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Ossidazioni biologiche: ossidoreduttasi, energia

Ossidazioni biologiche: importanza delle e produzione di energia

Le ossidazioni biologiche, fondamentali nei processi vitali degli organismi viventi, coinvolgono reazioni complesse che producono energia. Tali reazioni avvengono principalmente attraverso l’addizione o la rimozione di o idrogeno, nonché la perdita di elettroni, fenomeno assai comune.

Le di ossidazione coinvolte richiedono la presenza di particolari enzimi noti come ossidoreduttasi. Questi enzimi catalizzano il trasferimento di elettroni tra molecole riducenti e ossidanti. Tale processo è cruciale per il funzionamento cellulare e la produzione di energia.

Ruolo e classificazione delle ossidoreduttasi

Le ossidoreduttasi si suddividono in vari tipi, tra cui le ossidasi che trasferiscono elettroni direttamente all’ossigeno, le ossigenasi che incorporano ossigeno in molecole accettrici e le perossidasi che utilizzano ossigenata come agente ossidante.

Importanza nell’ambito delle ricerche

Le ricerche nel XVIII secolo, compiute ad esempio da Lavoisier, hanno permesso di comprendere meglio il processo di ossidazione negli organismi viventi. Ciò ha portato alla localizzazione delle ossidazioni biologiche all’interno delle cellule, alla determinazione del loro rapporto con altri processi metabolici e alla spiegazione dei meccanismi di reazione enzimatica e del processo di produzione di energia.

Relazione tra ossidazioni biologiche ed energia cellulare

La maggior parte dell’energia prodotta tramite le ossidazioni biologiche è immagazzinata in composti ad alta energia come l’ATP. Attraverso processi complessi come la glicolisi e il , le biomolecole come carboidrati, lipidi e proteine vengono ossidate per produrre energia utilizzabile dalla cellula.

Inoltre, durante le reazioni di ossidazione biologica avviene un trasferimento simultaneo di ioni idrogeno ed elettroni, mentre in altri casi gli ioni idrogeno possono essere persi durante il trasferimento degli elettroni. Tali trasferimenti avvengono attraverso le molecole trasportatrici di elettroni denominate citocromi che permettono l’utilizzo dell’ossigeno a livello cellulare.

Comprendere il flusso di elettroni tra le molecole in queste reazioni permette di tracciare il trasporto di energia nelle cellule, il che è fondamentale sia per la ricerca scientifica che per l’applicazione pratica nel campo della biologia e della medicina.

Farmacocinetica e tempo di dimezzamento

“Farmacocinetica: tutto quello che c’è da sapere sul di dimezzamento”

La farmacocinetica è una branca della farmacologia che si occupa dello studio dell’assorbimento, della distribuzione, delle trasformazioni biologiche e dell’eliminazione dei farmaci nell’organismo. È di fondamentale importanza nella somministrazione di farmaci prevederne la concentrazione dopo un certo tempo dall’assunzione.

Un parametro cruciale studiato dalla farmacocinetica è il tempo di dimezzamento, che rappresenta il tempo necessario affinché la concentrazione di un farmaco si riduca della metà rispetto a quella iniziale. Questo parametro cambia a seconda del tipo di reazione del farmaco.

Nelle , la velocità della reazione non è influenzata dalla concentrazione del substrato, mentre nelle e del secondo ordine dipende sia dalla costante di velocità che dalla concentrazione iniziale dei reagenti. La comprensione di questi concetti è cruciale per determinare l’intervallo più opportuno di somministrazione di un farmaco, evitando così un accumulo eccessivo nel corpo. Identificare il tempo di dimezzamento del farmaco è fondamentale per evitare sovradosaggi e per assicurare un’assunzione appropriata e efficace.

Metodi gravimetrici: condizioni, pH

Metodi gravimetrici per la determinazione quantitativa di sostanze

I metodi gravimetrici rappresentano un’importante tecnica analitica utilizzata per determinare la percentuale in peso di un determinato elemento all’interno di una sostanza. Questi metodi si basano sulla formazione di un composto insolubile attraverso l’aggiunta di un precipitante a una soluzione contenente l’analita. In generale, le reazioni che portano alla formazione di un possono essere impiegate per la determinazione quantitativa dell’analita in soluzione.

Per condurre una precipitazione gravimetrica efficace, è fondamentale che il precipitato sia poco solubile, di elevata purezza e di composizione nota, garantendo la sua facile separazione dalla miscela di reazione. Per minimizzare la solubilità del precipitato, è essenziale controllare le condizioni di precipitazione e considerare tutti gli eventuali equilibri che possono influenzare la solubilità del composto.

La solubilità dei precipitati può essere influenzata dal della soluzione. Ad esempio, nel caso della precipitazione del (II) come idrossido di ferro (II), si osserva che al diminuire del pH la solubilità dell’ossidrossido diminuisce, poiché la concentrazione di ioni idrogeno aumenta, riducendo la presenza di ioni idrossido. Pertanto, è necessario regolare il pH per ridurre la solubilità dell’ossidrossido.

Un altro aspetto da considerare è la scelta del solvente, in quanto la solubilità di un precipitato può variare in base al tipo di solvente utilizzato. Ad esempio, il del PbSO4 in una miscela 50:50 di ed etanolo risulta notevolmente inferiore rispetto a quello in acqua pura.

In definitiva, l’ottimizzazione delle condizioni, compreso il controllo del pH e la scelta del solvente appropriato, è cruciale per condurre con successo analisi gravimetriche per la determinazione quantitativa di sostanze. Utilizzando queste tecniche, è possibile ottenere risultati accurati e affidabili nella determinazione della composizione di un campione.

Determinazione dei cianuri: procedimento, calcoli

Determinazione dei cianuri mediante titolazione con

La determinazione dei cianuri può essere effettuata tramite titolazione con una soluzione di nitrato di argento. Quando una soluzione di nitrato di argento è aggiunta a una soluzione contenente ioni cianuro si forma un precipitato bianco non appena le due soluzioni entrano in contatto.

Successivamente, dopo agitazione, il precipitato si solubilizza a causa della formazione del complesso solubile dicianoargentato [Ag(CN)2]. Quando l’argento ha reagito con tutto lo ione cianuro presente in soluzione, un’ulteriore aggiunta di nitrato di argento porta alla formazione del dicianoargentato di argento, che è un sale poco solubile secondo la reazione: Ag+ + [Ag(CN)2] → Ag[Ag(CN)2].

Il punto finale della titolazione viene quindi indicato da un intorbidimento della soluzione. La difficoltà nel determinare il punto finale sta nel fatto che il dicianoargentato di argento precipita se si crea un gradiente di concentrazione di ione Ag+ in una parte della soluzione prima del punto di equivalenza e, nonostante l’agitazione, è molto lento a ridissolversi.

Un metodo alternativo, noto come metodo Dénigés, prevede l’utilizzo di di potassio e una soluzione di ammoniaca aggiunti prima dell’inizio della titolazione. Le reazioni coinvolte sono: Ag[Ag(CN)2] + 2 NH3 → [Ag(NH3)2+ ] + [Ag(CN)2], [Ag(NH3)2+ ] + I → AgI + 2 NH3.

Secondo il metodo Dénigés, il punto finale è determinato dall’intorbidimento della soluzione dovuto alla formazione di AgI di colore giallo.

Per la determinazione dei cianuri, alla soluzione contenente lo ione cianuro sono aggiunti 15-20 mL di NH3 2 M, e si diluisce fino a 100 mL. Si aggiungono 2.0 g di KI e, dopo aver agitato, si titola con una soluzione standardizzata di AgNO3 0. M fino a intorbidimento della soluzione.

Calcoli

Per la determinazione dei cianuri si calcolano le moli di nitrato di argento: moli di AgNO3 = volume della soluzione necessario per la titolazione (in Litri) ∙ 0.1 mol/L.

Il del nitrato di argento deve avvicinarsi a 0.1 M, poiché si è preventivamente proceduto alla standardizzazione di AgNO3, quest’ultimo ha una concentrazione nota e con un maggior numero di cifre significative. Se sono stati necessari 18.7 mL di AgNO3 0.1010 M, le moli di nitrato di argento sono 0.0187 L ∙ 0.1010 = 0.00189.

Poiché il rapporto stechiometrico tra Ag+ e CN è di 1:2, si ha che le moli di ione cianuro presenti nella soluzione sono 0.00189 ∙ 2 = 0.00378.

Proprietà colligative: esercizi svolti e commentati

Proprietà colligative delle soluzioni: esercizi svolti e commentati

Le proprietà colligative delle soluzioni sono fenomeni che dipendono esclusivamente dal numero di particelle presenti in una soluzione, indipendentemente dalla loro natura chimica. Le quattro principali proprietà colligative sono l’innalzamento ebullioscopico, l’, la e l’abbassamento della tensione di vapore.

Esercizi

) Calcolo del peso molecolare di una proteina

Una soluzione acquosa di volume 10.0 mL contiene 0.0250 g di una proteina di peso molecolare incognito. Sapendo che la pressione osmotica della soluzione alla temperatura di 25.0 °C è di 0.00360 atm, il calcolo del peso molecolare della proteina può essere effettuato secondo l’espressione π = CRT, dove C è la concentrazione molare della soluzione, R è la costante universale dei gas e T è la temperatura in gradi Kelvin. Dopo i calcoli, si ottiene un peso molecolare di 1.67 ∙ 10^4 g/mol.

) Determinazione del peso molecolare di un composto non volatile

A temperatura ambiente, una massa di 18.26 g di un composto non volatile viene sciolta in 33.25 g di bromoetano CH3CH2Br. La tensione di vapore della soluzione è di 4.42 ∙ 10^4 Pa. Utilizzando la legge di Raoult e altri calcoli, si ottiene un peso molecolare del composto non volatile di 314.8 g/mol.

3) Calcolo della massa di cloruro di magnesio esaidrato

Per ottenere 1.00 L di una soluzione di cloruro di magnesio esaidrato che esercita una pressione osmotica di 6.00 atm a 37.0 °C, è necessario calcolare la massa di cloruro di magnesio. Considerando la concentrazione totale dei ioni e altri parametri, si stabilisce la massa necessaria di cloruro di magnesio esaidrato come pari a 16.0 g.

4) Determinazione della concentrazione molare di NaCl in una soluzione

Assumendo che la concentrazione di tutti gli altri sali sia trascurabile, la concentrazione molare di NaCl presente in un campione di di mare con una temperatura di congelamento di -2.15 °C alla pressione di 1 atm e una densità di soluzione di 1.00 g/mL viene calcolata. Si ottiene una concentrazione molare di 0.559.

5) Calcolo della tensione di vapore di una soluzione

La tensione di vapore a 25°C di una soluzione al 20.0% m/m di un non elettrolita con peso molecolare di 121.3 g/mol viene calcolata. Utilizzando la legge di Raoult, si ottiene una tensione di vapore della soluzione di 22.9 torr.

6) Determinazione della frazione molare del benzene in una soluzione

Sapendo che la tensione di vapore di una soluzione è di 500 torr e che le tensioni di vapore del benzene e del toluene sono rispettivamente di 745 torr e 290 torr, viene calcolata la frazione molare del benzene nella soluzione, risultando essere 0.462.

7) Calcolo della temperatura di congelamento e di ebollizione di una soluzione

Dopo aver sciolto 257.0 g di naftalene in 500.0 g di cloroformio, la temperatura di congelamento e di ebollizione della soluzione viene calcolata. Si ottengono rispettivamente -82.4 °C e 76.3 °C.

8) Calcolo della tensione di vapore di una soluzione e delle frazioni molari

Nel caso di una soluzione contenente acetone e cloroformio in quantità equimolari, viene calcolata la tensione di vapore della soluzione e la frazione molare di ciascun componente nella fase gassosa. Si ottiene una tensione di vapore della soluzione di 319 torr, con una frazione molare dell’acetone pari a 0.541 e una frazione molare del cloroformio pari a 0.459.

In conclusione, le proprietà colligative delle soluzioni trovano molteplici applicazioni pratiche e la loro comprensione è fondamentale in diversi campi scientifici e tecnologici.

Lavaggio dei precipitati: metodi

Metodi di lavaggio dei precipitati

Durante una reazione in soluzione liquida, può formarsi un solido per precipitazione. Questo fenomeno può essere sfruttato nell’ambito dell’analisi chimica gravimetrica o nella sintesi di un composto solubile, che viene separato mediante l’aggiunta di un precipitante.

È essenziale che il precipitato sia sufficientemente puro. Tuttavia, dal momento che la precipitazione avviene in una soluzione che contiene altre specie, spesso risulta impuro. Pertanto, è necessario rimuovere le impurezze, sia nel caso in cui il precipitato venga utilizzato nell’analisi gravimetrica, sia se costituisce il prodotto di una reazione di sintesi.

La maggior parte dei precipitati si forma in presenza di uno o più composti solubili, che generalmente non sono volatili alla temperatura di essiccazione del precipitato. Per eliminare le sostanze estranee, è necessario procedere con il lavaggio del precipitato.

Il liquido di lavaggio deve essere ridotto al minimo, poiché potrebbe solubilizzare anche parte del precipitato. Inoltre è consigliabile eseguire più lavaggi con piccole quantità di liquido, anziché pochi lavaggi con quantità maggiori. I precipitati cristallini richiedono generalmente meno liquido di lavaggio rispetto a quelli amorfi.

Ad esempio, se si lavano i precipitati versando 10 mL di liquido nel filtro, e ogni volta ne vengono filtrati 9 mL, mentre mL viene assorbito dal precipitato e dalla carta, la quantità di impurità diminuisce progressivamente ad ogni lavaggio.

Il liquido di lavaggio ideale deve possedere determinate caratteristiche, tra cui: non deve avere azione solvente sul precipitato, ma deve solubilizzare con facilità le sostanze estranee, non deve agire in modo dispersivo sul precipitato, deve essere sufficientemente volatile a temperatura ambiente e non deve formare composti con il precipitato, é contenere sostanze che possano interferire con successive determinazioni sul filtrato.

Il lavaggio dei precipitati con è generalmente efficace; tuttavia, se il precipitato è solubile in acqua, è consigliabile aggiungere uno ione in comune, in quanto gli sono meno solubili in una soluzione contenente uno dei suoi ioni. Ad esempio, un idrossido può essere lavato con una soluzione diluita di .

In generale, le acque madri vengono eliminate dopo 3-4 lavaggi, mentre per eliminare le impurezze trattenute per adsorbimento, è necessario un lavaggio più prolungato. È importante notare che, se vengono completamente eliminate le acque madri salate o se il precipitato viene diluito oltre un certo limite, tende a diventare colloidale e a disperdersi in forma colloidale, passando attraverso il filtro. Pertanto, in questi casi, è consigliabile lavare i precipitati con acqua contenente una quantità sufficiente di elettrolita, come l’acetato, il cloruro o il nitrato di ammonio.

Concentrazione micellare critica: micelle, equilibrio

Concentrazione micellare critica: micelle, equilibrio

La concentrazione micellare critica rappresenta il valore di concentrazione di una soluzione contenente un tensioattivo a cui si ha l’aggregazione di monomeri con formazione di micelle, raggiunta o superata una certa temperatura.

I sono composti che abbassano la di un liquido, la tensione superficiale tra due liquidi o la tensione interfacciale tra un liquido e un solido. Sono costituiti da una parte polare o ionica, idrosolubile, e da una parte non polare, liposolubile, rendendoli anfifilici.

Le micelle sono un colloidale di associazione formato da un tensioattivo in soluzione in equilibrio con le molecole o con gli ioni che concorrono a formarle. La loro formazione è regolata dalla concentrazione micellare critica, che rappresenta il valore di concentrazione di una soluzione contenente un tensioattivo alla quale un certo numero di monomeri si aggregano per formare una micella, raggiunta o superata la temperatura critica.

Inoltre, la formazione delle micelle comporta un equilibrio di associazione-dissociazione rapido e dinamico, che porta alla modifica della tensione superficiale in funzione della concentrazione del tensioattivo. Questo fenomeno può essere osservato tramite un grafico che evidenzia le variazioni della tensione superficiale in relazione alla concentrazione del tensioattivo.

Il valore della concentrazione micellare critica è rilevante in molteplici applicazioni industriali, coinvolgendo l’adsorbimento di molecole di tensioattivo alle interfacce come schiume, emulsioni, sospensioni e rivestimenti di superficie. Inoltre, esso rappresenta un parametro di rilievo per la caratterizzazione del comportamento colloidale e per lo studio della tensione superficiale.

Dissoluzione di sali insolubili per complessazione: esempi svolti

La dissoluzione dei sali insolubili può essere ottenuta agendo sul o tramite la formazione di complessi, a seconda del tipo di sale. Un esempio di ciò è la dissoluzione del cloruro di argento attraverso l’, che porta alla formazione del complesso diamminoargento.

Alcuni sali poco solubili possono essere resi solubili grazie alla formazione di complessi con cationi, rendendo possibile la loro dissoluzione. Questo avviene quando la costante di formazione del complesso è tale che la concentrazione dell’ione metallico non complessato non supera il prodotto di solubilità.

Un esempio pratico di questo processo si ritrova nel fissaggio della pellicola fotografica, in cui il tiosolfato di sodio forma un complesso solubile con il bromuro di argento residue, consentendone la rimozione mediante lavaggi. In questo contesto, la formazione del complesso solubile con il tiosolfato consente la dissoluzione del bromuro di argento, rendendolo più conveniente per l’uso nella fase di fissaggio.

Nell’equilibrio di dissoluzione del bromuro di argento in , le concentrazioni di ioni argento e bromuro sono uguali. Inoltre, la solubilità molare di AgBr è determinata come 5.0 ∙ 10-13, e la concentrazione di ione argento si trova interamente nella forma complessata Ag(S2O3)3-, in una soluzione di tiosolfato. Utilizzando queste informazioni nell’espressione di K, si calcola che in litro di soluzione di tiosolfato 1.0 M si sciolgono 0.44 moli di AgBr, confermando l’utilità del tiosolfato nella fase di fissaggio.

In sintesi, la formazione di complessi solubili può essere un efficace per la dissoluzione dei sali insolubili, come dimostrato nel processo di fissaggio della pellicola fotografica.

Venti: termodinamica, Föhn, vento di chinook, Santa Ana

Venti e fenomeni atmosferici influenzati dalla termodinamica

I venti si generano dal movimento dell’aria tra zone ad alta e bassa a causa delle forze di gradiente. Il clima delle regioni marittime è caratterizzato da piccole variazioni di temperatura, grazie all’effetto termoregolatore del mare con la sua elevata . Questo comporta fenomeni come la formazione della brezza marina.

Durante il giorno, la terra si riscalda più rapidamente dell’acqua, provocando una diminuzione della pressione al livello del suolo, e l’aria più fresca sopra il mare si sposta verso l’area a pressione più bassa sulla terraferma, generando la brezza marina.

Il dell’acqua è molto più elevato rispetto a quello del suolo, portando a una temperatura più stabile in mare rispetto alla terra.

I raggi solari riscaldano la superficie terrestre che emette radiazione elettromagnetica nell’infrarosso. L’atmosfera terrestre assorbe gran parte di questa radiazione, riscaldandosi e causando un’espansione dell’aria.

Il stabilisce che ogni volta che un gas si espande contro una pressione, compie un sull’ambiente. L’aria che si eleva dalla superficie terrestre subisce un’espansione adiabatica e si raffredda, con conseguenze sulle condizioni atmosferiche.

Quando i venti si sviluppano in zone ad alta quota, l’aria scende subendo una compressione adiabatica che la riscalda.

Esempi di venti influenzati da questi processi termodinamici sono il Föhn, il vento di chinook e il Santa Ana.

Il Föhn si manifesta su entrambi i lati della catena alpina, mentre il vento di chinook è osservabile nell’entroterra dell’America del Nord, causando una rapida fusione della neve a causa dell’aria secca. Il Santa Ana è tipico del sudovest della California, caratterizzato dalla discesa di aria fredda intrappolata tra montagne, che si riscalda per compressione adiabatica producendo temperature elevate. I venti di tipo Santa Ana sono stagionali, avendo luogo in autunno, inverno e primavera.

Effetto Zeeman: spettro atomico e interazione con campo magnetico

L’effetto Zeeman descrive il fenomeno di separazione di una linea spettrale in diverse componenti in presenza di un campo magnetico esterno. Scoperto dal fisico olandese Pieter Zeeman nel 1896, tale effetto comporta la suddivisione delle emesse da un gas eccitato in più componenti polarizzate, con la polarizzazione dipendente dall’angolo tra la direzione del campo magnetico e la direzione di osservazione, a causa dell’interazione tra il momento angolare L e il momento di spin S degli elettroni con il campo magnetico.

Gli elettroni sono particelle cariche confinate nei livelli energetici degli orbitali e possiedono spin seminintero, presentando momenti magnetici. Un elettrone circolante in un orbitale genera un campo magnetico interno che interagisce con il momento magnetico proprio dell’elettrone, avvenendo un accoppiamento spin-orbita (S-L).

L’ di un atomo in presenza di un campo magnetico si esprime come H = Ho + VM, con Ho rappresentante l’Hamiltoniano imperturbato e VM la perturbazione dovuta alla presenza del campo magnetico (- μ·B). Il momento magnetico dell’atomo è costituito da una parte dovuta all’elettrone e un’altra dovuta al nucleo, sebbene quest’ultima sia di molti ordini di grandezza minore e possa essere trascurata.

Il fattore di Landé g, dato dal rapporto tra il momento magnetico e il momento angolare orbitale di un sistema, è determinato dall’operatore del momento magnetico di un elettrone, che somma i contributi del momento angolare orbitale L e del momento angolare di spin S, ciascuno moltiplicato per l’opportuno rapporto giromagnetico. Nel caso di accoppiamento LS, si sommano tutti gli elettroni dell’atomo.

Nella maggior parte degli atomi, vi sono elettroni che si trovano in orbitali aventi la stessa energia. Tuttavia, la presenza del campo magnetico esterno elimina la degenerazione dei livelli energetici, modifica le energie degli elettroni e genera corrispondenti linee spettrali diverse seppure ravvicinate.

L’effetto Zeeman consiste in una separazione in energia () di sottolivelli energetici che in condizioni imperturbate risulterebbero degeneri. Da un livello l si differenziano 2l+ sottolivelli. Nel caso in cui siano presenti elettroni spaiati e quindi spin totale non nullo, come nel caso del sodio, la struttura si complica ulteriormente.

L’effetto Zeeman dipende dal campo magnetico applicato, dando vita al cosiddetto effetto Zeeman anomalo, che comporta l’apparizione di un numero di righe superiore alle tre dell’effetto normale. Le misure spettroscopiche sono state effettuate per indagare sull’esistenza di campi magnetici cosmici, come i campi magnetici del sole e delle macchie solari. Applicazioni prolungate nell’ambito della spettroscopia di risonanza magnetica nucleare, della spettroscopia di risonanza di spin elettronico, della risonanza magnetica per imaging e della spettroscopia Mössbauer sono ulteriori campi di interesse in relazione all’effetto Zeeman.

Esercizi sull’equilibrio svolti: costruzione di una I.C.E. chart

Costruzione di una per gli esercizi di equilibrio chimico gassoso

Gli esercizi sull’equilibrio chimico gassoso rappresentano una delle sfide più impegnative per gli studenti. Una strategia efficace per risolvere questi problemi è la costruzione di una I.C.E. chart. Nel contesto dell’acronimo I.C.E., “I” indica la concentrazione o la iniziale di ogni specie, “C” indica la variazione delle concentrazioni o delle pressioni di ogni specie quando il sistema raggiunge l’equilibrio, e “E” indica le concentrazioni o le pressioni delle specie all’equilibrio. Le concentrazioni delle specie all’equilibrio devono essere utilizzate nell’espressione della costante di equilibrio per calcolare le quantità incognite.

Passaggi per la costruzione di una I.C.E. chart:

1. Esprimere tutte le quantità iniziali in termini di molarità se si ha la Kc o in termini di pressione se si ha la Kp.

. Per determinare la direzione dell’equilibrio, utilizzare le quantità iniziali per determinare il quoziente di reazione, confrontandolo con il valore della costante di equilibrio Kc.

3. Considerare i della reazione di equilibrio per calcolare la variazione di ogni quantità.

4. Inserire le quantità all’equilibrio nell’espressione della costante di equilibrio.

Esercizio sull’equilibrio chimico gassoso:

Una miscela gassosa composta inizialmente da 3.00 moli di NH3, 2.00 moli di N2 e 5.00 moli di H2 e contenuta in un recipiente da 5.00 L viene riscaldata a 900 K fino al raggiungimento dell’equilibrio. Il valore di Kc per la reazione 2 NH3(g) ⇄ N2(g) + 3 H2(g) a 900 K è di 0.0076. Dopo aver espresso le quantità iniziali in termini di molarità e calcolato il quoziente di reazione, si verifica una reazione netta da destra verso sinistra. Calcolando le concentrazioni delle specie all’equilibrio si ottengono i seguenti valori: [NH3] = 1.03 M, [N2] = 0.184 M, e [H2] = 0.352 M.

Un secondo esercizio coinvolge un recipiente di 5.00 L in cui vengono messe 4.00 moli di HI. Dopo aver portato il sistema a 800 K fino al raggiungimento dell’equilibrio, il valore di Kc per la reazione 2 HI(g) ⇄ H2(g) + I2(g) è di 0.016. Le concentrazioni delle specie all’equilibrio risultano essere: [H2] = [I2] = 0.079 M e [HI] = 0.64 M.

Infine, considerando una miscela di H2 e CO2 aventi entrambi concentrazione 0.0150 M e portata a 700 K, si calcolano le concentrazioni delle specie all’equilibrio per la reazioneH2(g) + CO2(g) ⇄ H2O(g) + CO(g), per la quale Kc vale 0.106.

In conclusione, la costruzione di una I.C.E. chart si rivela uno strumento fondamentale per risolvere con successo gli esercizi sull’equilibrio chimico gassoso.Come calcolare le concentrazioni delle specie in equilibrio in una reazione chimica

Per calcolare le concentrazioni delle specie in equilibrio in una reazione chimica, è necessario considerare la costante di equilibrio, la temperatura e le concentrazioni iniziali dei reagenti. Prendiamo ad esempio l’equilibrio della reazione: CO2(g) + H2(g) ⇄ CO(g) + H2O(g) con Kc = 0.106. Inizialmente, la miscela contiene 0.570 M di H2 e 0.623 M di CO2 a 700 K. La reazione procede verso la formazione dei prodotti.

Dalla tabella delle concentrazioni iniziali e delle variazioni, sostituendo i valori nell’espressione di Kc, si ottiene un’equazione quadratica. Risolvendola, si ottiene che [H2O] e [CO] sono entrambi 0.00369 M, mentre [H2] e [CO2] sono entrambi 0.0113 M.

In un’altra reazione, 2(g) + O2(g) ⇄ 2 NO(g) con Kp = 2.0 x 10-31 a 298 K e concentrazioni iniziali di 0.78 atm di N2 e 0.21 atm di O2, la reazione procede verso la formazione dei prodotti.

Sostituendo i valori nell’espressione di Kp, si potrebbe risolvere un’equazione quadratica. Tuttavia, data la bassa costante di equilibrio, è possibile trascurare la variazione delle concentrazioni rispetto alle concentrazioni iniziali. Con questa approssimazione, la pressione parziale di NO all’equilibrio risulta essere 1.8 ∙ 10-16 atm.

Ecco come calcolare le concentrazioni delle specie in equilibrio in una reazione chimica, considerando le costanti di equilibrio, la temperatura e le concentrazioni iniziali dei reagenti.

Vetroceramica: preparazione, proprietà

Vetroceramica: origine, caratteristiche e usi

La vetroceramica è il risultato del surriscaldamento accidentale di una fornace utilizzata per produrre il . Questo nuovo materiale policristallino a grana fine è stato scoperto nel 1952 dall’inventore statunitense Stanley Donald Stookey, durante un’esperimento sui vetri, quando il termostato malfunzionante fece innalzare la temperatura oltre i 1000°C, generando una sottile polvere bianca che conferiva al materiale una resistenza insolita.

La vetroceramica è caratterizzata da proprietà comuni sia ai vetri che alle , in quanto possiede una fase amorfa e una o più fasi cristalline ottenute da una cristallizzazione controllata.

Il vetro e le ceramiche

Il vetro è un liquido ad alta , amorfo, rigido, trasparente ed omogeneo, ottenuto attraverso il lento raffreddamento di silicati fusi. Al contrario, le ceramiche sono materiali solidi inorganici non metallici, duttili allo stato naturale e rigidi dopo la fase di cottura. Presentano proprietà come durezza, resistenza, bassa conducibilità elettrica e resistenza alle alte temperature.

Preparazione della vetroceramica

La preparazione della vetroceramica inizia con tecniche convenzionali per la creazione del vetro. Quest’ultimo viene raffreddato e successivamente riscaldato a una temperatura di 750-1150 °C, avviando così una parziale cristallizzazione del materiale. La vetroceramica contiene almeno il 50% di struttura cristallina, arrivando in alcuni casi fino al 95%.

Durante il processo di cristallizzazione, vengono aggiunti agenti nucleanti alla composizione di base per facilitare e controllare la formazione dei cristalli.

Tipologie di vetroceramica

Le vetroceramiche sono classificate in diversi tipi in base alla composizione, ognuno con proprietà uniche e specifici utilizzi. Alcuni esempi includono LAS (LiO·Al2O3· SiO2) per la resistenza agli shock termici, MAS (MgO·Al2O3·n SiO2) per l’elevata resistenza meccanica ad alte temperature, e ZAS (ZnO·Al2O3·n SiO2) utilizzate nel settore meccanico.

Proprietà e utilizzi

Le vetroceramiche presentano elevate resistenza meccanica, resistenza al calore, assenza di porosità, bassissimo coefficiente di dilatazione termica, elevata tenacità e rigidezza. Sono utilizzate in svariati campi come edilizia, medicina, elettronica, ingegneria e arredamento.

Ad esempio, le corone in vetroceramica sono utilizzate per ricostruzioni dentarie ad alto livello estetico, mentre i piani di cottura in vetroceramica, sebbene più costosi da gestire rispetto a quelli a gas, eliminano i rischi associati a quest’ultimo rendendoli popolari in Europa settentrionale.

Infine, le vetroceramiche trasparenti trovano impiego nell’ottica, per la realizzazione di lenti per telescopi, celle solari, schermi per monitor e componenti ottici di precisione.

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