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Superossidi: ione superossido

Superossidi: la Chimica dell’Ione Superossido

I superossidi, formati dall’anione O2, sono il risultato della dell’ossigeno molecolare. La configurazione elettronica dell’ossigeno e i dodici elettroni di valenza presenti nella molecola O2 trovano collocazione negli orbitali molecolari σ2s, σ2s*, σ2p, π2p, π2p e π2p*.

L’ione superossido O2 differisce dalla molecola O2 per la presenza di un elettrone in più, che si colloca in uno degli orbitali degeneri π di antilegame, provocando un indebolimento del legame e conferendo proprietà paramagnetiche. Con carica netta negativa -1 e un solo elettrone spaiato, l’ione O2 mostra il fenomeno del paramagnetismo, e il di ciascun ossigeno presente nello ione è – ½.

Ruolo dei Metalli Alcalini

I metalli alcalini come potassio, rubidio e cesio possono formare solidi cristallini di colore giallo all’arancione con la formula KO2, RbO2 e CsO2 a pressioni prossime a quella atmosferica. Il superossido di sodio, invece, può essere ottenuto dalla reazione del perossido di sodio Na2O2 con O2 a 500 °C e alla pressione di 300 atm.

La dissoluzione in dei superossidi alcalini porta alla formazione dell’ione O2, che subisce una reazione di disproporzione sensibile al pH. I superossidi di metalli alcalini allo stato solido possono decomporsi secondo reazioni endotermiche e essere utilizzati come fonte di ossigeno. Inoltre, essi cristallizzano con la struttura di CaC2 distorta, e si trovano anche in piccole quantità come soluzioni solide nei perossidi di , e cadmio.

Proprietà Ossidanti e Reattività

I superossidi sono agenti ossidanti molto energici e reagiscono vigorosamente con l’acqua, generando HO2 e OH. La reazione dei superossidi, in particolare quello di potassio, con CO2 ha un’importanza tecnica nella rimozione di CO2 e nella rigenerazione di ossigeno.

In conclusione, i superossidi, con le loro caratteristiche proprietà e reattività, rappresentano un interessante oggetto di studio per la chimica e trovano diverse applicazioni pratiche nell’industria e nella ricerca scientifica.

Elementi del blocco 5f: attinio e attinidi

Gli attinidi sono elementi del blocco 5f che vanno dal numero atomico 90 al 103 e si caratterizzano per il riempimento del sottolivello 5f. La serie naturale si interrompe all’ (elemento 92), mentre quelli successivi vengono ottenuti artificialmente. Dall’elemento con numero atomico 84, il polonio, solo il torio e l’uranio hanno un tempo di dimezzamento sufficiente a essere presenti in quantità rilevanti in natura. Gli altri sono generati continuamente come parte delle trasformazioni radioattive delle famiglie dell’uranio e del torio.

I comportamenti chimici degli attinidi mostrano alcune differenze con i , essendo capaci di presentare un maggior numero di stati di ossidazione. Questo favorisce la stabilizzazione dei legami covalenti e la formazione di complessi. Tale fenomeno è legato all’ degli orbitali 5f, che è paragonabile a quella degli orbitali 6d, 7s e 7p in un intervallo approssimativo di numeri atomici compreso tra 89 e 95, dall’attinio all’americio.

Come i lantanidi, gli attinidi mostrano il fenomeno della contrazione dei raggi atomici e ionici al crescere del numero atomico. Inoltre, presentano una varietà di stati di ossidazione: l’attinio e il protattinio conosciuti nella letteratura solo per lo stato di ossidazione +3, mentre il torio e l’uranio mostrano stabilmente gli stati di ossidazione +4 e +6. Gli elementi uranio, nettunio, e americio possono presentare stati di ossidazione da III a VI, ma oltre lo stato di ossidazione +6, la formazione di cationi diventa impossibile.

Le proprietà chimico-fisiche degli attinidi sono riassunte nella tabella qui sotto.
Nome | Simbolo | Numero atomico | Peso atomico | Configurazione elettronica | Forma cristallina | Raggio metallico (Å) | Punto di fusione (°C) | Punto di ebollizione (°C)
Attinio (Ac) | 89 | 227 | [Rn] 6d1, 7s2 | cfc* | 1.87 | 1050 | ~3200
Torio (Th) | 90 | 232.04 | [Rn] 6d2, 7s2 | cfc* | 1.79 | ~1700 | ~4000
Protoattinio (Pa) | 91 | 231 | [Rn] 5 f2, 6d1, 7s2 | Tetragonale | 1.60 | 1550 | –
Uranio (U) | 92 | 238.04 | [Rn] 5f3 6d1, 7s2 | Ortorombico | 1.38 | 1132 | 3818
Nettunio (Np) | 93 | 237 | [Rn] 5 f4 6d1, 7s2 | Ortorombico | 1.31 | 640 | ~3700
Plutonio (Pu) | 94 | 242 | [Rn] 5f6, 7s2 | Monoclino | 1.51 | 639 | ~3100
Americio (Am) | 95 | 243 | [Rn] 5f7, 7s2 | ec* | – | ~1150 | ~3100

La classificazione e le proprietà degli attinidi: una panoramica sui metalli del gruppo actinide

Gli attinidi, appartenenti al settimo periodo della tavola periodica degli elementi, costituiscono il gruppo dei quattordici elementi metallici pesanti. Questi includono una gamma di metalli da transuranio e sono solidi a temperatura ambiente, con densità tra 11,7 e 20,45 g/cm³. Oliver Sacks, scrittore e neurologo britannico, noto ai più per il suo libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” avrebbe avuto molto da dire su tali elementi.

Attinio

L’attinio, con un isotopo stabile di ^227Ac, ha un tempo di dimezzamento di 21,7 anni e si ossida rapidamente all’aria. Mostra una particolare reattività, formando esclusivamente composti con ione Ac^3+, simili a quelli del lantanio.

Torio

Il torio, estratto principalmente dalla monazite, ha un nucleo instabile con un tempo di dimezzamento di 1.39 x 10^10 anni e decade con emissione α. Notoriamente simile ai lantanidi per reattività, il torio ha un unico stato di ossidazione stabile, il IV, tendendo a perdere tutti gli elettroni oltre la configurazione del gas nobile. Il torio si combina direttamente con quasi tutti gli elementi e forma diversi composti, tra cui uno degli idruri ThH2, il solfuro ThS2, il nitruro ThN e il biossido ThO2.

Protoattinio

Il protoattinio, presente in minime quantità nella pechblenda, ha un isotopo con un tempo di dimezzamento di 3.28 × 10^5 anni e decadimento α. Nei suoi composti, il protoattinio può esibire diversi stati di ossidazione, tra cui III, I e V, con quest’ultimo come il più stabile. Fra i suoi composti più noti ci sono Pa2O5, PaO2, PaF5 e PaCl5.

Uranio

L’uranio, con numero atomico 92 e peso atomico 238,07, è noto per la sua alta densità, di circa 19 g/cm³. E’ solidamente inserito nella categoria dei metalli pirotecnici. Esiste in tre forme allotropiche: alfa, beta e gamma. La fase gamma, cubica a corpo centrato, è stabile a temperature elevate e fonde a 1133 °C.

La conoscenza delle caratteristiche e delle proprietà degli attinidi è di fondamentale importanza in vari campi scientifici e tecnologici, come , ingegneria dei materiali e nucleare, oltre a essere di grande interesse storico e culturale.

Dissoluzione: interazioni

Processo di Dissoluzione: Interazioni Molecolari

La dissoluzione di una sostanza in un solvente liquido è un processo complesso che coinvolge varie interazioni molecolari. Tipicamente, il fenomeno di dissoluzione può essere suddiviso in due processi distinti e consecutivi. Inizialmente, le molecole della sostanza pura sono portate nella fase gassosa (sotto di sublimazione se la sostanza è solida o se liquida). Successivamente, avviene il trasferimento dalla fase gassosa alla fase di soluzione.

Nel primo processo di transizione, l’ assorbita è pari a quella che mantiene insieme la sostanza pura, mentre nel secondo processo, definito solvatazione, sono coinvolte sia l’interazione delle molecole di A con quelle del solvente, con conseguente rilascio di energia, sia l’eventuale riarrangiamento del solvente. Quest’ultimo processo è particolarmente significativo nei casi di solventi strutturati come l’acqua e può comportare l’assorbimento di energia.

La spontaneità della dissoluzione di una sostanza dipende dal bilancio energetico dei due processi sopracitati: la sostanza è solubile se l’energia sviluppata nel secondo processo è maggiore di quella assorbita nel primo.

Equilibrio di Dissoluzione e Coefficiente di Attività

L’equilibrio di dissoluzione di una sostanza A in un solvente è regolato da una costante K, relativa all’attività del soluto disperso nella soluzione satura. Questa grandezza è correlata alla concentrazione molare e al coefficiente di attività γ.

Nella maggior parte dei casi, la costante K è uguale alla solubilità molare in situazioni di soluzioni diluite, dove γ approssima l’unità. In questa situazione, la solubilità riflette esattamente la tendenza del soluto a disciogliersi nel solvente. La variazione dell’ associata alla dissoluzione della sostanza A è espressa da un’equazione che evidenzia la relazione tra l’energia sviluppata e l’attività del soluto disciolto.

Interazioni Molecolari nella Dissoluzione

Le interazioni tra soluto e solvente possono essere suddivise in diverse categorie:

– Interazioni tra molecole polari: si verificano quando molecole con diversa elettronegatività presentano un momento elettrico dipolare.

– Polarizzazione indotta: si verifica quando una molecola apolare viene avvicinata a una molecola dipolare, assumendo temporaneamente un carattere dipolare.

– Interazione per dispersione: coinvolge e si basa sulla formazione di dipoli istantanei e sulla conseguente polarizzazione delle molecole circostanti.

– Formazione di legame a idrogeno: si verifica nelle sostanze in cui un atomo di idrogeno è legato a un atomo molto elettronegativo come fluoro, ossigeno e azoto.

– Interazione acido-base di Lewis: coinvolge la compartecipazione di coppie di elettroni solitari e la presenza di orbitali vuoti.

Queste interazioni contribuiscono alla solubilizzazione di diverse sostanze in solventi di vario tipo, fornendo un quadro completo delle dinamiche legate alla dissoluzione molecolare.

Equazione di Clausius-Clapeyron. Esercizi svolti

L’importanza dell’equazione di Clausius-Clapeyron nella termodinamica La legge di variazione di e pressione affinché un sistema bifasico ad un componente rimanga in equilibrio termodinamico è espressa attraverso l’equazione di Clausius-Clapeyron. Questa equazione può essere utilizzata per calcolare la pressione del vapore P2 di una sostanza ad una data temperatura T2, noti la P1 ad un’altra temperatura T1 e noto il ΔH del relativo passaggio di stato liquido-vapore o solido-vapore.

In , l’equazione di Clausius-Clapeyron è espressa come: ln P2/P1=ΔH/R(1/T1–1/T2), dove ΔH rappresenta l’, T la temperatura in Kelvin e R è una costante pari a 8.31 J mol^-1K^-1. Non vi è alcuna preclusione per l’unità di misura di P; l’unico vincolo è che P1 e P2 abbiano la stessa unità di misura.

Esercizio 1: Calcolo del calore di vaporizzazione di un liquido

Ad esempio, consideriamo un liquido con una pressione di vapore di 6.91 mm Hg a 0°C e una temperatura di ebollizione di 105°C. Sostituendo i valori noti nell’equazione di Clausius-Clapeyron, otteniamo ΔH = 38.3 kJ/mol. Questo calcolo fornisce un metodo efficace per determinare il calore di vaporizzazione di un liquido.

Esercizio : Calcolo della pressione di vapore di un composto

Un altro esempio implica il calcolo della pressione di vapore dell’esano a 25.00 °C, conoscendo l’entalpia molare di vaporizzazione dell’esano (-28.9 kJ/mol) e la temperatura di ebollizione (68.73 °C). Applicando l’equazione di Clausius-Clapeyron si ottiene la pressione di vapore dell’esano a 25.00 °C, pari a 171 mm Hg.

Esercizio 3: Calcolo della temperatura di ebollizione di un composto a una data pressione

La temperatura di ebollizione dell’argon può essere calcolata conoscendo la sua pressione di vapore a 1.5 atm, la temperatura di ebollizione e il calore latente di vaporizzazione. Utilizzando l’equazione di Clausius-Clapeyron, è possibile determinare la temperatura di ebollizione dell’argon a 1.5 atm, che risulta essere 109 K.

Esercizio 4: Variazione di pressione di vapore in funzione della temperatura

Infine, consideriamo un esempio che coinvolge la variazione di pressione di vapore del mercurio a diverse temperature. Sapendo che ad una temperatura di 25.0 °C la pressione di vapore del mercurio deve triplicarsi, possiamo calcolare di quanti gradi è necessario aumentare la temperatura tramite l’espressione di Clausius-Clapeyron, che restituisce un risultato di 312 K, corrispondenti a 39 °C.

Questi esempi dimostrano l’utilità e la versatilità dell’equazione di Clausius-Clapeyron nel calcolo di proprietà termodinamiche dei composti.

Reazioni di disproporzione o dismutazione

Reazioni di disproporzione e : un’analisi dettagliata

Le reazioni di disproporzione rappresentano un tipo particolare di reazione redox in cui un elemento presente nei reagenti si ossida parzialmente e si riduce parzialmente. La presenza di diversi gradi di ossidazione per molti elementi rappresenta un punto chiave in questo ambito.

Gli elementi, infatti, possono presentare più gradi di ossidazione oltre allo stato zero, caratteristico della sostanza elementare. Il positivo massimo corrisponde al numero di elettroni del livello di valenza, coincidendo quindi con il numero del gruppo, mentre il numero di ossidazione più negativo è determinato dagli elettroni necessari affinché l’elemento raggiunga la configurazione del gas nobile.

L’instabilità relativa dei diversi gradi di ossidazione di un elemento varia in base alla sua natura e a quella dei suoi composti. Questa instabilità è misurata dal potenziale normale di riduzione. In certi casi, avviene che una specie in soluzione, molecola o ione, si decomponga dando luogo a un processo simultaneo di ossidazione e riduzione senza l’intervento di altre specie, configurando così un processo di disproporzione o dismutazione.

Un esempio di reazione di dismutazione avviene nel caso di un elemento M che presenta tre diversi gradi di ossidazione a, a+b e a-c. In questa situazione, la specie a grado di ossidazione intermedio può originare la seguente reazione di dismutazione: (b+c)M^a ⇄ cM^(a+b) + bM^(a-c).

La variazione di associata a questa reazione è determinata da ΔG° = nFΔE° = – (bcFC – cbFB) = bcF(B-C). Affinché la reazione proceda nel senso della disproporzione, si deve avere ΔG° B.

Un caso significativo è rappresentato dal rame, in cui le specie Cu^+, Cu^+ e Cu, reagiscono tra di loro per dare luogo alla disproporzione. Tuttavia, il decorso delle reazioni di dismutazione può dipendere anche dal pH.

In conclusione, le reazioni di disproporzione e dismutazione sono fenomeni di fondamentale importanza nell’ambito della redox, in quanto illustrano come la stabilità dei diversi gradi di ossidazione di un elemento possa influenzare il comportamento delle specie in soluzione.

Prodotti per la cura delle mani

Prodotti per la cura e la protezione delle mani contro il freddo invernale

I prodotti dedicati alla cura delle mani sono fondamentali, soprattutto durante la stagione invernale, per proteggere la pelle dalle aggressioni del clima rigido. Durante questo periodo, le mani possono diventare ruvide, screpolate e suscettibili all’irritazione. Questo stato deriva dalla vasocostrizione causata dal freddo, che riduce l’irrigazione sanguigna e, di conseguenza, la nutrizione della pelle. Per evitare che le mani diventino screpolate e doloranti è importante prendersene cura in modo adeguato.

Per prevenire o contrastare la secchezza e l’irritazione delle mani, è consigliabile utilizzare delicati, evitare lavaggi eccessivi e proteggere le mani indossando guanti. Inoltre, l’uso di creme idratanti e emollienti, arricchite con burri vegetali e vitamine, può essere di grande aiuto.

Il ruolo del fattore naturale di idratazione

La pelle dispone di un meccanismo di difesa noto come “fattore naturale di idratazione” (NMF), composto da amminoacidi, acido lattico, glucosammina e carboidrati. Questi elementi proteggono la pelle dalla disidratazione e sono importanti per mantenerla idratata e morbida. I prodotti per la protezione e la cura delle mani dovrebbero contenere sostanze simili al NMF o con capacità regolatrici per preservare l’idratazione della pelle.

Composizione dei prodotti per la cura delle mani

Le creme per la cura delle mani presenti sul mercato possiedono diverse composizioni chimiche, ma molte di esse contengono ingredienti comuni che aiutano ad evitare la secchezza cutanea. Tra questi ingredienti troviamo l’estratto di miele, il burro di karitè, la vitamina E, il palmitato di ascorbile, l’acido pantotenico, il e lo stearato di . Questi componenti contribuiscono ad idratare, proteggere e lenire la pelle, riducendo gli effetti dannosi dei fattori climatici e ambientali.

Per ottenere i massimi benefici dai prodotti per la cura delle mani, è consigliabile seguire attentamente le istruzioni del produttore riguardo alle modalità di utilizzo.

La cura delle mani è un processo importante per mantenere la pelle sana e protetta dagli agenti esterni, soprattutto durante i mesi più freddi. Investire tempo nella cura delle mani con prodotti adatti può garantire mani morbide e protette dall’irritazione causata dal freddo invernale.

Composizione del burro di karité: acidi grassi, catechine

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La struttura molecolare e le proprietà benefiche del burro di karité

Il burro di karité è un prodotto dalle molteplici proprietà, estratto dal seme del frutto di karité prodotto dalla pianta Vitellaria paradoxa, diffusa in Africa occidentale. Questo burro, crudo e non raffinato, è stato utilizzato per secoli dalle popolazioni indigene per cucinare e come prodotto di bellezza, ma più recentemente è stato ampiamente rivalutato per la sua efficacia nella cura della pelle e dei capelli.

La composizione del burro di karité è costituita per il 92% da lipidi, tra cui trigliceridi polinsaturi, monoinsaturi e biinsaturi, tracce di monogliceridi e digliceridi, e una frazione insaponificabile costituita da alcoli triterpenici, idrocarburi, e vitamina E. La maggior parte della vitamina E presente si presenta come alfa-tocoferolo, noto per la sua elevata attività antiossidante. Inoltre, contiene fitosteroli che contribuiscono a ridurre il colesterolo.

Gli acidi grassi esterificati presenti nel burro di karité includono l’acido oleico e stearico, ed è importante sottolineare i livelli totali di acidi grassi in esso contenuti. Tra gli acidi grassi saturi, si trovano l’acido laurico, miristico, palmitico e stearico. Inoltre, sono presenti come l’oleico e il palmitoleico, e acidi grassi polinsaturi come il linolenico e l’arachidonico, insieme all’acido linoleico che ha due siti di insaturazione.

Un elemento importante della composizione del burro di karité è rappresentato dai composti fenolici, in particolare le catechine, simili a quelle presenti nel tè verde conosciuto per i suoi effetti benefici. Tra i composti fenolici contenuti nel burro di karité troviamo l’, la gallocatechina, l’epigallocatechina, la gallocatechina gallato, la catechina, l’epicatechina e l’epicatechina gallato.

La conoscenza della composizione del burro di karité è cruciale per comprendere le sue proprietà benefiche e le potenziali applicazioni in campo cosmetico e medicinale.

Questo articolo analizza la struttura molecolare e le proprietà benefiche del burro di karité, evidenziando la sua rilevanza in diversi contesti. La composizione del burro di karité non solo influenza le sue caratteristiche, ma anche la sua efficacia nella cura della pelle e dei capelli, nonché le sue potenziali applicazioni nutrizionali. La presenza di acidi grassi, fitosteroli e composti fenolici lo rende un ingrediente versatile e prezioso in diversi settori.

Pastorizzazione e sterilizzazione a confronto

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Differenze tra e degli alimenti

Pastorizzazione e sterilizzazione sono due tecniche impiegate per prolungare la . La principale distinzione tra pastorizzazione e sterilizzazione risiede nel fatto che, durante la pastorizzazione, vengono eliminati gli agenti patogeni ma non le spore batteriche, mentre la sterilizzazione mira ad eliminare tutti i microrganismi, inclusi le spore.

Le due tecniche differiscono non solo per le temperature e i tempi impiegati, ma anche per i metodi utilizzati. La pastorizzazione è un processo termico, mentre la sterilizzazione può avvenire sia tramite trattamento termico che mediante l’utilizzo di altri metodi come gli ultrasuoni, il campo elettrico pulsato e il plasma freddo.

Inoltre, i tempi di conservazione degli alimenti pastorizzati sono significativamente più brevi e richiedono la refrigerazione, mentre i prodotti sterilizzati possono essere conservati a ambiente per periodi di tempo notevolmente più lunghi. È importante notare che la pastorizzazione mantiene inalterato il potere nutritivo degli alimenti, mentre la sterilizzazione può comportare una perdita di valore nutrizionale e possibili variazioni delle proprietà organolettiche.

Per esempio, il latte sterilizzato, noto come latte a lunga conservazione, ha una scadenza di sei mesi, mentre il latte pastorizzato deve essere consumato entro il sesto giorno dalla data di confezionamento.

Ecco un confronto delle differenze principali tra pastorizzazione e sterilizzazione:

| | Pastorizzazione | Sterilizzazione |
| ————— | ——————————————– | ———————————— |
| Microrganismi | Elimina microrganismi ma non le spore | Elimina anche le spore |
| Temperatura | Inferiore a 100°C | Molto superiore a 100°C |
| Conservazione | Frigorifero | Temperatura ambiente |
| Scadenza | Breve | Più lunga |
| Metodi | Solo trattamento termico | Altri metodi possono essere impiegati |
| Valore nutritivo| Inalterato | Possibile perdita |
| Proprietà organolettiche | Scarse o nulle variazioni | Possibili variazioni |

Queste differenze dimostrano l’importanza di scegliere la tecnica di trattamento più adatta in base alle esigenze di conservazione e alle caratteristiche degli alimenti.

Crema per le mani fatta in casa

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Preparare una Crema per le Mani Fatta in Casa: Ricetta e Consigli

Le mani sono soggette a molteplici aggressioni ambientali che possono causare secchezza, screpolature e invecchiamento precoce della pelle. Inoltre, la frequente igiene delle mani, particolarmente raccomandata durante la pandemia da COVID-19, può ulteriormente peggiorare questo problema. Pertanto, l’utilizzo di una crema idratante dovrebbe essere parte integrante della routine quotidiana.

In commercio esistono numerose creme, ma combinando ingredienti naturali, è possibile realizzare una crema per le mani fatta in casa, con notevoli vantaggi sia per la pelle che per il portafoglio.

I Benefici della Crema Fatta in Casa

La crema per le mani fatta in casa offre numerosi benefici, come l’aumento dell’elasticità della pelle, la prevenzione delle screpolature e un effetto anti-invecchiamento. Inoltre, l’aggiunta di oli essenziali non solo ne profuma gradevolmente il preparato, ma contribuisce anche a migliorare lo stato di salute delle unghie.

Ingredienti Chiave

Fra gli ingredienti necessari per la preparazione della crema, spiccano la cera d’api, che garantisce un’elevata idratazione cutanea, il burro di karité, estremamente emolliente, e l’olio di mandorle dolci, che funge da olio vettore. L’aggiunta di oli essenziali, come ad esempio l’olio essenziale di arancio dolce con le sue proprietà antiossidanti, conferisce ulteriori benefici alla crema. Inoltre, è consigliabile l’uso di un conservante per prolungarne la durata.

Ricetta e Modalità di Preparazione

Per preparare la crema, in un recipiente a bagnomaria, si fondono la cera d’api, il burro di karité e l’olio di mandorle dolci. Successivamente, si aggiungono gli oli essenziali e il conservante, mescolando delicatamente fino a ottenere un composto omogeneo. Una volta raffreddato, il preparato verrà trasferito in un contenitore di vetro e lasciato riposare per alcune ore affinché si addensi in una crema.

Infine, un buon massaggio con questa crema fatta in casa avrà un effetto antistress oltre a garantire la corretta idratazione delle mani.

La preparazione mostrata nel video è accelerata, ma è preferibile eseguirla a caldo qualora si disponga di qualche minuto in più.

Prendersi cura delle mani è importante, e grazie a questa semplice preparazione è possibile garantire loro un’idratazione ottimale evitando l’uso di creme industriali costose e spesso poco naturali.

Leggi anche: [Amuchina: l’Italia ai tempi del Covid-19](https://chimica.today/tutto-chimica/amuchina-litalia-ai-tempi-del-covid-19/)

Classificazione degli elettroliti: elettroliti forti e deboli

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Elettroliti: differenze tra elettroliti forti e deboli

La distinzione tra elettroliti forti e deboli è fondamentale nella classificazione degli elettroliti, in base alla loro completa o parziale dissociazione in soluzione. La classificazione degli elettroliti include acidi, basi forti e deboli, nonché sali che si dissociano in ioni quando vengono disciolti in .

La capacità degli ioni di muoversi in soluzione consente il passaggio di cariche elettriche, conferendo alla soluzione la capacità di condurre corrente elettrica. Le sostanze il cui le soluzioni conducono elettricità sono chiamate elettroliti, tra i quali i composti ionici solubili sono considerati elettroliti forti, come ad esempio KBr, NaCl e HI.

Gli , come ad esempio una soluzione 0.10 M di HgCl2, conducono solo una piccola quantità di corrente a causa della loro parziale dissociazione. Ad esempio, il cloruro di mercurio (II) è un sale poco solubile e la maggior parte delle sue molecole rimane indissociata, conducendo solo lo 0.% della corrente condotta da una soluzione 0.10 M di NaCl.

Le misurazioni di forniscono informazioni sulla forza di un elettrolita: una soluzione 0.001 M di un elettrolita forte conduce tra 2500 e 10000 volte in più dell’acqua e 10 volte in più rispetto a un elettrolita debole come l’acido acetico o l’ammoniaca.

Questi dati mostrano che i composti che contengono ioni H+ e OH- hanno un’alta conduttività. Escludendo tali composti, gli elettroliti 1:1 conducono circa la metà della corrente rispetto ai composti 2:2, 1:2 o 2:1. Ad esempio, una soluzione 0.001 M di un elettrolita 2:2 come MgSO4 conduce il doppio della corrente rispetto a una soluzione 0.001 M di NaCl.

In , la classificazione degli elettroliti in forti e deboli si basa sulla loro capacità di condurre corrente elettrica e sulla loro parziale o completa dissociazione in soluzione.

Carbeni: sintesi, reattività

Carbeni: definizione, e reattività

I carbeni sono specie altamente reattive caratterizzate da una vita estremamente breve, contenenti un carbonio bivalente e un doppietto elettronico non condiviso. L’atomo di carbonio è insaturo elettronicamente, rendendolo estremamente reattivo poiché tende a completare l’ottetto.

Il carbene più semplice è il metilene :CH2, una specie intermedia transitoria che reagisce con una vasta gamma di composti organici. I carbeni possono assumere geometrie lineari o planari trigonali, a seconda dell’ibridazione dell’atomo di carbonio.

Tipi di carbeni

Esistono due tipi di carbeni: il carbene singoletto e il carbene tripletto. Nel primo, l’atomo di carbonio è ibridato sp2, con tre orbitali ibridi sp2 planari. Nel secondo, il carbonio può essere ibridato sp o sp2, formando una molecola lineare con un momento magnetico.

Secondo la regola di Hund (principio della massima molteplicità), lo stato di tripletto con spin parallelo è più stabile del singoletto. Di conseguenza, i carbeni presentano diversa reattività a seconda dello stato in cui si trovano.

Reattività

I carbeni reagiscono con gli alcheni formando derivati del . In soluzione, in forma singoletto, agiscono da producendo un’addizione stereospecifica in cis. In fase gassosa, in forma tripletto, la reazione avviene in due stadi, producendo sia l’isomero cis che l’isomero trans.

I carbeni possono anche inserirsi in legami carbonio-idrogeno, un processo di particolare importanza nella sintesi di nuovi composti. Agiscono inoltre da intermedi in diverse reazioni, come nella sintesi degli e nella reazione di Reimer-Tieman che porta alla formazione dell’o-idrossibenzaldeide a partire dal fenolo.

Le reazioni in cui i carbeni costituiscono un intermedio includono anche la preparazione degli .

Sintesi

I carbeni possono essere ottenuti tramite diverse vie, come la decomposizione termica dei diazocomposti e la fotolisi o decomposizione termica dei cheteni, tra gli altri.

Questo articolo fornisce informazioni dettagliate sulla definizione, sintesi e reattività dei carbeni, offrendo così una panoramica completa su questo argomento di chimica organica.

Materiali compositi: con particelle, fibrosi, sandwich

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Materiali compositi: caratteristiche e classificazioni

I materiali compositi sono il frutto dell’unione di due o più componenti che, insieme, conferiscono al prodotto risultante caratteristiche differenti da quelle dei singoli costituenti. Questo concetto risale addirittura al III millennio a.C., quando si comprese che l’utilizzo di metalli non era sempre soddisfacente per la realizzazione di determinati oggetti come armi, corazze e utensili per la costruzione. È in questo contesto che si iniziò a sperimentare l’unione di due o più metalli per creare leghe metalliche come il , costituito da e , che offriva caratteristiche migliori di entrambi i componenti originali.

Già nell’antichità, ad esempio, gli Egiziani mescolavano fango e paglia per ottenere un materiale adatto alla costruzione di edifici. Oggi, i materiali compositi sono ampiamente impiegati in svariati ambiti, tra cui costruzioni, industria aerospaziale e manifatturiera. Essi possono offrire caratteristiche come maggiore , minor peso e minor costo rispetto ai materiali tradizionali.

I materiali compositi si possono suddividere in tre categorie principali: compositi con particelle, compositi fibrosi e strutture sandwich.

Compositi con particelle

Questi materiali beneficiano della presenza di particelle che migliorano la resistenza all’usura, alle alte temperature e la lavorabilità. Essi includono materiali come il calcestruzzo, costituito da una matrice di in cui sono presenti particelle di varie dimensioni (ghiaia e sabbia) e i cermet, composti da ceramica e materiale metallico. Inoltre, la gomma rinforzata con fibre è un esempio di materiale composito appartenente a questa categoria.

Compositi fibrosi

Ampliamente utilizzati nelle costruzioni meccaniche, i compositi fibrosi presentano un elevato rapporto resistenza/peso. Essi possono essere anisotropi o isotropi a seconda dell’orientamento delle fibre. Esempi di compositi fibrosi importanti sono il GRC a matrice cementizia rinforzato con fibre di vetro allo zirconio e il CFRC a fibra di carbonio.

Strutture sandwich

Le strutture sandwich sono costituite da due facce o pelli laminate insieme con un’anima meno resistente ma più leggera, ottimizzando le caratteristiche meccaniche e la leggerezza. Questi compositi sono impiegati in settori come l’aeronautica, l’industria aerospaziale, navale e dei veicoli terrestri.

I materiali compositi sono una risorsa fondamentale in molteplici settori grazie alle loro peculiari proprietà che li rendono particolarmente adatti a soddisfare esigenze specifiche, offrendo alte prestazioni e vantaggi competitivi.

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