili

Il potere calorifico dei combustibili rappresenta l’ massima ottenibile dalla loro completa in condizioni standard. I combustibili solidi, liquidi o gassosi generano energia termica attraverso una reazione di ossidoriduzione, conosciuta come reazione esotermica, che avviene in presenza di ossigeno.

La misurazione del potere calorifico richiede l’uso di strumenti specifici come la bomba calorimetrica per i combustibili solidi e il calorimetro di Junkers per quelli gassosi. Solitamente, la quantità unitaria dei combustibili solidi o liquidi è espressa in J/Kg, mentre per i combustibili gassosi è espressa in J/m³. Esistono due tipologie di potere calorifico: il potere calorifico superiore (HHV) e il potere calorifico inferiore (LHV).

Il potere calorifico superiore viene calcolato portando tutti i prodotti della combustione alla originaria prima della reazione, condensando il vapore d’acqua prodotto. Diversamente, il potere calorifico inferiore viene determinato sottraendo al specifico superiore il calore di vaporizzazione dell’acqua formatosi durante la combustione.

Per esempio, il calcolo del potere calorifico dell’acetilene si basa sull’utilizzo delle entalpie di formazione, come quelle dell’anidride carbonica e dell’acqua, per determinare l’ della sua combustione, ossia il calore generato dalla reazione.

La comprensione e la misurazione del potere calorifico superiore e inferiore dei combustibili rivestono un’importanza fondamentale nel settore energetico, consentendo di valutare l’efficienza e il rendimento delle diverse fonti di energia disponibili.

Porfirine: struttura, sintesi

Un viaggio nel mondo delle Porfirine

Le porfirine sono composti straordinari che svolgono un ruolo fondamentale in diversi processi chimici e biologici. La loro struttura complessa e la capacità di legarsi a ioni metallici le rendono particolarmente versatili, conferendo loro un’importanza significativa in vari contesti.

La presenza di azoto e la solubilità in acqua caratterizzano le porfirine, le quali si possono trovare in pigmenti biologici come la , l’emoglobina, i citocromi e la catalasi. La loro struttura è formata da quattro anelli di pirrolo collegati tramite ponti metinici –CH=, conferendo alla molecola un carattere aromatico che garantisce stabilità e bassa reattività.

Gli atomi di azoto all’interno della molecola possono legarsi a ioni metallici come ferro, cobalto e , formando complessi organometallici che assorbono e riflettono determinate radiazioni luminose, conferendo alle porfirine colorazioni specifiche come il rosso dell’emoglobina e il verde della clorofilla.

Le porfirine sono coinvolte in molteplici funzioni biologiche, che vanno dal trasporto di ossigeno al trasferimento di elettroni e alla fotosintesi. La loro importanza è evidenziata anche dalla loro origine biologica e dalla loro sintesi attraverso la biosintesi per della con il succinil-CoA in presenza di ALA sintetasi.

In ambito medico, le porfirine trovano applicazione per la capacità di assorbire la luce e convertirla in ed energia, fungendo da catalizzatori e coloranti.

In sintesi, le porfirine sono composti affascinanti che svolgono un ruolo cruciale in numerosi processi biologici e chimici, dimostrando la straordinaria complessità e precisione della natura.

Fulminato di mercurio: storia, struttura, sintesi

Fulminato di mercurio: una sostanza con una storia affascinante

Caratteristiche uniche del fulminato di mercurio

Il fulminato di mercurio è conosciuto per le sue particolari caratteristiche: si tratta di un solido cristallino grigio insolubile in acqua e estremamente sensibile all’urto e al riscaldamento. Queste proprietà lo rendono un esplosivo primario, utilizzato in diversi contesti legati alla produzione di ad alto potenziale.

La storia dietro il fulminato di mercurio

La scoperta del fulminato di mercurio risale al 1800, quando il chimico britannico Edward Howard, per caso, scoprì che trattando il mercurio con ed si otteneva una polvere bianca esplosiva. Questa sostanza divenne presto protagonista con l’introduzione, nel 1807, di una capsula a percussione contenente fulminato di mercurio, che rivoluzionò il mondo delle armi rendendo obsoleti i modelli a pietra focaia. Tuttavia, l’uso non prudente di questa sostanza causò incidenti fatali, come nel caso del chimico britannico Henry Hennel nel 1842. Solo verso la fine del XIX secolo il fulminato di mercurio fu combinato con altre sostanze per creare esplosivi più stabili e sicuri. Un’aneddoto interessante è che il fulminato di mercurio è stato utilizzato come elemento narrativo nella serie televisiva “Breaking Bad”.

La complessa struttura del fulminato di mercurio

La struttura del fulminato di mercurio è stata definita solo nel 2007 dai chimici tedeschi Wolfgang Beck e Thomas M. Klapötke. Questa sostanza è composta da uno ione fulminato, un pseudoalogeno con formula CNO-, che conferisce al fulminato di mercurio la formula Hg(CNO)2. Il suo reticolo ortorombico si contraddistingue per il legame di ogni atomo di mercurio a due atomi di .

Il processo di sintesi del fulminato di mercurio

Il fulminato di mercurio viene ottenuto trattando il mercurio con acido nitrico ed etanolo. Inizialmente, il mercurio reagisce con l’acido nitrico per formare nitrato di mercurio (I) e biossido di azoto. Successivamente, il nitrato di mercurio (I) reagisce con l’eccesso di acido nitrico e l’etanolo dando origine al fulminato di mercurio, che deve essere conservato in acqua e asciugato prima dell’utilizzo. La di questa sostanza avviene a temperature inferiori ai 100°C e può essere innescata da vibrazioni, variazioni di pressione e urti, generando diossido di carbonio, azoto gassoso e sali di mercurio.

Il fulminato di mercurio, con la sua storia affascinante, la complessa struttura e il processo di sintesi intricato, continua ad essere oggetto di studio e ricerca per la sua peculiare natura chimica e le sue applicazioni nella produzione di esplosivi.

Lenti fotocromatiche, fotocromismo, composizione, usi

Lenti fotocromatiche: funzionamento e applicazioni

Le lenti fotocromatiche, che sono state introdotte sul mercato negli anni ’60, sono caratterizzate dalla capacità di scurirsi in risposta alle o alla luce solare, per poi tornare alla trasparenza normale quando cessa l’esposizione. Questo effetto è noto come , un processo reversibile che avviene grazie all’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche.

Inizialmente realizzate in vetro e successivamente in policarbonato o poliallil-diglicol-carbonato, le lenti fotocromatiche contengono metallici come MnO2, Fe2O3 e TiOx, che riducono la trasmissione delle radiazioni UV. Nei materiali utilizzati per le lenti, come il vetro, sono presenti di e cloruro di rame (I) che, al contatto con la luce, provocano l’annerimento della lente. Tuttavia, in assenza di luce, avviene la riduzione dei composti, ripristinando il colore originale della lente.

Applicazioni avanzate delle lenti fotocromatiche

Le lenti fotocromatiche trovano ampio utilizzo in diversi settori grazie alla loro capacità di adattarsi alla luce solare e variarne l’assorbimento, per poi ritornare al loro stato iniziale. Questa tecnologia ha portato allo sviluppo di lenti fotocromatiche sintetiche, in cui molecole come i derivati del naftopirano possono generare reazioni reversibili quando esposti ai raggi UV, offrendo una maggiore versatilità nell’annerimento della lente.

Conclusioni

Le lenti fotocromatiche rappresentano un elemento essenziale in diversi settori grazie alla loro capacità di adattarsi alle diverse condizioni di luminosità, offrendo protezione dagli agenti dannosi e migliorando il comfort visivo. La continua evoluzione di questa tecnologia ha portato a lenti fotocromatiche sempre più avanzate e adatte alle esigenze di una varietà di utenti.

Relazione diagonale: coppie di elementi del secondo e del terzo periodo

Approfondimento sulla Relazione Diagonale tra Elementi del Secondo e Terzo Periodo

La relazione diagonale rappresenta un fenomeno interessante in chimica che mette in luce similitudini nei comportamenti chimici e chimico-fisici di elementi adiacenti tra il secondo e il terzo periodo della Tavola periodica. Questa analogia si basa sul fatto che il raggio atomico diminuisce da sinistra a destra lungo un periodo e dal basso verso l’alto lungo un gruppo, influenzando le proprietà periodiche degli elementi.

Analogie tra Litio e , e Alluminio, e

Elementi come il Litio del Gruppo 1A del secondo periodo mostrano affinità con il Magnesio del Gruppo 2° del terzo periodo, mentre il Berillio presenta similitudini con l’Alluminio e il Boro con il Silicio. Queste associazioni sono fondamentali per comprendere le relazioni chimiche tra gli elementi coinvolti.

Manifestazioni della Relazione Diagonale

Un esempio tangibile di questa relazione è l’anomalo comportamento del Litio rispetto agli altri elementi del Gruppo 1A e le analogie presenti con il Magnesio, evidenziando la rilevanza del raggio atomico e del potere polarizzante. Le proprietà di elementi come il Litio e il Magnesio possono essere confrontate per sottolinearne le corrispondenze.

Esempi di Similitudini Chimiche e Chimico-fisiche

I cloruri di litio e magnesio, ad esempio, manifestano proprietà deliquescenti e solubilità in alcol e piridina, diversamente dai cloruri degli altri elementi del gruppo. Inoltre, i fluoruri e i di litio e magnesio si caratterizzano per essere poco solubili in acqua, contrariamente a quelli degli altri elementi.

Approfondimento su Alcune Reazioni Chimiche

Al riscaldamento, litio e magnesio formano monossidi, a differenza degli altri metalli alcalini che generano perossidi e superossidi. Inoltre, entrambi reagiscono con l’azoto per dar luogo a nitruri e, in presenza di acqua, producono ammoniaca. I carbonati, gli idrossidi e i nitrati di litio e magnesio, riscaldati, conducono a reazioni di decomposizione con formazione dei rispettivi ossidi.

Conclusioni sulla Relazione Diagonale negli Elementi del Secondo e Terzo Periodo

In sintesi, la relazione diagonale tra alcuni elementi dei periodi 2 e 3 della Tavola periodica evidenzia similitudini significative nei comportamenti chimici e chimico-fisici, offrendo spunti interessanti per lo studio della chimica degli elementi e stimolando ulteriori ricerche in questo affascinante campo.

Gruppo 3A della Tavola Periodica: proprietà periodiche, composti

Caratteristiche e composti del Gruppo 3A della Tavola Periodica

Il Gruppo 3A, noto anche come Gruppo 13, è composto da elementi come il Boro, Alluminio, Gallio, Indio e Tallio, ognuno con una configurazione elettronica ns2,np1.

Proprietà periodiche

Le proprietà periodiche del Gruppo 3A mostrano che l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività tendono a diminuire dal boro all’alluminio, con piccole variazioni procedendo lungo il gruppo. Curiosamente, l’elettronegatività invece aumenta dal gallio al tallio. L’alluminio e il gallio presentano e ioni quasi identici.

Il tallio, diversamente dagli altri elementi del gruppo, tende a perdere solo l’elettrone appartenente all’orbitale 6p, il che lo porta a avere il numero di ossidazione più comune +1.

Composti

Il boro condivide alcune proprietà simili al silicio e forma idruri infiammabili noti come borani. Entrambi formano composti binari con gli alogeni, idrolizzandosi per produrre acido borico e acido ortosilicico rispettivamente. Gli di boro e silicio sono considerati ossidi acidi e reagiscono con i metalli per formare boruri e siliciuri.

Anche l’alluminio mostra somiglianze con il nelle proprietà, formando anche nitruri e carburi che reagiscono con l’acqua. Questi composti liberano ammoniaca e metano rispettivamente durante le reazioni.

Gli altri elementi del Gruppo 3A seguono una struttura simile ai , con l’orbitale d pieno.

In conclusione, sebbene gli elementi del Gruppo 3A condividano lo stesso gruppo, presentano caratteristiche e comportamenti chimici distinti.

Gallio, Indio e Tallio: Caratteristiche e Applicazioni

Il gallio, predetto da Dimitri Mendeleev, è associato all’arseniuro di gallio (GaAs), un semiconduttore ampiamente utilizzato in dispositivi elettronici come microonde, diodi, LED e laser.

L’indio, un metallo tenero, condivide alcune proprietà con il gallio e il tallio. L’ossido di indio e stagno (ITO), per esempio, trova impiego nelle pellicole conduttive trasparenti per dispositivi fotovoltaici, touch screen e televisori a schermo piatto. Il fosfuro di indio e il nitruro di indio sono utilizzati nella produzione di diodi LED, laser e nello studio di celle solari efficienti, rispettivamente.

Il tallio, metallo soggetto all’ossidazione in presenza di aria e acqua, è utilizzato per abbassare il punto di fusione di specifici vetri. Ha applicazioni come topicida in alcune regioni e nelle fotocellule per la sua capacità di variare la conducibilità elettrica in presenza di luce infrarossa. È oggetto di ricerche per lo sviluppo di materiali superconduttori ad alta temperatura.

Questi elementi, liquidi a temperatura ambiente, giocano un ruolo significativo nella produzione di dispositivi elettronici, e materiali specializzati.

I benefici dell’olio di mandorle, composizione

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I vantaggi dell’olio di mandorle dolci: scopri la sua composizione e i usi

L’olio di mandorle dolci, estratto attraverso la spremitura a freddo delle mandorle, è ampiamente utilizzato nell’industria cosmetica e ha molteplici benefici anche nella medicina tradizionale. Grazie alle sue proprietà, si ritiene che sia efficace nel migliorare la funzionalità intestinale e nel trattamento di condizioni cutanee come la psoriasi e l’eczema.

Conservazione e utilizzo dell’olio di mandorle dolci

Di colore giallo tenue e con una consistenza limpida, l’olio di mandorle dolci può facilmente irrancidirsi. Pertanto, è consigliabile conservarlo in contenitori di vetro scuro e, una volta aperto, mantenerlo in frigorifero. Spesso si aggiunge la vitamina E alle formulazioni dell’olio per rallentare il processo di irrancidimento grazie alle sue proprietà antiossidanti.

I benefici dell’olio di mandorle dolci per la pelle

Utilizzato nell’ambito cosmetico, l’olio di mandorle dolci risulta particolarmente indicato per la pelle secca poiché aiuta a prevenire la disidratazione cutanea e a idratare pelli secche e desquamate. Grazie alla sua ricca composizione di vitamine, minerali, e antiossidanti, questo olio è in grado di proteggere la pelle dai danni dei raggi UV, ripristinare la sua barriera idratante e rendere la pelle più giovane e rivitalizzata. È spesso incluso in creme anti-smagliature e rappresenta un valido alleato per la salute dei capelli, idratandoli e conferendo loro morbidezza e lucentezza. Inoltre, favorisce la crescita dei capelli, attivando i follicoli e contrastando condizioni infiammatorie del cuoio capelluto grazie alle sue proprietà antimicrobiche.

della composizione dell’olio di mandorle dolci

L’olio di mandorle dolci è composto principalmente da acidi grassi insaturi, che costituiscono circa il 95% degli acidi grassi presenti, mentre il restante 5% è composto da acidi grassi saturi. Tra gli acidi grassi presenti nell’olio di mandorle dolci ci sono il Miristico, il Palmitico, il Palmitoleico, lo Stearico, l’Oleico, il Linoleico, l’Arachidico e il Linolenico. Inoltre, contiene minerali come , ferro, calcio e una varietà di vitamine tra cui la vitamina A, le vitamine del gruppo B, la vitamina D e la vitamina E.

Ritardanti di fiamma bio-based: cardanolo, acido fitico, amido

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Ritardanti di fiamma bio-based: una scelta ecologica per la protezione ambientale

L’importanza dei ritardanti di fiamma bio-based

I ritardanti di fiamma bio-based stanno emergendo come una soluzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente rispetto ai ritardanti di fiamma tradizionali, in particolare ai ritardanti di fiamma bromurati (BFR). Questi ultimi, a livello ambientale, possono presentare rischi significativi come la loro resistenza alla decomposizione chimica, biologica e fotolitica, oltre alla loro capacità di migrare e bioaccumularsi nei tessiuti viventi.

L’evoluzione verso materiali ignifughi ecologici

In risposta ai problemi legati ai ritardanti di fiamma alogenati che rilasciano gas tossici durante la , compromettendo il riciclaggio sicuro delle parti in plastica in dispositivi elettrici, c’è una spinta crescente verso l’utilizzo di ritardanti di fiamma più eco-friendly. Tra questi, spiccano i ritardanti di fiamma organofosforici e bio-based provenienti da fonti di biomassa verde e rinnovabile.

Materiali e tecniche innovative

La ricerca si sta concentrando sull’ideazione di materiali ignifughi più ecologici e sostenibili, con una particolare attenzione verso i ritardanti di fiamma bio-based. Tra i materiali impiegati ci sono il cardanolo, l’acido fitico, l’amido, la , il , l’acido tannico e la β-ciclodestrina, tutti derivati da risorse di biomassa.

Applicazioni e vantaggi

Per esempio, il cardanolo, un lipide fenolico ricavato dai residui della lavorazione degli anacardi, può essere trasformato in nuovi monomeri epossidici fosforilati. Allo stesso modo, l’acido fitico, un estere diidrogenofosfato dell’inositolo trovato in vari alimenti di origine vegetale, viene impiegato per la produzione di materiali polimerici grazie all’alto contenuto di fosforo.

Anche l’amido, combinato con tessuti di lino e polifosfato di ammonio, si è dimostrato efficace nella creazione di compositi ignifughi biodegradabili con una notevole capacità di autoestinzione della fiamma.

Conclusioni

L’utilizzo dei ritardanti di fiamma bio-based rappresenta un importante passo avanti per la tutela dell’ambiente, offrendo alternative sostenibili e sicure ai tradizionali ritardanti di fiamma alogenati. Questa evoluzione nell’ambito dei materiali ignifughi potrebbe aprire la strada a soluzioni sempre più rispettose dell’ecosistema.

Nitruro di boro: struttura, sintesi, effetto di Petch-Hall, usi

Struttura e Proprietà del Nitruro di

Il nitruro di boro è un composto refrattario che unisce boro e azoto nella sua formula chimica BN. Presenta diverse forme cristalline che lo rendono un materiale molto versatile, simile in struttura alla e al . Questa varietà di strutture conferisce al nitruro di boro caratteristiche uniche e interessanti.

Sintesi del Nitruro di Boro

La sintesi del nitruro di boro avviene tipicamente attraverso la reazione di triossido di boro o acido borico con ammoniaca in presenza di azoto a una temperatura di circa 900°C. Le forme più comuni di nitruro di boro, simili alla grafite e al diamante, richiedono condizioni di alte temperature e pressioni per essere ottenute.

L’Effetto di Petch-Hall nel Nitruro di Boro

Le strutture cristalline del nitruro di boro sono soggette all’effetto di Petch-Hall, un fenomeno noto per il rinforzo dei materiali che contribuisce a rendere il nitruro di boro molto resistente e durevole. La sua forma cubica, ad esempio, mostra una durezza superiore persino al diamante sintetico, garantendo anche una maggiore inerzia chimica e resistenza al .

Applicazioni del Nitruro di Boro

Il nitruro di boro trova numerose applicazioni in diversi settori. Utilizzato sotto forma esagonale, viene impiegato nel campo dei lubrificanti e degli additivi cosmetici. Nella forma di wurtzite, invece, viene impiegato come superabrasivo. Inoltre, è ampiamente utilizzato come substrato per nell’elettronica e può essere impiegato per la creazione di nanotubi isolanti e resistenti, particolarmente utili nell’industria aerospaziale.

Il nitruro di boro mostra anche eccellenti capacità di assorbimento delle radiazioni, emergendo come una valida alternativa al carbonio e offrendo prestazioni superiori in diversi contesti. Con le sue molteplici proprietà e potenzialità, il nitruro di boro si conferma come un materiale di grande interesse per svariate applicazioni tecniche e industriali.

Carburi ionici, interstiziali, sintesi

I diversi tipi di carburi e le loro applicazioni

I carburi sono composti classificati in base alle loro proprietà come carburi covalenti, ionici e interstiziali. Il carbonio, pur essendo inerte a ambiente, reagisce con elementi meno elettronegativi ad alte temperature per formare i carburi.

Carburi Covalenti e le loro applicazioni

Quando il carbonio reagisce con elementi simili in dimensioni ed elettronegatività, si formano carburi covalenti come il , utilizzato in vari settori industriali per le sue proprietà simili a quelle del , come nel campo dei semiconduttori e nella produzione di armi.

Un altro esempio è il carburo di , ampiamente utilizzato nelle corazze dei carri armati e nelle protezioni balistiche, oltre che nelle centrali nucleari per la sua capacità di assorbire i neutroni.

Carburi Ionici e le loro applicazioni

I carburi ionici sono composti da carbonio e un elemento dei Gruppi I, II e III della Tavola periodica. Per esempio, il carburo di calcio, ottenuto dall’ossido di calcio, trova impiego nella sintesi dell’acetilene e nella produzione di calciocianammide, oltre che nell’industria siderurgica.

Il carburo di berillio e il carburo di alluminio sono altri esempi di carburi ionici utilizzati nei settori dei , degli abrasivi e degli utensili da taglio.

Carburi Interstiziali e le loro caratteristiche

I carburi interstiziali sono composti principalmente da metalli di transizione che ospitano piccoli atomi di carbonio nel loro reticolo. Questi materiali sono noti per la loro elevata durezza, ma anche per la fragilità e gli elevati punti di fusione. Ad esempio, il carburo di tungsteno è utilizzato negli utensili da taglio e nei materiali compositi, mentre il carburo di ferro (cementite) è fondamentale per la protezione dalla ruggine in materiali ferrosi.

Conclusioni

La classificazione dei carburi e le loro applicazioni in diversi settori industriali sottolineano l’importanza di questi composti nella produzione di materiali ad alte prestazioni. Con una vasta gamma di tipologie e proprietà, i carburi giocano un ruolo cruciale in molte applicazioni tecnologiche.

Xenotime: diffusione, proprietà, usi

Xenotime: caratteristiche, usi e impieghi

Xenotime, appartenente al gruppo dei , e vanadati contenenti cationi di terre rare, rappresenta uno dei minerali più diffusi all’interno di tale gruppo. In particolare, il Xenotime-(Y), composto da fosfato di ittrio con formula YPO4, è il membro più comune di questa famiglia.

Scoperta e denominazione
La scoperta del xenotime venne effettuata dal mineralogista norvegese Nils Otto Tank e il chimico svedese Jøns Jacob Berzelius ne fornì la prima descrizione nel 1824. Il mineralogista francese François Sulpice Beudant coniò il nome “xenotime”, derivante dalle parole greche κευός (straniero) e τιμή (onore), in riferimento al fatto che l’ittrio, elemento presente nel minerale, fu inizialmente scambiato da Berzelius per una nuova sostanza.

Distribuzione e caratteristiche
Il xenotime è un minerale di notevole importanza nelle rocce ignee e metamorfiche, spesso associato a minerali come quartzo, microclino, albite, rutilo, muscovite, biotite, zircone, anatasio e monazite. Si trova in giacimenti minerari in diverse parti del mondo, tra cui Norvegia, Madagascar, Brasile e Stati Uniti. Può contenere elementi rari come , , , itterbio, zirconio e calcio, rendendolo leggermente radioattivo. La sua colorazione varia, presenta una durezza sulla scala di Mohs compresa tra 4 e 5, e un peso specifico che varia da 4,4 a 5,2.

Utilizzi e applicazioni
Il xenotime è principalmente impiegato come fonte di ittrio e lantanidi come disprosio, itterbio, erbio e gadolinio. Questi elementi sono cruciali per la produzione di dispositivi tecnologici ad alta tecnologia come smartphone, dischi rigidi per computer, veicoli elettrici e ibridi, monitor e televisori a schermo piatto.

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