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Pigmenti organici: generalità, coloranti

Pigmenti Organici: Caratteristiche e Classificazione

I pigmenti organici di origine naturale sono stati utilizzati dall’umanità sin dall’antichità per decorare e colorare oggetti. Nel corso della storia, la ricerca di materiali coloranti ha portato all’estrazione di sostanze da frutti, fiori, insetti e cortecce. Il primo pigmento organico di sintesi, noto come malveina o violetto di Perkin, fu sviluppato da Perkin nel 1856.

Gruppi di Pigmenti

I pigmenti organici sono generalmente suddivisi in tre gruppi principali: pigmenti, sali insolubili e lacche. I pigmenti sono composti organici insolubili utilizzati direttamente dalla sintesi. I sali insolubili, noti anche come toner, provengono da coloranti acidi o basici solubili in , convertibili in prodotti insolubili mediante precipitazione. Le lacche sono ottenute per precipitazione del colorante organico solubile su un supporto inorganico.

Tipologie di Coloranti

I coloranti organici possono essere classificati in base al processo impiegato per la loro applicazione. Si distinguono coloranti a mordente, e . I coloranti a mordente si legano a una matrice tessile tramite l’aggiunta di un mordente, mentre i coloranti al tino vengono ridotti in forma solubile per essere successivamente ossidati a forma insolubile e colorata. I coloranti diretti contengono solubili in acqua con un’alta affinità rispetto alle fibre tessili.

Proprietà dei Pigmenti Organici

I pigmenti organici, rispetto a quelli inorganici, presentano colori più puri e brillanti, ma sono inferiori in termini di potere coprente, resistenza alla migrazione, al e alla luce. Tuttavia, la loro estrema versatilità cromatica dipende dalla struttura cristallina e conformazione granulometrica, nonché dalla natura chimica che può essere modificata sfruttando le possibilità di introduzione di gruppi sostituenti nelle strutture chimiche.

Conclusioni

Nonostante alcune limitazioni come la resistenza chimica e il sanguinamento, i pigmenti organici trovano impiego in vari settori per la capacità di creare effetti decorativi in una vasta gamma di colori. Spesso, vengono utilizzati in combinazione con pigmenti inorganici per sfruttare il potere coprente di questi ultimi insieme alle caratteristiche cromatiche dei pigmenti organici.

Marcamento isotopico: applicazioni, identificazione delle proteine

Marcamento isotopico nelle scienze chimiche

Il marcamento isotopico è una tecnica che consiste nella sostituzione di uno o più atomi di una molecola con i loro isotopi per tracciare il loro destino in una chimica. Questi isotopi possono essere individuati usando specifici metodi analitici, consentendo di seguire il percorso di un atomo marcato e ipotizzare il suo coinvolgimento nei prodotti di reazione. Nella chimica organica e biologica, vengono comunemente impiegati isotopi come il deuterio (2H), il trizio (3H), il -13 (13C), il carbonio-14 (14C), l’azoto-15 (15N) e l’ossigeno-18 (18O).

Per individuare la presenza di isotopi in una molecola vengono impiegati metodi come la spettrometria di massa, la spettrometria I.R., la e la camera di ionizzazione. Un esempio comune di applicazione del marcamento isotopico è rappresentato dalla reazione di tra un acido carbossilico e un alcol in ambiente acido. In un caso specifico, è stato marcato isotopicamente l’ossigeno dell’alcol per identificare quale ossigeno fosse presente nel prodotto di reazione, fornendo importanti indicazioni sul meccanismo reattivo.

Nel campo della proteomica, che si occupa dell’identificazione e caratterizzazione delle in termini di struttura, funzione e interazioni molecolari, vengono introdotti isotopi naturali a bassa abbondanza di carbonio, azoto, idrogeno e talvolta ossigeno in una proteina o peptide. Questa tecnica, nota come proteomica comparativa, consente di confrontare due campioni, uno marcato e l’altro non, per analizzarne le relative quantità di determinate proteine attraverso la spettrometria di massa.

Il marcamento isotopico si presenta come una potente metodologia per l’identificazione delle proteine e per comprendere i meccanismi reattivi nelle scienze chimiche, offrendo una visione dettagliata dei processi molecolari e biochimici.

Amminoacidi: equilibri acido-base, punto isoelettrico

Equilibri acido-base e punto isoelettrico degli amminoacidi

Gli amminoacidi sono composti organici che presentano proprietà anfotere, poiché contengono almeno un e almeno un basico nella loro struttura molecolare. In particolare, negli amminoacidi naturali, il gruppo amminico si trova in posizione α rispetto al carbossile, e alcuni di essi possiedono più gruppi acidi o basici, venendo definiti amminoacidi polifunzionali.

Allo stato solido, gli amminoacidi si presentano come sostanze cristalline e decompongono solo a temperature elevate. Essi risultano insolubili nei solventi non polari, ma altamente solubili in , dotati di momento dipolare e con elevate costanti dielettriche.

Le molecole di amminoacidi ionizzate interagiscono tra loro e con le molecole di acqua tramite forze di natura elettrostatica. In soluzione, gli amminoacidi possono dunque reagire sia con gli acidi che con le basi, in conformità alla loro natura anfotera.

Secondo la , un amminoacido può essere considerato come un acido debole biprotico, in cui competono due costanti di , Ka1 e Ka2. La Ka1 (la maggiore delle due) è relativa al carbossile, mentre la Ka2 è associata al gruppo acido NH3+. Entrambe le costanti dipendono dal pH della soluzione.

Il punto isoelettrico degli amminoacidi corrisponde al pH al quale la carica netta dell’amminoacido è uguale a zero, e in soluzione è presente solo lo ione dipolare +NH3-R-COO. In corrispondenza di questo punto, la soluzione avrà la minima conducibilità elettrica e la minima solubilità dell’amminoacido.

Inoltre, a valori più bassi di pH, la forma +NH3-R-COOH prevale, mentre a pH più alti, è la forma NH2-R-COO a essere predominante. L’insieme di questi equilibri può essere rappresentato come segue, con l’incremento del pH: +NH3-R-COOH ⇌ +NH3-R-COO (zwitterione) ⇌ NH2-R-COO.

In conclusione, il punto isoelettrico rappresenta una fase in cui la solubilizzazione delle particelle di amminoacido è ostacolata a causa della formazione di aggregati molecolari legati tra loro tramite cariche di segno opposto, riducendo la solvatazione da parte delle molecole d’acqua.

Acidi carbossilici: nomenclatura e proprietà, acidità

Acidi carbossilici: nomenclatura e proprietà

Gli acidi carbossilici sono composti organici con la formula generale RCOOH, in cui R può essere un gruppo alchile, arile o alchenile. Ne esistono diversi tipi, tra cui gli acidi bicarbossilici, che presentano due gruppi carbossilici –COOH nella molecola. La nomenclatura degli acidi carbossilici può essere fatta in modo sistematico secondo le norme I.U.P.A.C. oppure in modo comune.

Nomenclatura degli acidi carbossilici

La nomenclatura sistematica segue le I.U.P.A.C. e stabilisce che il nome dell’acido carbossilico si ottiene dal nome dell’idrocarburo corrispondente alla più lunga catena di atomi di contenente il carbossile. In caso di acidi monocarbossilici, si sostituisce il suffisso –ano o –ene con –oico; mentre per gli acidi bicarbossilici, il suffisso diventa –dioico. La posizione degli altri sostituenti presenti nella catena è indicata numerando la catena di atomi di carbonio del carbossile con il numero 1.

La nomenclatura comune, invece, si basa su nomi di acidi carbossilici di uso corrente, fornendo un elenco comparativo di nomi sistematici e comuni di acidi mono e dicarbossilici.

Ad esempio:

– HCOOH: Acido metanoico (comunemente noto come )
– CH3COOH: Acido etanoico (comunemente noto come )
– CH3CH2COOH: Acido propanoico (comunemente noto come acido propionico)
E così via per gli altri acidi carbossilici.

Proprietà degli acidi carbossilici

Gli acidi carbossilici presentano proprietà acide a causa del gruppo carbossilico –COOH. Questo gruppo funzionale è acido e dona al composto una serie di proprietà tipiche degli acidi come la capacità di reagire con le basi formando sali e acqua, nonché di reagire con gli alcoli formando esteri. Inoltre, possono mostrare comportamento di reazioni di acidità e basicità in quanto il gruppo di ossidrile presente nell’acido può reagire con altre molecole.

Inoltre, gli acidi carbossilici saturi e insaturi presentano diverse proprietà anche in termini di solubilità in solventi non polari o polari e del punto di ebollizione.

Conclusioni

Gli acidi carbossilici sono composti organici importanti con una vasta gamma di applicazioni nelle scienze chimiche e nella vita reale. La loro nomenclatura segue regole specifiche che permettono di identificarli univocamente, mentre le loro proprietà acide li rendono oggetto di continue ricerche e applicazioni innovative per le industrie chimiche e farmaceutiche.Nomenclatura degli acidi carbossilici

Quando si tratta di nominare gli acidi carbossilici, specialmente quelli legati a un ciclo (compresi gli eterocicli), si preferisce utilizzare la nomenclatura sostitutiva funzionale. Invece di sostituire il suffisso –ene con –oico, sarebbe più corretto adottare una nomenclatura di tipo sostitutivo-funzionale.

Ad esempio, la formula dell’acido mostrata nell’immagine può essere chiamata acido ,4,6-trimetilbenzencarbossilico in nomenclatura sostitutiva-funzionale, acido mesitoico nel nome comune e acido 2,4,6-trimetilbenzoico secondo la denominazione IUPAC.

Proprietà fisiche degli acidi carbossilici

La polarizzazione del legame carbossilico conferisce agli acidi carbossilici un punto di ebollizione più alto rispetto agli alcoli con un peso molecolare simile, a causa della maggiore forza dei legami a idrogeno intermolecolari. Questi acidi sono presenti in forma dimerica anche in fase vapore. La capacità di formare legami a idrogeno intramolecolari rende gli acidi carbossilici solubili in solventi polari come acqua e alcoli. Tuttavia, con l’incremento del peso molecolare, la solubilità in acqua diminuisce a causa del carattere idrofobo del gruppo R.

Struttura del carbossile e acidità

Studi di diffrazione elettronica e neutronica hanno dimostrato che il gruppo carbossilico è planare; i tre orbitali ibridi sp2 del carbonio formano, mediante sovrapposizione con gli orbitali dell’ossigeno e un orbitale sp3 del carbonio in α, i tre legami che costituiscono lo scheletro del carbossile.

In soluzione acquosa, gli acidi carbossilici presentano una reazione acida poiché il carbossile è un donatore di protoni migliore dell’acqua, come rappresentato nell’equazione chimica:

R-COOH + H2O ⇌ R-COO- (ione carbossilato) + H3O+

L’ione carbossilato può essere rappresentato come un ibrido di risonanza di due strutture di uguale contenuto energetico.

Acidità degli acidi carbossilici

L’acidità degli acidi carbossilici dipende dalla stabilità dei corrispondenti anioni carbossilati. La presenza di sostituenti nella molecola di un acido carbossilico influenza l’acidità, in relazione al contributo che tali sostituenti forniscono alla stabilizzazione dell’ione carbossilato. Ad esempio, i sostituenti elettronattrattori aumentano l’acidità poiché delocalizzano la carica negativa, stabilizzando l’ione carbossilato. Al contrario, i sostituenti elettrondonatori diminuiscono l’acidità poiché intensificano la carica negativa, destabilizzando l’ione carbossilato.

L’acidità diminuisce con l’aumento dei gruppi alchilici in α, mentre aumenta se sono presenti alogeni in α. Inoltre, l’acidità degli acidi carbossilici è influenzata, in misura sempre minore, dall’effetto induttivo che diminuisce con l’aumentare della distanza dei sostituenti elettronattrattori dal carbossile.

Negli acidi carbossilici aromatici, l’acidità è influenzata dagli effetti induttivi e di risonanza dei sostituenti sull’anello. Mentre i sostituenti elettrondonatori impediscono la delocalizzazione sull’anello della carica negativa dell’anione carbossilato, i sostituenti elettronattrattori aumentano l’acidità, delocalizzando la carica negativa e stabilizzando l’anione carbossilato.

Elettrolisi di Kolbe: reazioni, applicazioni

Elettrolisi di Kolbe: Reazioni e Applicazioni

L’elettrolisi di Kolbe rappresenta un processo di ossidoriduzione organica che si verifica all’interno di una cella elettrochimica. Questo metodo offre diversi benefici, inclusa la capacità di controllare il potenziale elettrodico senza la necessità di agenti o riducenti esterni.

Hermann Kolbe, chimico tedesco, nel 1849 durante le sue ricerche sull’elettrolisi dell’acetato di potassio, ha identificato una che porta il suo nome. La reazione coinvolge la decarbossilazione ossidativa di sali derivanti da acidi carbossilici, generando alcani. Questo processo, noto anche come dimerizzazione decarbossilativa, avviene attraverso un meccanismo radicalico.

L’elettrolisi di Kolbe trova impiego nella sintesi di dimeri simmetrici e asimmetrici a seconda della composizione di acidi carbossilici utilizzati come reagenti. Durante l’elettrolisi, il aumenta a causa della formazione di NaOH.

Le reazioni che avvengono all’anodo e al catodo durante l’elettrolisi di Kolbe, consentono di ottenere alcali e idrogeno come prodotti collaterali. La reazione complessiva dell’etanoato di potassio porta alla formazione di , biossido di , idrogeno e idrossido di potassio.

Questa reazione offre applicazioni pratiche nella sintesi di etano e alcani con un numero superiore di atomi di carbonio rispetto al metano. Tuttavia, è importante notare che il metano non può essere prodotto tramite l’elettrolisi di Kolbe a causa della sua composizione monoatomica. Inoltre, se un acido carbossilico contiene “n” atomi di carbonio, l’alcano risultante dall’elettrolisi di Kolbe conterrà 2(n-1) atomi di carbonio.

In sintesi, l’elettrolisi di Kolbe offre un metodo efficace per la produzione di alcani e rappresenta un’importante reazione nell’ambito della chimica organica.

Reazioni di doppio scambio: precipitazione, neutralizzazione, con sviluppo di gas

Reazioni di doppio scambio: precipitazione, neutralizzazione e sviluppo di gas

Le reazioni di doppio scambio avvengono tra due composti, producendo due nuovi composti in cui i cationi si scambiano. Possono essere rappresentate come: AB + CD → AD + CB.

Queste reazioni possono essere classificate in tre categorie principali:
1)

Reazioni di precipitazione


2)


3)

Si noti che le reazioni di doppio scambio non sono reazioni di ossidoriduzione poiché non comportano variazioni del numero di ossidazione.

Le reazioni di precipitazione avvengono in soluzione acquosa quando almeno uno dei sali formati non è solubile in , formando un precipitato. È importante notare che la reagente NaCl + KNO3 non rappresenta una di precipitazione in quanto entrambi i sali sono solubili nell’acqua.

Per determinare se avviene una precipitazione, è necessario verificare la solubilità dei sali coinvolte, generalmente consultando una tabella dei prodotti di solubilità. Ad esempio, la reazione tra NaCl e AgNO3 produce un precipitato di nitrate di argento poiché il è poco solubile in acqua. Questa reazione può essere rappresentata come: NaCl(aq) + AgNO3(aq) → AgCl(s) + NaNO3(aq).

Un’altra tipica reazione di doppio scambio è la formazione di solfato di bario quando il cloruro di bario e il solfato di sodio reagiscono insieme in soluzione acquosa. Questa reazione può essere rappresentata come: BaCl2(aq) + Na2SO4(aq) → BaSO4(s) + 2 NaCl(aq).

Le reazioni di doppio scambio possono anche produrre gas insolubili in acqua. Ad esempio, la reazione tra ZnS e HCl produce solfuro di idrogeno che si allontana dalla soluzione. Allo stesso modo, la reazione tra CaCO3 e 2 HCl produce dell’acido carbonico instabile, che si decomporrà in biossido di carbonio e acqua.

Le reazioni di neutralizzazione sono un tipo particolare di reazioni di doppio scambio e avvengono tra quantità stechiometriche di acido e base, producendo acqua e ioni. Ad esempio, la reazione tra acido cloridrico e idrossido di sodio può essere rappresentata come HCl(aq) + NaOH(aq) → NaCl(aq) + H2O(l).

In sintesi, le reazioni di doppio scambio possono generare precipitati, gas o acqua come prodotti.

Reazione di Balz-Schiemann: prodotti di reazione, meccanismo

La Reazione di Balz-Schiemann: meccanismo e prodotti di reazione

La reazione di Balz-Schiemann consente di ottenere il fluorobenzene o un suo derivato a partire dall’anilina o un’ammina aromatica primaria. Questa reazione prende il nome dai chimici tedeschi Günther Schiemann e Günther Balz che la scoprirono nel 1927.

Il primo stadio della reazione comporta la , che è una reazione tra un substrato aromatico con un gruppo amminico primario e un reagente che può liberare un catione nitrosile, come ad esempio l’ o il . Successivamente, si aggiunge l’acido tetrafluoroborico per ottenere un sale di diazonio, dal quale tramite termica si ottiene il fluorobenzene.

Meccanismo della reazione di Balz-Schiemann

Nel primo stadio della reazione, l’ione nitrosile viene generato in situ aggiungendo il nitrito di sodio a una soluzione acida. L’attacco dell’azoto amminico all’ione nitrosile porta alla formazione di un sale di diazonio. L’ossigeno viene protonato poiché l’ambiente è acido. Questo intermedio è stabilizzato per risonanza e successivamente avviene la deprotonazione, la tautomerizzazione e infine la , ottenendo un sale di diazonio. La decomposizione termica di questo sale porta alla formazione di fluorobenzene.

Le molecole fluorurate sono ampiamente utilizzate nel settore farmaceutico, nell’industria agrochimica e come traccianti nel campo della PET.

Metalli pesanti nelle acque: mercurio, cadmio, arsenico, cromo, tallio, piombo

nelle Acque: Impatto e Effetti sulla Salute

I metalli pesanti, come mercurio, , , , tallio e piombo, sono elementi chimici metallici con densità maggiore di 5.0 g/cm3, che possono essere presenti nelle acque in concentrazioni tossiche. Questi possono penetrare nel corpo umano attraverso il cibo, l’ e l’aria. L’accumulo e l’esposizione continuata a questi metalli pesanti possono causare seri danni alla salute.

I metalli pesanti costituiscono una parte minima della crosta terrestre, ma a causa dell’attività industriale e agricola, sono stati prodotti e rilasciati nell’ambiente in quantità anormalmente elevate. Questo ha aumentato l’esposizione umana a tali elementi, con conseguenze dannose per la salute.

La presenza di metalli pesanti nelle acque è una preoccupazione significativa poiché questi elementi possono accumularsi negli organismi viventi, con effetti dannosi a lungo termine. Per esempio, il mercurio è assorbito dal plancton marino e risale nella catena alimentare, influenzando la qualità e la sicurezza dei prodotti ittici.

I metalli pesanti, come il cadmio, il cromo, il piombo e il mercurio, una volta assorbiti, possono causare danni agli organi interni, danni al sistema nervoso, gravi disfunzioni e persino il cancro. Questi effetti negativi sono particolarmente evidenti in gruppi vulnerabili come le donne in gravidanza e i bambini.

Per affrontare questa problematica, i governi e le organizzazioni ambientali hanno stabilito linee guida e normative, come ad esempio il Maximum Contaminant Level (MCL) dell’Environmental Protection Agency (EPA) per determinare le concentrazioni massime consentite di metalli pesanti nelle acque.

Tuttavia, la consapevolezza e l’educazione sulle fonti di esposizione ai metalli pesanti rimangono cruciali per proteggere la salute pubblica. In particolare, il consumo consapevole di prodotti ittici e l’evitare l’ingestione eccessiva di alimenti a rischio, come il tonno in scatola, possono contribuire a ridurre l’esposizione a questi elementi dannosi.

In conclusione, la presenza di metalli pesanti nelle acque costituisce una seria minaccia per la salute umana e l’ambiente. La consapevolezza, l’educazione e le misure di controllo e regolamentazione sono cruciali per ridurre l’esposizione e mitigare gli effetti dannosi di questi elementi tossici.

Clorofilla: struttura, funzioni

La Clorofilla: struttura e funzioni

La clorofilla è un composto chelante che si trova nei grana dei cloroplasti delle cellule vegetali e in tutti gli organismi che compiono la fotosintesi. Venne isolata per la prima volta nel 1817 dai chimici francesi Joseph Bienaimé Caventou e Pierre Joseph Pelletier, nel corso dei loro studi sugli alcaloidi. Si pensava inizialmente che la clorofilla fosse un singolo composto, ma solo nel 1912 il chimico tedesco Richard Martin Willstätter dimostrò che la clorofilla è costituita da una miscela di due composti denominati clorofilla a e clorofilla b.

La clorofilla è composta da una porfirina che presenta quattro atomi di azoto legati a un ione metallico centrale di magnesio. La clorofilla ha un ruolo fondamentale nella fotosintesi, processo attraverso il quale a partire dall’anidride carbonica presente nell’atmosfera e dall’ metabolica si ottengono sostanze organiche come il glucosio, fondamentale per la vita delle piante. La di fotosintesi produce anche ossigeno molecolare, essenziale per la respirazione e per il mantenimento della vita sulla Terra.

Durante la fotosintesi, la clorofilla assorbe l’ dalla luce solare. L’energia chimica immagazzinata dalla fotosintesi in permette lo svolgimento di reazioni biochimiche negli organismi degli esseri viventi. La clorofilla assorbe la radiazione blu e quella rossa, riflettendo le radiazioni che hanno una compresa tra 500 e 600 nm, corrispondenti al colore verde. A causa della sua intensa colorazione verde, la clorofilla è utilizzata come colorante in saponi, oli, cere e nel settore dolciario.

Inoltre, la clorofilla svolge un ruolo cruciale nel trasferimento di elettroni durante la fotosintesi. Quando assorbe l’energia luminosa, un elettrone della clorofilla viene eccitato a un livello energetico superiore. Questo elettrone viene quindi trasferito a un’altra molecola, innescando una catena di trasferimenti di elettroni che culmina con il trasferimento di un elettrone all’anidride carbonica. La clorofilla che ha perso un elettrone può accettarlo da un’altra molecola, completando così il processo.

In conclusione, la clorofilla è un elemento fondamentale per la vita delle piante e per l’ecosistema nel suo complesso, svolgendo un ruolo cruciale nella fotosintesi e nella produzione di ossigeno.

Reazione di Reimer- Tiemann- orto-formilazione del fenolo, meccanismo

di Reimer-Tiemann: Meccanismo per l’orto-formilazione del

La reazione di Reimer-Tiemann è un processo impiegato per la formilazione orto del fenolo, che porta alla produzione di aldeide salicilica, conosciuta anche come 2-idrossibenzaldeide. Questa reazione rappresenta un metodo per ottenere idrossialdeidi aromatiche a partire dal fenolo. Essa avviene in presenza di (CHCl3) e NaOH.

Il meccanismo della reazione:

La reazione inizia con la deprotonazione del cloroformio, operata dalla base, con la formazione di un elettrofilo carbocationico:
CHCl3 + OH- → -CCl3 + H2O

Successivamente, il carbanione sviluppa un’eα-eliminazione dando origine al (:CCl2), un elettrofilo molto forte. L’idrossido deprotona anche il fenolo, formando l’anione fenossido:
C6H5OH + OH- → C6H5O- + H2O
L’anione fenossido è stabilizzato per e la carica negativa compare sull’ossigeno e nella posizione orto e para dell’anello benzenico.

Il diclorocarbene viene attaccato dall’anione fenossido, producendo un fenolo diclorometil sostituito. L’idrolisi basica di questo intermedio porta all’orto-idrossibenzaldeide e, in misura minore, alla para-idrossibenzaldeide.

La reazione avviene in un reattore batch, in modo discontinuo, alla temperatura di 50-60°C. Si ottengono due isomeri, l’orto e il para, in proporzioni variabili in base alla concentrazione dell’idrossido, al tipo di idrossido usato e al solvente. Data la bassa conversione tra reagenti e prodotti, il fenolo non reagito può essere raccolto e riciclato. Il prodotto della reazione viene impiegato nell’industria cosmetica e farmaceutica.

Molecolarità di una reazione: meccanismo di reazione, esempi

La Molecolarità di una : Definizione, Meccanismo e Esempi

La molecolarità di una reazione chimica rappresenta il numero di entità molecolari coinvolte in una reazione elementare, o, in altre parole, il numero di entità presenti nel complesso attivato. Durante lo studio cinetico di una reazione chimica, è essenziale determinare l’ordine della reazione, la quale non può essere dedotta dalla stechiometria della reazione stessa ma deve essere determinata sperimentalmente attraverso la variazione della concentrazione dei reagenti nel .

Il meccanismo di una reazione rappresenta la successione dei processi attraverso i quali si articola la reazione stessa, portando alla formazione dei prodotti. Spesso una reazione procede attraverso una serie di stadi, come nel caso dell’alchilazione del benzene, che avviene attraverso una sequenza di stadi. Nonostante i prodotti intermedi non siano direttamente rivelabili, la loro esistenza viene supposta in base alla legge cinetica dedotta sperimentalmente.

La molecolarità di una reazione elementare è definita come il numero minimo di molecole, atomi, ioni o radicali presenti nei reagenti che prendono parte alla stessa. In generale, la molecolarità di una reazione semplice è data dalla somma del numero di molecole reagenti coinvolte nell’equazione bilanciata, mentre nel caso di una reazione a stadi, la molecolarità si riferisce ad ogni singolo stadio.

Alcuni esempi di reazioni illustrano la molecolarità: la del di rappresenta una reazione unimolecolare, l’ossidazione del monossido di azoto ad opera dell’ozono rappresenta una reazione bimolecolare, mentre la formazione di biossido di azoto a partire da azoto e ossigeno rappresenta una reazione trimolecolare. In realtà, anche in caso di reazioni con una molecolarità apparentemente superiore a 3, queste avvengono in più stadi, ognuno con una molecolarità massima di 3.

In conclusione, la molecolarità di una reazione non può mai essere uguale a zero, essere un numero frazionario o pari a infinito, e svolge un ruolo essenziale nello studio e nella comprensione delle reazioni chimiche.

pH di una soluzione di NaHCO3: calcolo della costante di equilibrio, esercizi

Il calcolo del di una soluzione di NaHCO3 può essere ottenuto considerando gli equilibri e calcolando le relative costanti. Il si dissocia in Na+ e HCO3- e pertanto si devono considerare gli equilibri a cui va incontro lo ione idrogeno carbonato.

Lo ione HCO3- partecipa a due equilibri: Nel primo equilibrio lo ione si comporta da acido: HCO3- + H2O ⇌ CO32- + H3O+ e la costante relativa a tale equilibrio è pari alla Ka2. Mentre nel secondo equilibrio, lo ione si comporta da base: HCO3- + H2O ⇌ H2CO3+ OH-. La costante relativa a questo equilibrio vale K = [H2CO3][ OH-]/[ HCO3-].

Moltiplicando numeratore e denominatore per [H3O+] si ha: K = [H2CO3][ OH-] [H3O+] /[ HCO3-][H3O+]. Essendo [ OH-] [H3O+] = Kw, si ha K = [H2CO3]Kw /[ HCO3-][H3O+].

Ricordando Ka1 relativa alla prima dissociazione dell’: H2CO3 + H2O ⇌ HCO3- + H3O+, è data dall’espressione Ka1 = [HCO3-][ H3O+]/[ H2CO3].

La costante K viene indicata con Kb2, pertanto Kb2 = Kw/Ka1.

Calcolo delle costanti di equilibrio: In definitiva gli equilibri e le relative costanti sono: HCO3- + H2O ⇌ CO32- + H3O+ (1) e HCO3- + H2O ⇌ H2CO3+ OH- ().

Per avere un’indicazione se una soluzione di NaHCO3 è acida o basica si valutano numericamente e se, come avviene in questo caso, Kb2 è maggiore di Ka2, la soluzione è basica. È quindi il valore relativo delle due costanti di dissociazione dell’acido debole H2CO3 il fattore che determina il pH della soluzione.

Sommiamo l’equilibrio (1) e l’equilibrio (2): 2 HCO3- ⇌ CO32- + H2CO3. La costante relativa a questo equilibrio è data da: K = [CO32-][ H2CO3] /[ HCO3-]2. Moltiplichiamo numeratore e denominatore per [H3O+] e raggruppando abbiamo: K = {[CO32-][H3O+] /[ HCO3-] } { [ H2CO3][H3O+] / [HCO3-]} = Ka2/Ka1 = 5.61 ∙ 10-11/4.30 ∙ 10-7 = 1.30 ∙ 10-4.

Calcolare il pH di una soluzione di NaHCO3 avendo concentrazione 0.100 M è possibile tramite l’uso della e l’espressione della costante K. Con i calcoli si otterrà un pH di 8.31.

In conclusione, calcolare il pH di una soluzione di NaHCO3 richiede la valutazione degli equilibri e il calcolo delle costanti, il cui rapporto determina se la soluzione è acida o basica. Mediante calcoli e l’impiego delle costanti, è possibile trovare il pH di una specifica soluzione di NaHCO3.

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