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Reazioni metallotermiche

Metallotermia: il processo di estrazione dei metalli

Le reazioni metallotermiche consentono di ottenere un metallo a partire dai suoi composti presenti in un minerale, tramite un processo metallurgico che impiega un altro metallo con elevata affinità chimica con l’ossigeno per ridurre l’ossido e ottenere il metallo puro.

Questa tecnica, conosciuta come metallotermia, è stata resa possibile grazie alla scoperta e all’isolamento dei metalli alcalini da parte di Sir Humphry Davy nel 1808, nonché allo sviluppo successivo derivato dalla scoperta e isolamento dell’alluminio da parte di Hans Christian Ørsted nel 1826.

La prima applicazione industriale delle reazioni metallotermiche risale al 1854, quando Henri Sainte-Claire Deville riuscì ad ottenere alluminio attraverso la riduzione di un sale costituito da cloruro di alluminio e cloruro di sodio. La reazione endotermica fu condotta in un forno a riverbero e portò alla produzione di alluminio.

Le reazioni metallotermiche possono essere espresse dall’equazione generale: MO2(s,l) + R(s,l) → M(s,l) + RO2(s), dove il metallo M può essere ottenuto riducendo l’ossido metallico MO2 con l’agente riducente R.

Affinché la reazione proceda verso destra, RO2 deve avere una stabilità maggiore rispetto a MO2, ovvero l’ libera di formazione di RO2 deve essere più negativa rispetto a quella di MO2. La variazione di della reazione deve essere negativa affinché la K correlata a ΔG dall’espressione ΔG° = – RT ln K sia sufficientemente elevata.

Conoscendo le variazioni di energia libera correlate alle reazioni, è possibile calcolare la variazione di energia libera della reazione e prevedere la sua spontaneità e la dimensione di K. Ad esempio, trattando l’ossido di cromo (III) con alluminio, è possibile ottenere cromo a seguito di un trattamento ad alta temperatura.

In conclusione, le reazioni metallotermiche rappresentano un importante processo nella produzione di metalli a partire dai loro minerali, consentendo di ottenere metalli puri da composti presenti nelle rocce.

Piscina: pericoli in agguato

Pericoli nell’uso della piscina: cosa c’è da sapere

Quando ci si tuffa in una piscina, spesso si sottovalutano i potenziali pericoli legati all’igiene dell’acqua e alle sostanze chimiche utilizzate per la sua disinfezione. Le problematiche igienico-sanitarie sono correlate non solo alla presenza di batteri come Escherichia coli e Salmonella, ma anche alla di protozoi come Giardia lamblia e Cryptosporidium parvum.

Le sostanze chimiche più comunemente usate per disinfettare le acque delle piscine comprendono il cloro, presente nell’ o di calcio, e l’acido tricloroisocianurico (TCCA). Queste sostanze entrano in contatto con una varietà di materiali organici come sporco, sudore, urina, e cosmetici, nonché con solari di diverso genere, generando sottoprodotti di disinfezione (DBPs).

La formazione di sottoprodotti di disinfezione è influenzata da diversi fattori, tra cui il pH, la temperatura dell’acqua e il tipo di materiale organico presente. Alcuni dei sottoprodotti più comuni nelle piscine sono i trialometani (THM), gli acidi aloacetici (HAAs), gli aloacetaldeidi e le clorammine, tutti potenzialmente dannosi per la salute umana. Ad esempio, i trialometani sono sospettati di causare danni al fegato, ai reni e al sistema nervoso centrale, oltre a essere considerati cancerogeni.

Inoltre, la presenza di materiale organico contenente azoto può generare sottoprodotti azotati, come le aloacetonitrili (HANs) e le , i quali possono essere dannosi e cancerogeni. Gli acidi aloacetici e la tricloroacetaldeide presenti nelle piscine possono provocare irritazioni della pelle, delle vie respiratorie e degli occhi.

In generale, l’esposizione prolungata a queste sostanze può causare danni alla salute, pertanto è importante tenere presente i potenziali rischi per chi trascorre molto tempo in piscina. Anche se una nuotata seguita da una doccia non comporta particolari preoccupazioni, per coloro che praticano sport in acqua e trascorrono molte ore nella piscina, è consigliabile prestare attenzione all’igiene e al rinnovo frequente dell’acqua.

In conclusione, l’uso prolungato della piscina e l’esposizione ai sottoprodotti di disinfezione possono rappresentare dei rischi per la salute umana, pertanto è fondamentale adottare misure rigorose di igiene e di controllo dell’acqua per prevenire potenziali pericoli.

Separazione tra fasi

Separazione dei Componenti di una Miscela: Tecniche e Applicazioni

La separazione dei componenti di una miscela è fondamentale in molteplici ambiti, dai processi industriali alla ricerca scientifica. Diverse tecniche sono state sviluppate nel corso dei secoli per consentire questa separazione in modo efficiente e preciso. Questo articolo esplorerà varie tecniche di separazione e le loro applicazioni in diversi campi.

Tecniche di Separazione

La classificazione delle tecniche di separazione dipende dalle caratteristiche dei componenti da separare. Le differenze nelle dimensioni delle particelle possono essere sfruttate mediante tecniche come la filtrazione, la dialisi e la di esclusione molecolare. Allo stesso modo, la differenza di massa o densità dei componenti può essere sfruttata attraverso la centrifugazione e la tecnica del mascheramento.

Cambiamenti di Stato Fisico e Chimico

La variazione dello stato fisico di un componente può essere impiegata per separarlo dagli altri. La , la e la ricristallizzazione sono di tecniche basate su questo principio. Tali tecniche si rivelano particolarmente utili nella separazione di solidi e liquidi miscibili con diverse temperature di ebollizione.

Anche la reattività chimica può essere sfruttata per la separazione dei componenti di una miscela. La formazione di complessi solubili, la precipitazione e altre reazioni sono utilizzate per ottenere la separazione desiderata.

Ripartizione tra Fasi

Una delle tecniche più importanti per la separazione dei componenti di una miscela è la ripartizione tra fasi. Questo processo si basa sulla diversa solubilità di una sostanza in due liquidi immiscibili. La cromatografia, ad esempio, sfrutta questo principio per separare i componenti di una miscela. La ripartizione dei composti tra due liquidi immiscibili può essere descritta mediante il , che indica la distribuzione differenziale dei componenti tra le fasi.

Applicazioni e Conclusioni

Le tecniche di separazione hanno un’ampia gamma di applicazioni, dalle industrie chimiche e farmaceutiche alla ricerca scientifica. La capacità di separare i componenti di una miscela in modo efficiente è cruciale per numerosi processi e analisi. In definitiva, la continua ricerca e sviluppo di nuove tecniche di separazione rimane un focus importante per il progresso scientifico e tecnologico.

Infine, la tabella seguente riassume le principali tecniche di separazione e i criteri utilizzati per la separazione:

| Criterio di separazione | Tecnica di separazione |
|——————————-|———————————————|
| Dimensioni | Filtrazione, Dialisi, Cromatografia di esclusione molecolare |
| Massa o densità | Centrifugazione, Mascheramento |
| Variazioni dello stato fisico | Distillazione, Sublimazione, Ricristallizzazione |
| Variazioni dello stato chimico | Precipitazione, Elettrodeposizione, Volatilizzazione |
| Ripartizione tra fasi | Estrazione, Cromatografia |

In conclusione, la capacità di separare i componenti di una miscela è di fondamentale importanza in molteplici settori e la continua ricerca di nuove tecniche di separazione rimane essenziale per il progresso scientifico e tecnologico.

Celle solari leggere come bolle di sapone

Nuove celle solari più sottili e leggere al MIT

In una pubblicazione del 25 febbraio si legge che i ricercatori del MIT hanno ottenuto le celle solari più sottili e leggere mai realizzate, tanto che, per dimostrare quanto sottili e leggere siano, i ricercatori ne hanno messa una su una bolla di sapone, che questa si sia rotta.

Gli scienziati di tutto il mondo rivolgono i loro studi nell’ambito dell’ottenimento di nuovi materiali che possano sostituire quelli usati in precedenza. Le ricerche sono volte a ottenere che presentano costi minori, un minore impatto ambientale e caratteristiche tecnologiche innovative. Tra i gruppi di ricerca più accreditati al mondo vi è il MIT, dove gli scienziati lavorano per pubblicare scoperte innovative e incredibili.

Le nuove cella solare

Sebbene siano necessari anni prima che si possa giungere a un prodotto ad uso commerciale, il nuovo approccio del team del MIT consiste nell’ottenere in un unico processo la cella solare, il substrato che la sostiene e la ricopertura protettiva per proteggerla dall’ambiente. Il passaggio rivoluzionario consiste nel far accrescere il substrato contemporaneamente al dispositivo.

Poliparaxylene

Nell’esperimento effettuato è usato sia come substrato che come copertura il polimero parilene costituito da poliparaxylene e il dibutilftalato (DPB) per le sue qualità fotoassorbenti. Il parilene è comunemente usato come materiale di rivestimento che ha la caratteristica di essere straordinariamente sottile e chimicamente inerte ed è utilizzato per proteggere i dispositivi biomedici impiantati e i circuiti stampati dai danni ambientali.

Il processo

L’intero processo avviene a temperatura ambiente in una camera a vuoto senza l’uso di solventi; sia il substrato che la cella solare si accrescono con la tecnica della . Il team sottolinea che i materiali usati per la realizzazione delle selle solari sono solo degli e che l’innovazione è dovuta al processo di ottenimento delle celle.

I vantaggi delle nuove celle solari

Il team del MIT sottolinea che potrebbero essere utilizzati altri tipi di materiali e che questa cella potrebbe essere troppo sottile per scopi pratici. Tuttavia, le nuove celle solari ottenute hanno lo spessore di un millesimo rispetto alle celle solari attualmente utilizzate ma sono in grado di trasformare la luce solare in elettricità con la stessa capacità con il rapporto peso-potenza più alto mai raggiunto.

Conclusione

Nonostante occorrano ancora molti studi, questa ricerca apre nuove frontiere allo sviluppo della tecnologia delle celle solari.

Solubilità di sali derivanti da acidi deboli e pH. Esercizi

Solubilità dei sali derivanti da acidi deboli e influenza del : risolti

La solubilità dei sali derivanti da acidi deboli aumenta all’abbassarsi del pH. Ad esempio, le statue in marmo costituite da carbonato di calcio, un sale derivante da un acido debole, si degradano a causa del contatto con le piogge acide, assumendo un aspetto ruvido e corrosivo.

Prendiamo in considerazione il fluoruro di calcio, un sale poco solubile che si dissocia in acqua secondo l’equilibrio eterogeneo:
CaF2(s) ⇄ Ca2+(aq) + 2 F(aq)
Questo è regolato dal Kps = 3.9 · 10-11. In acqua pura, all’equilibrio [Ca2+] = x e [F] = 2x. Sostituendo questi valori nell’espressione del Kps, otteniamo: Kps = 3.9 · 10-11 = [Ca2+] [F]2 = (x)(2x)2 = 4x3. Da cui x = solubilità molare = 2.1 · 10-4 M.

Riducendo il pH della soluzione, l’ione F derivante dall’acido debole HF, la cui Ka vale 6.76 · 10-4, viene protonato, diminuendo la sua concentrazione. Secondo il , l’equilibrio di dissociazione del fluoruro di calcio si sposta a destra, aumentandone la solubilità.

Esercizio 1: Calcolo della solubilità del fluoruro di calcio in una soluzione 0.10 M di HCl

Oltre all’equilibrio di dissociazione CaF2(s) ⇄ Ca2+(aq) + 2 F(aq), si tiene presente l’equilibrio di dissociazione di HF:
HF(aq) ⇄ H+(aq) + F(aq), regolato dalla Ka. La costante relativa a quest’ultimo equilibrio è pari a K = 1/Ka.

Moltiplicando per 2 quest’ultimo equilibrio e sommandolo a quello di dissociazione, si ottiene l’equilibrio:
CaF2(s) + 2 H+(aq) ⇄ Ca2+(aq) + 2 HF(aq). La costante relativa a questo equilibrio vale: K = Kps/Ka2 = 3.9 · 10-11 / (6.76 · 10-4)2 = 8.5 · 10-5.

Paragonando la solubilità del fluoruro di calcio in HCl 0.10 M e in acqua pura, si osserva un aumento di 28 volte a pH = 1.

Esercizio 2: Calcolo della solubilità del benzoato di argento

Il benzoato di argento dà luogo all’equilibrio di dissociazione:
C6H5COOAg(s) ⇄ C6H5COO(aq) + Ag+(aq).

In acqua pura, la solubilità molare è x, quindi Kps = 2.5 · 10-13 = (x)(x), da cui x = 5.0 · 10-7 M.

Considerando un pH di 3.19, l’equilibrio è dato da:
C6H5COO(aq) + H+(aq) ⇄ C6H5COOH(aq), regolato dalla costante K = 1/Ka. La costante relativa all’equilibrio della dissociazione del benzoato di argento vale K = Kps/Ka = 2.5 · 10-13 / 6.46 · 10-5 = 3.9 ·10-9. Alla concentrazione di H+ corrispondente a pH = 3.19, la solubilità molare del benzoato di argento è 1.6 · 10-6 M, cioè 3 volte maggiore rispetto a quella in acqua pura.

Solventi polari protici, aprotici e non polari

Solventi polari: protici, aprotici e non polari

Nel contesto della sintesi organica, i solventi possono generare complicazioni in quanto vengono spesso menzionati come reagenti, benché non partecipino direttamente alla reazione, ma siano utilizzati per solubilizzare i reagenti.

Alcuni solventi svolgono unicamente la funzione di sciogliere i reagenti, ad esempio, i solventi polari vengono impiegati per sciogliere reagenti polari, mentre quelli non polari per sciogliere reagenti non polari come gli idrocarburi.

In alcuni casi, oltre a solubilizzare, il solvente può agire come acido, base o nucleofilo, acquisendo quindi proprietà acido-base.

La classificazione di un solvente si basa sulla sua polarità: i solventi polari presentano un momento dipolare e contengono atomi legati tra loro con diversa elettronegatività, mentre i solventi non polari contengono atomi con valori di elettronegatività simili.

La polarità di una molecola può essere determinata dalla sua costante dielettrica, la quale aumenta con l’aumentare della polarità. In linea generale, i solventi con una costante dielettrica superiore a 15 sono considerati polari.

Solventi polari

I solventi polari sono classificati in solventi protici e solventi aprotici. I solventi polari protici sono caratterizzati da un’alta costante dielettrica e polarità, e contengono il legame -OH tipico degli alcoli o il legame -N-H tipico delle ammine, il che consente loro di formare legami a idrogeno.

Tra questi solventi protici rientrano l’acqua, il metanolo, l’ e l’acido metanoico, il fenolo, l’acido trifluoroetanoico, la metanammide e la dietilammina.

I solventi polari aprotici, anch’essi caratterizzati da un’alta costante dielettrica e polarità, non formano legami a idrogeno e non sono donatori o accettori di protoni. di solventi polari aprotici comprendono l’etanonitrile, il N,N-dimetilformammide, il dimetilsolfossido, e il nitrometano.

Solventi non polari

I solventi non polari presentano una bassa costante dielettrica e non sono in grado di solubilizzare specie ioniche, pur agendo come basi di Lewis in alcuni casi.

Esempi di solventi non polari sono gli alcani, i cicloalcani, il e il toluene.

Le loro proprietà rivestono un’importanza fondamentale in numerose reazioni, tra cui quelle di sostituzione nucleofila. I solventi polari favoriscono la formazione di cariche e contrastano la loro dispersione, favorendo quindi la formazione di intermedi carbocationici e influenzando il meccanismo delle reazioni.

Infine, le reazioni che avvengono con sono favorite dai solventi polari, mentre quelle con vengono inibite da tali solventi che ostacolano la dispersione di carica durante la formazione del complesso attivato.

Alogenuri alchilici: reazioni con nucleofili

Reazioni di sostituzione nucleofila degli

Gli alogenuri alchilici, noti anche come alogenoalcani, contengono il gruppo funzionale –X, dove X rappresenta un alogeno (F, Cl, Br, I). Grazie alla maggiore elettronegatività degli alogeni rispetto al carbonio, il C-X è di tipo polare, con il carbonio che assume una parziale carica positiva (δ+) e l’alogeno una parziale carica negativa (δ-).

I carboni legati agli alogenuri alchilici sono elettrofili e possono subire attacchi . Queste reazioni, note come reazioni di sostituzione nucleofila, comportano la sostituzione dell’alogenuro con il nucleofilo secondo la reazione generale: R-X + :Nu- → R-Nu + X-

Alcuni di queste reazioni includono la formazione di metanolo dalla reazione del clorometano con OH-, il tiolo dall’1-iodopropano con -SH e il metossietano dallbromoetano con -OCH3.

I nucleofili reattivi nei confronti degli alogenuri alchilici sono molteplici e includono OH-, -OR’, -SH, -SR’, :NH3, -C≡C-R’, -N=N+=N-, -C≡N, R’COO-. A seconda del tipo di alogenuri alchilici e di altri fattori come il solvente, la reazione può avvenire attraverso un SN1 o SN2.

Inoltre, esistono nucleofili più forti come (CH3CH2)3P, -SH, (CH3CH2)2NH, -C≡N, (CH3CH2)3N, OH- e -OR’, nucleofili con moderata nucleofilità come NH3, R-S-R, e nucleofili più deboli come RCOO-, H2O e R-OH.

Per valutare la forza di un nucleofilo, si considerano diverse regole, come la carica negativa e l’elettronegatività degli elementi, che influenzano la nucleofilicità delle specie.

In conclusione, le reazioni di sostituzione nucleofila degli alogenuri alchilici coinvolgono una varietà di nucleofili e possono seguire differenti meccanismi a seconda delle condizioni sperimentali. La comprensione della forza dei nucleofili è essenziale per comprendere tali reazioni e le relative applicazioni in chimica organica.

Esercizi sulla composizione di miscele

Composizione delle miscele: e calcoli

Gli esercizi che riguardano la composizione di una miscela sono comunemente affrontati durante lo studio della . Nel contesto di tali esercizi, non esiste un metodo universalmente applicabile, ma possono essere risolti adoperando strategie specifiche. Questi esercizi consentono di determinare la percentuale di un componente all’interno di una miscela, come ad esempio la percentuale di un metallo in una lega.

Calcolo del peso atomico

Si consideri un campione di 1.000 g contenente il 75,0 % di solfato di potassio e il 25 % di un sale generico MSO4. Dopo la solubilizzazione del campione, il solfato è stato precipitato come BaSO4, ottenendo una massa di solfato di bario pari a 1.490 g. L’obiettivo è calcolare il peso atomico di M presente in MSO4 e individuare il metallo.

Provvediamo al calcolo della massa dei costituenti del campione:

– Massa di K2SO4 = 1.000 g * 75.0/100 = 0.7500 g
– Massa di MSO4 = 1.000 g * 25.0/100 = 0.2500 g

Successivamente, le moli di K2SO4 corrispondono a 0.004304, mentre per il solfato di bario sono pari a 0.006384.

Calcolando la differenza tra le moli di solfato di bario e quelle della miscela, otteniamo le moli di MSO4. Conoscendo la massa e le moli di MSO4, è possibile calcolarne il peso molecolare: 120.19. Infine, applicando una serie di operazioni, è possibile determinare il peso atomico di M, ottenendo un risultato di 24.12 g/mol, che corrisponde al peso atomico del magnesio.

Calcolo della composizione percentuale della miscela

Consideriamo una miscela di cloruro di mercurio (I) e bromuro di mercurio (I) con una massa di 2.00 g. L’ione di mercurio presente nella miscela è stato ridotto quantitativamente a mercurio metallico, ottenendo una massa di 1.50 g. Lo scopo è calcolare la composizione percentuale della miscela.

Denotando con x la massa di Hg2Cl2 e con y quella di Hg2Br2, si ha:
x + y = 2.00

Le moli di mercurio metallico ottenute corrispondono a 0.00748, e sono ottenute dalla somma delle moli di Hg2Cl2 e di Hg2Br2. Ricaviamo le moli di Hg2Cl2 come rapporto tra la sua massa e il peso molecolare. Allo stesso modo, calcoliamo le moli di Hg2Br2.

Dopo una serie di operazioni, troviamo che la % di Hg2Cl2 presente nella miscela è del 26.05 %, mentre la % di Hg2Br2 risulta essere il 73.95 %.

Determinazione della percentuale di magnesio in una lega

Infine, consideriamo una lega metallica composta da alluminio e magnesio con una massa di 0.155 g. Dopo una reazione con HCl, si ottengono 0.0163 grammi di H2. Lo scopo è determinare la percentuale di magnesio presente nella lega.

Denotando con x la massa di Al e con y la massa di Mg, otteniamo x + y = 0.155. Successivamente, applicando specifiche operazioni, si giunge alla conclusione che la percentuale di Mg nella lega è del 23.8 %.

In conclusione, gli esercizi sulla composizione di miscele risultano una parte essenziale nello studio della stechiometria e forniscono importanti nozioni sulla determinazione percentuale dei componenti all’interno di una miscela.

Il metodo delle combinazioni lineari o LCAO

Il metodo delle combinazioni lineari o LCAO per gli

Il metodo delle combinazioni lineari o LCAO (linear combination atomic orbitals) è un’importante tecnica di approssimazione utilizzata per ottenere la degli orbitali molecolari. Questo approccio si basa sull’idea di approssimare la funzione d’onda ψ con una combinazione lineare di due funzioni note ψ1 e ψ2.

Si può scrivere la funzione d’onda come ψ = c1 ψ1 + c2 ψ2, dove c1 e c2 sono costanti da determinare in modo da minimizzare l’ complessiva.

Il è particolarmente adatto per questo tipo di funzioni d’onda. L’energia ε è determinata dall’integrale dell’espressione dell’energia diviso per l’integrale della funzione d’onda al quadrato.

Se le due funzioni ψ1 e ψ2 sono normalizzate separatamente, allora è possibile semplificare l’equazione utilizzando gli elementi di matrice Hrs e Srs. Questo permette di ottenere le equazioni secolari, che possono essere risolte per determinare l’energia E e il rapporto dei coefficienti c1 e c2.

Questo metodo variazionale, noto anche come metodo di Rayleigh-Ritz, presenta diversi vantaggi, tra cui la capacità di estendersi a qualsiasi numero di funzioni componenti e la generazione di equazioni lineari.

Inoltre, è importante sottolineare alcune semplificazioni dei metodi variazionali. Ad esempio, in molti casi non è necessario minimizzare completamente la funzione d’onda a causa di ragioni fisiche o chimiche specifiche. Inoltre, la funzione dell’energia tende a rimanere stabile anche se la funzione d’onda non è esattamente ottimale.

Infine, va ricordato che la meccanica ondulatoria consente la separazione dell’energia totale della molecola in diverse parti, come l’energia elettronica e l’energia dei nuclei, facilitando così l’ dei processi coinvolti.

Questo metodo riveste particolare importanza nello studio degli orbitali molecolari e delle loro proprietà, fornendo un utile strumento per l’analisi e la comprensione dei legami chimici.

Atomo di idrogeno: trattazione quantistica

Struttura atomica dell’ secondo la trattazione quantistica

L’atomo di idrogeno è caratterizzato dalla presenza di un solo elettrone in movimento attorno al nucleo, e può essere descritto mediante molte funzioni d’onda e molte energie corrispondenti. Il suo stato a energia minore è denominato stato fondamentale.

Secondo la teoria di Bohr, l’elettrone si muove attorno al nucleo su di un cerchio il cui raggio è denominato raggio della prima orbita, o più semplicemente raggio di Bohr. Il raggio di Bohr, indicato con ao, è legato alla massa m e alla carica e dell’elettrone dalla formula: ao = h2/ 4π2me2 = 5.29 · 10-9 cm. Analogamente, l’energia permessa vale E = – 2π2me4/h2 = – 2π2me4/4π2me2ao = – e2/ 2 ao = – 13.6 eV.

Secondo la teoria della meccanica ondulatoria, l’elettrone è rappresentato da un’adeguata funzione d’onda Ψ, definita come Ψ = √ e-r/ao/ π ao3, dove r è la distanza dall’origine. La densità di probabilità ρ è determinata da ρ = e-r/ao/ πao3. Si nota che il moto si svolge in uno spazio a tre dimensioni e che la densità di probabilità ρ ha simmetria sferica rispetto all’origine.

L’atomo di idrogeno non ha solamente l’orbitale atomico corrispondente allo stato fondamentale; vi sono molte altre energie permesse, ciascuna con la propria corrispondente .

Gli sono classificati nei tipi s, p, d, e f. Gli orbitali di tipo s hanno simmetria sferica, mentre gli orbitali di tipo p sono asimmetrici e sono caratterizzati da regioni dove la funzione d’onda ha segno opposto, separate da un piano nodale nel quale Ψ = 0.

Infine, sono permessi diversi tipi di tra i livelli energetici e le di selezione limitano i salti possibili, specificando quali transizioni sono consentite.

In sintesi, l’atomo di idrogeno secondo la trattazione quantistica presenta una struttura complessa e una serie di proprietà che possono essere descritte mediante la teoria quantistica.

Equilibri gassosi: esercizi svolti

Equilibri gassosi: risolti

Negli equilibri gassosi, le reazioni reversibili coinvolgono sostanze tutte allo stato gassoso. La Kp è calcolata in funzione delle dei gas presenti. Questa costante è rappresentata da Kp e può essere determinata attraverso la seguente formula:

Kp = pCc pDd/ pAa pBb

La relazione tra Kp e la costante di equilibrio in termini di concentrazione molare (Kc) è espressa come:

Kp = Kc(RT) Δn

Dove Δn rappresenta la variazione nel numero di moli tra e reagenti. Se Δn = 0, allora Kp= Kc.

Esercizi sugli equilibri gassosi

1. In un recipiente di volume 5.70 L vengono introdotte 0.200 moli di CO2 e 0.0300 moli di H2. La temperatura è portata a 1018 K. Calcolare Kp e Kc sapendo che, all’equilibrio, la pressione parziale di CO è 0.315 atm.

La pressione iniziale di CO2 è 2.93 atm, mentre quella di H2 è 0.440 atm. Utilizzando tali valori possiamo determinare i valori di Kp e Kc.

2. Br2 si dissocia in Br monoatomico secondo l’equilibrio: Br2 ⇄ 2 Br. Calcolare Kp e Kc per l’equilibrio alla temperatura di 1798 K. Sono state introdotte 0.0063 moli di Br2 in un recipiente di 2.80 L. Dopo raggiungimento dell’equilibrio, la pressione totale nel recipiente risulta 0.499 atm.

Il calcolo di Kp e Kc per questo equilibrio avviene attraverso una serie di operazioni basate dati iniziali e le variazioni al raggiungimento dell’equilibrio.

Attraverso le formule e i calcoli appropriati, è possibile ottenere i valori di Kp e Kc per entrambi gli esercizi proposti.

Amperometria e titolazioni amperometriche e biamperometriche

Amperometria e titolazioni e biamperometriche: principi e applicazioni

L’amperometria è una tecnica analitica che opera in condizioni polarografiche, misurando la corrente di elettrolisi in una cella elettrolitica a potenziale costante. Questa tecnica è particolarmente utile nelle titolazioni, dove è possibile osservare la corrente di dopo ogni aggiunta di titolante, mantenendo costante il potenziale della cella elettrolitica.

Ad esempio, la titolazione del permanganato con Fe(II) produce un grafico della titolazione costituito da due rette, la cui intersezione indica il punto equivalente della reazione. Durante la titolazione, la corrente di diffusione aumenta man mano che lo ione ferro (II) reagisce con il permanganato, fino a raggiungere il punto equivalente, dopo il quale ulteriori aggiunte di ferro (II) non influenzano la corrente.

Le titolazioni amperometriche sono applicabili a diverse reazioni, tra cui le , le e le reazioni complessometriche. Per condurre una titolazione amperometrica, è necessaria un’apparecchiatura di polarografia, che può essere semplificata eliminando la necessità di eseguire un completo polarogramma dopo ogni aggiunta del reattivo. Inoltre, l’impiego di elettrodi ruotanti di platino migliora la sensibilità della tecnica.

Le titolazioni biamperometriche costituiscono un’altra variante delle titolazioni amperometriche, impiegando due elettrodi inerti di platino collegati a un generatore di corrente. Questa tecnica permette di rilevare variazioni brusche di corrente al punto di equivalenza, grazie alla differenza di potenziale applicata ai due elettrodi. Le titolazioni biamperometriche sono utili per reazioni ossidoriduttive reversibili, come ad esempio le reazioni Fe^3+/Fe^2+ e I_2/I^-.

In conclusione, l’amperometria e le sue varianti offrono un approccio versatile e sensibile per condurre titolazioni in diverse reazioni, contribuendo alla precisione e all’accuratezza delle chimiche.

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