back to top
Home Blog Pagina 328

Cinetica delle reazioni di polimerizzazione

La cinetica delle reazioni di polimerizzazione: meccanismi e influenze

Lo studio della cinetica delle reazioni di polimerizzazione è di fondamentale importanza per la produzione dei polimeri e la determinazione delle loro proprietà fisiche e chimiche. Mentre i fattori termodinamici determinano la polimerizzazione di un dato monomero, la velocità di questo processo dipende dalla cinetica delle reazioni coinvolte.

Esistono due meccanismi principali che regolano la crescita della catena polimerica: la crescita per reazione a stadi e la crescita per reazione a catena.

Crescita per reazione a stadi

Il meccanismo di coinvolge un unico tipo di reazione e può coinvolgere due unità monomeriche, un monomero e un’unità terminale di un polimero o le due unità terminali di due catene polimeriche. La velocità di reazione in questo meccanismo è uniforme e porta a una certa omogeneità dei pesi molecolari. Tuttavia, la velocità di reazione diminuisce notevolmente con il procedere della reazione.

Paul Flory ha sperimentato che la reattività dei gruppi funzionali in alcune reazioni di esterificazione è indipendente dalla lunghezza della catena polimerica. La velocità di scomparsa del monomero e la formazione di catene polimeriche sono regolate da equazioni specifiche che descrivono la cinetica della reazione.

A differenza della crescita a stadi, il meccanismo di crescita a catena si sviluppa solo attraverso un’estremità e la velocità di reazione è in genere molto elevata. Questo tipo di polimerizzazione avviene attraverso una serie di reazioni che comprendono un atto iniziale, la propagazione della catena e la terminazione della reazione. La cinetica di questo meccanismo dipende dal tipo di iniziatore utilizzato.

Per il , la cinetica di crescita della catena è regolata dalla propagazione e dalla terminazione della reazione. Le equazioni specifiche governano la velocità di queste reazioni e influenzano il peso molecolare del polimero.

In conclusione, comprendere la cinetica delle reazioni di polimerizzazione è cruciale per la produzione di polimeri con diverse proprietà. Il controllo delle velocità delle reazioni e la comprensione dei meccanismi di crescita sono fondamentali per ottenere polimeri con le caratteristiche desiderate.

Strutture a massimo impacchettamento

Strutture a massimo impacchettamento: Caratteristiche e tipologie

Le particelle si orientano al fine di occupare lo spazio più ridotto possibile, assumendo così una struttura a massimo impacchettamento. Questo type di configurazione è riscontrabile nei metalli, in alcuni composti molecolari e in alcuni composti ionici semplici.

Affinché una sfera aderisca al massimo numero di altre sfere, è essenziale che ne sia a contatto con il maggior numero possibile. Ne consegue che, se si posiziona un insieme di sfere uguali in un piano, possono assumere due disposizioni differenti.

In uno strato di sfere a massimo impacchettamento, ogni sfera possiede un pari a sei, ossia è circondata da sei sfere. Inoltre, ciascuna sfera è circondata da sei cavità bidimensionali, e ogni cavità è circondata da tre sfere. Il numero di cavità è doppio rispetto al numero di sfere, risultando in due cavità per ogni sfera.

Per ottenere il massimo impacchettamento di sfere nello spazio tridimensionale, si collocano successivi strati di sfere sopra a quelli già a massimo impacchettamento. Un secondo strato si posiziona su un primo strato in modo che le sfere del secondo strato occupino metà delle cavità tridimensionali del primo strato. A sua volta, un terzo strato può essere disposto in due modi possibili: occupando le cavità del secondo strato corrispondenti alle sfere del primo strato, o occupando le cavità del secondo strato corrispondenti alle cavità del primo strato.

Esistono due tipi di strutture a massimo impacchettamento che si presentano in natura: la , che mostra strati composti in successione ABABA, e la struttura cubica a facce centrate o cubica compatta, con strati in successione ABCABC.

Questa configurazione è caratterizzata da un ambiente identico per ogni sfera, tanto che nel primo che nel secondo caso le sfere occupano il 74% del volume a disposizione. Il numero di coordinazione in una struttura cristallina è 12, ciò è possibile solo se le particelle hanno le stesse dimensioni e mancano di legami direzionali, rendendola tipica dei metalli.

Idrossidi metallici: solubilità

Idrossidi metallici: solubilità in chimica generale

Gli idrossidi metallici, in particolare quelli dei come il Ca(OH)2 e il Mg(OH)2, sono generalmente poco solubili. Al contrario, gli idrossidi metallici dei metalli alcalini come il NaOH, il KOH e il CsOH sono solubili. La solubilità degli idrossidi metallici dipende dal della soluzione, aumentando a valori bassi di pH.

Per calcolare la massa di Mg(OH)2 che si dissocia in diverse condizioni, bisogna considerare la reazione di equilibrio:

Mg(OH)2(s) ⇄ Mg2+(aq) + 2 OH-(aq)

Nel caso dell’, la solubilità molare dell’ione magnesio è x e quella dell’ione OH- è 2x. La Kps per questo equilibrio è 1.5 ∙ 10-11, da cui x viene calcolato come 1.6 ∙ 10-4 mol/L. Quindi, la massa di idrossido di magnesio che si dissocia in 250 mL di acqua è 0.0023 g.

Per una soluzione a pH = 13, la concentrazione dell’ione OH- è 10-1 M, quindi la solubilità molare dell’idrossido a pH = 13 è 1.5 ∙ 10-9 M. La massa di idrossido di magnesio che si dissocia in 250 mL di tale soluzione risulta essere 2.2 ∙ 10-8 g.

In presenza di un pH = 4, il pH è 10, e la concentrazione dell’ione OH- è 10-10 M. La solubilità molare dell’idrossido a pH = 4 risulta essere 1.5 ∙ 10-9 M, quindi la massa di idrossido di magnesio che si dissocia in 250 mL di tale soluzione è 2.2 ∙ 10-10 g.

Per calcolare il pH di una soluzione satura di idrossido di zinco, la solubilità molare viene calcolata come 2.2 ∙ 10-6 mol/L. La concentrazione dell’ione OH- è 4.4∙10-6 M, quindi il pH è 8.6. Secondo il , una variazione di pH sposterà la posizione di equilibrio.

Infine, per calcolare a quale valore di pH il 78% dello ione magnesio si trova precipitata come idrossido di magnesio in acqua di mare, si considera la concentrazione residua dello ione. Si ottiene quindi un pH di 9.6 per questa soluzione.

Questi evidenziano l’importanza del pH nella solubilità degli idrossidi metallici e come sia necessario considerare questo fattore nei calcoli chimici.

Equilibrio termico e rilassamento

L’equilibrio termico e il processo di rilassamento negli stati energetici

Nell’equilibrio termico, il numero di sistemi che occupano i livelli energetici segue la distribuzione di Boltzmann, che rappresenta la distribuzione più probabile. Questa distribuzione è determinata dal rapporto tra il numero di sistemi in uno stato specifico e i fattori di molteplicità dei due stati, moltiplicato per l’esponenziale della differenza di energia diviso per il prodotto della costante di Boltzmann e la temperatura in gradi Kelvin.

A temperatura ambiente, la probabilità di transizione varia in base alla differenza di energia tra i livelli. Ad esempio, per i livelli di risonanza magnetica nucleare, la probabilità è 0.9999, mentre per i è 0.9952 e per quelli vibrazionali è 0.612. I mostrano una probabilità di 2.0 ∙ 10^-21.

Popolazione degli stati elettronici

Gli stati elettronici eccitati non sono termicamente popolati, ma i livelli vibrazionali più bassi associati allo stato elettronico fondamentale lo sono per qualche per cento. Al contrario, un gran numero di livelli rotazionali e quelli di risonanza magnetica nucleare e di spin elettronico associati al livello vibrazionale fondamentale risultano più che discretamente popolati.

e rilassamento

La probabilità di transizione tra gli stati dipende dalla differenza di popolazione tra i due livelli energetici e dalle rispettive probabilità di transizione. La velocità di ritorno alle condizioni di equilibrio termico è proporzionale allo spostamento rispetto all’equilibrio, e il di rilassamento è una misura della velocità con cui lo stato eccitato può tornare all’equilibrio.

La differenza tra l’eccesso di popolazione e il suo valore all’equilibrio raggiunge il valore massimo immediatamente dopo l’inizio della perturbazione elettromagnetica e si riduce esponenzialmente nel tempo, con una costante di τ1 = 1 / (2P).

In conclusione, l’equilibrio termico e il rilassamento negli stati energetici sono processi fondamentali, con la distribuzione di Boltzmann e la probabilità di transizione che giocano un ruolo cruciale nella comprensione del comportamento dei sistemi in equilibrio termico e in rilassamento.

Processi fotochimici secondari

Processi Fotochimici Secondari

I processi fotochimici coinvolgono lo studio delle reazioni chimiche, isomerizzazioni e comportamento fisico a seguito dell’influenza di luce ultravioletta o visibile (U.V.).

Raramente è possibile condurre un’analisi dettagliata delle trasformazioni che una molecola eccitata subisce. Può seguire diverse trasformazioni che comportano il ritorno al suo stato fondamentale con emissione di energia radiante o la dissipazione dell’eccesso di energia, oppure può dare luogo a trasformazioni chimiche.

Secondo la teoria degli molecolari, i processi associati all’eccitazione di una molecola che nel suo stato fondamentale possiede due coppie di elettroni appaiati possono portare alla promozione di un elettrone da un orbitale molecolare legante a un orbitale molecolare antilegante.

La luce necessaria per i processi fotochimici può provenire da molte fonti. Il chimico Giacomo Luigi Ciamician, considerato il padre della fotochimica, utilizzò la luce solare per gran parte delle sue ricerche presso l’Università di Bologna all’inizio del 1900.

A seconda dei composti studiati e delle informazioni ricercate per studiare i processi fotochimici, si utilizzano diverse sorgenti luminose, come lampade ad incandescenza, lampade al mercurio a bassa, e alta pressione, sorgenti flash e laser ad alta intensità.

I processi fotochimici iniziano con l’assorbimento di un quanto di luce da parte di un cromoforo, seguito da una conseguente eccitazione elettronica.

Singoletto e Tripletto

Vi è la possibilità di transizione da uno stato di singoletto ottenuto direttamente dall’eccitazione a uno stato di tripletto secondo uno schema specifico. Uno stato di singoletto è caratterizzato dal fatto che l’elettrone eccitato è ancora appaiato con l’elettrone rimasto nell’orbitale di origine, mentre uno stato di tripletto è caratterizzato dal fatto che l’elettrone eccitato non è più appaiato con l’elettrone rimasto nell’orbitale di origine.

Probabilità di Transizione

La può essere calcolata applicando i metodi della meccanica quantistica. Essa dipende dalla differenza di energia tra i due strati e da un termine che riflette l’interazione spin-orbita che dà origine alla transizione.

La vita media di uno stato di tripletto è significativamente più elevata di quella di uno stato di singoletto, giustificando l’importante ruolo che gli stati di tripletto hanno nella fotochimica.

Stato di Singoletto

Lo stato di singoletto eccitato può seguire diverse alternative, tra cui il decadimento allo stato fondamentale senza radiazione, il ritorno allo stato fondamentale con emissione di radiazione, l’interconversione a uno stato di tripletto eccitato, il ritorno da uno stato di tripletto eccitato allo stato fondamentale, la trasformazione chimica e la disattivazione dello stato di tripletto a causa di un trasferimento di energia con un’altra molecola.

In conclusione, i processi fotochimici sono un campo complesso e affascinante, in cui le molecole eccitate possono subire molteplici trasformazioni con implicazioni sia fisiche che chimiche. La comprensione di tali processi è fondamentale per lo sviluppo di nuove tecnologie e applicazioni nel campo della chimica e della fotofisica.

Energia in un sistema biatomico

Energia in un sistema biatomico e le sue variazioni

Nel contesto di un sistema biatomico, l’energia a distanza infinita è la somma delle energie dei due atomi, in assenza di qualsiasi forza agente. Tuttavia, l’energia del sistema subisce variazioni significative quando i due atomi interagiscono tra loro a distanze finite.

All’energia potenziale del sistema biatomico contribuiscono le attrazioni elettrostatiche tra i nuclei positivi e gli elettroni negativi, nonché le repulsioni tra le nuvole elettroniche e i nuclei. È altresì importante considerare l’energia cinetica degli elettroni e dei nuclei, la cui variazione rispetto al caso di atomi isolati ha un impatto significativo sull’energia complessiva del sistema.

La massa dei nuclei M è molto superiore a quella degli elettroni m (M/m circa 2000), dunque i nuclei si muovono molto più lentamente degli elettroni. Di conseguenza, l’energia totale del sistema risente minimamente del moto lento dei nuclei, permettendo di trascurare il contributo dell’energia cinetica dei nuclei in prima approssimazione. Pertanto, l’energia del sistema A-A può essere espressa in funzione della distanza tra i due nuclei.

L’energia del sistema biatomico è determinata dall’energia degli elettroni nel campo di potenziale creato dai nuclei fissi, sommata all’energia di repulsione tra i nuclei. La rappresentazione di questa interazione è evidenziata nella curva US, che indica le varie fasi dell’interazione tra gli atomi.

La curva US evidenzia tre zone significative: la prima rappresenta le grandi distanze caratterizzate da deboli interazioni, la seconda corrisponde alla , mentre la terza coincide con le brevi distanze internucleari con forti . In quest’ultima fase, l’energia del sistema sale rapidamente, raggiungendo un picco quando i nuclei si trovano a distanza nulla.

La curva US mostra un minimo in corrispondenza di una determinata ro, che rappresenta una posizione di equilibrio intorno alla quale i nuclei possono oscillare. L’eventuale spostamento dei nuclei da questa posizione comporta un aumento dell’energia del sistema, dando origine a forze che tendono a riportare il sistema alla condizione di minima energia. Le oscillazioni dei nuclei vengono definite vibrazioni molecolari, contribuendo in maniera trascurabile all’energia totale del sistema.

La curva UA, invece, rappresenta una situazione in cui l’energia del sistema è sempre maggiore di quella degli atomi separati. In questo caso, l’energia attrattiva è così ridotta da essere superata, anche alle grandi distanze, da quella repulsiva. Se l’energia del sistema è descritta dalla curva US, si ha la formazione di un aggregato stabile A2, accompagnato da un guadagno energetico. Invece, se l’energia del sistema è rappresentata dalla curva UA, non si forma un aggregato stabile poiché l’energia del sistema è costantemente maggiore dell’energia dei due atomi isolati.

Da un punto di vista generale, queste considerazioni sono valide, anche nel caso in cui si considerassero due atomi diversi (A-B). Sostanzialmente, il ragionamento rimarrebbe lo stesso anche per aggregati atomici costituiti da più atomi, sebbene l’energia del sistema debba essere correlata a un numero maggiore di distanze internucleari in casi più complessi, come nel sistema triatomico ABC.

Interazione tra molecole

Interazione tra molecole: forze e polarità

Le , con il loro movimento caotico, possono avvicinarsi e generare reciproca attrazione o repulsione, dando luogo a un’interazione tra molecole.

Se queste collisioni avvengono con la stessa probabilità, non si osserva alcun effetto risultante, é attrattivo né repulsivo. Tuttavia, la probabilità di collisione quando le molecole sono orientate in modo da generare attrazione è leggermente maggiore di quella che porta a una collisione repulsiva, determinando una forza di attrazione risultante, spesso debole, a causa della polarità della molecola.

tra molecole polari

L’energia che deriva da questa forza di attrazione tra due molecole è determinata dalla distanza tra di esse, dal momento dipolare della molecola e dalla temperatura. Questo tipo di forza di attrazione è solo uno dei contributi all’interazione tra le molecole polari.

Le sono invece caratterizzate da un baricentro che coincide con quello delle cariche negative. Tuttavia, quando sono sottoposte a un campo elettrico, la nube elettronica di tali molecole viene deformata, generando una molecola polare con un momento indotto proporzionale all’intensità del campo in cui si trova la molecola. Questa polarizzazione indotta, dipendente dalle dimensioni molecolari e chiamata , contribuisce anch’essa all’energia di attrazione tra le molecole.

Effetti di dispersione e interazioni van der Waals

L’interazione tra due molecole apolari può avvenire attraverso un effetto di dispersione, che comporta la formazione di due dipoli istantanei reciprocamente indotti. Questo tipo di interazione contribuisce significativamente all’energia complessiva di coesione delle molecole apolari.

In conclusione, le forze di interazione tra le molecole, dette forze di van der Waals, sono responsabili in larga misura delle deviazioni dei gas reali dal comportamento ideale. Queste forze, insieme agli altri tipi di interazione descritti, generano la struttura energetica del sistema molecolare.

Momento dipolare di una molecola biatomica

Il concetto di momento dipolare in una molecola biatomica

Il momento dipolare in una molecola biatomica si manifesta quando il baricentro delle cariche positive non coincide con quello delle cariche negative, rendendo la molecola polare e dotata di un momento dipolare. In una molecola AB, ad esempio, se una parziale carica positiva si trova sull’elemento A e una parziale carica negativa su B, la molecola agisce come un dipolo elettrico. Questo dipolo è caratterizzato da un modulo μ = δ ∙d, dove d è la distanza tra le cariche e δ è il valore assoluto della frazione di carica.

Il calcolo del momento dipolare

Se due cariche elettriche di segno opposto sono separate da una distanza unitaria, il risultante è calcolato come μ = 4.8 ∙10^-18 Fr cm. Poiché i momenti dipolari molecolari hanno valori di questo tipo di ordine di grandezza, essi possono essere espressi convenzionalmente in una unità di misura chiamata Debye, definita come 1 D = 1.0 ∙ 10^-18 Fr cm.

Fattori che contribuiscono al momento dipolare

Il momento dipolare di una molecola è il risultato di vari contributi, derivanti dalla distribuzione non simmetrica delle coppie di elettroni di legame e dalle coppie di non legame. Ciò è riconducibile alla diversa degli elementi che costituiscono la molecola e alle dimensioni atomiche differenti.

Esempio con il cloruro di idrogeno

Prendiamo ad esempio il cloruro di idrogeno, che presenta un momento dipolare sperimentale di 1.07 D diretto dall’atomo di idrogeno a quello di cloro. Tale momento può essere considerato come la risultante di tre contributi distinti:

1) L’atomo di cloro ha un’elettronegatività maggiore rispetto a quello di idrogeno, causando una polarizzazione della coppia di elettroni di legame verso di sé.
2) L’atomo di idrogeno ha dimensioni molto minori rispetto a quelle del cloro, con la regione di sovrapposizione degli atomici più vicina al nucleo di idrogeno.
3) Considerando le coppie di elettroni non di legame, queste hanno una distribuzione e una simmetria sferica diversa rispetto agli elettroni del guscio esterno del cloro, dando origine a una separazione di carica e a un momento dipolare diretto.

Il momento dipolare molecolare risultante è di 1.07 D, diretto dal l’atomo di idrogeno a quello di cloro.

pH di sali acidi derivanti da acidi diprotici

Calcolo del dei sali derivanti da

Il calcolo del pH dei sali derivanti da acidi diprotici è un processo complesso a causa dell’equilibrio simultaneo. Vediamo come calcolare il pH dei sali acidi come KHSO3, NaHS, KHCO3, che si dissociano in producendo rispettivamente ioni HSO3, HS, HCO3. Indichiamo con MHA il sale acido e con HA l’anfolita proveniente dalla dissociazione del sale.

Reazioni di equilibrio

In acqua si verificano contemporaneamente i seguenti equilibri: 1) HA + H+ H2A, 2) HA  H+ + A2-, 3) H2O H+ + OH. Da questi equilibri si ottiene l’equazione pH = ½ pKa1 + ½ pKa2, che può essere utile nel calcolo del pH di una soluzione di NaHCO3.

È possibile semplificare ulteriormente la formula del pH se Ka2 non è molto piccolo, arrivando a pH ≈ √ Ka1Ka2C, dove C è la concentrazione analitica del sale MHA. Ad esempio, se abbiamo le costanti delle coppie acido-base CO2/HCO3 con pKa1 = 6.35 e HCO3/CO32- con pKa2 = 10.33, possiamo calcolare il pH di una soluzione 0.1 M di NaHCO3 come pH = 6.35 + 10.33/ 2 = 8.34.

Questi sono i passaggi necessari per ottenere la formula semplificata del pH. L’equazione finale può essere utile nel calcolo pratico del pH dei sali derivanti da acidi diprotici.

Energia di legame. Esercizi svolti

sull’: calcolo delle variazioni di

L’energia di legame rappresenta l’energia richiesta per rompere omoliticamente (in frammenti neutri) un legame covalente. Le energie di legame sono espresse in kJ/mole e rappresentano l’energia di dissociazione di legame quando fornite per specifici legami, o energie medie di legame quando riassumono un dato tipo di legame per vari tipi di composti.

Le Tavole relative all’energia di legame possono essere consultate in diversi libri di testo e manuali. Ad esempio, per rompere 1 mole di cloruro di idrogeno gassoso in idrogeno e cloro elementare, occorrono 432 kJ, pertanto l’energia di dissociazione del legame è di + 432 kJ/mol.

Esercizio 1

a) Assumendo che la reazione di formazione del 2-cloropropano avvenga a temperatura tale che tutte le sostanze si trovino allo stato gassoso, si calcola la variazione di entalpia dalle energie di legame fornite.

b) Quando la reazione è condotta a 298 K, il 2-cloropropano si presenta liquido. La variazione di è +27 kJ/mol. Calcolare la variazione di entalpia della reazione.

Per il punto a) viene valutata l’energia totale per rompere i legami C-H e Cl-Cl e l’energia prodotta per formare i legami C-Cl e H-Cl. La variazione complessiva è calcolata come la differenza tra queste energie.

Per il punto b) considerando la variazione di entalpia di vaporizzazione e formazione del 2-cloropropano, si calcola la variazione complessiva di entalpia.

Esercizio 2

Si calcola la variazione di entalpia di combustione del propano data la reazione di combustione. Viene fatta l’analisi dei legami che si rompono nei reagenti e nei prodotti per calcolare la variazione di entalpia associata alla reazione di combustione del propano.

Alla fine del calcolo, si nota che il valore di ΔH è minore di zero, il che è compatibile con il fatto che la combustione avviene con sviluppo di energia.

La comprensione e la risoluzione di pratici sull’energia di legame sono fondamentali per consolidare la conoscenza di questo concetto in chimica fisica e chimica organica.

Reazioni nucleari: teoria del nucleo composto

Teoria del nucleo composto: le basi delle reazioni nucleari

Le reazioni nucleari sono un processo unico in cui il nucleo di un atomo subisce una trasformazione per formare un altro atomo. Secondo la teoria del nucleo composto avanzata da Bohr nel 1936, le reazioni nucleari avvengono in due fasi distintive. Inizialmente, la particella incidente si fonde con il nucleo bersaglio per formare il nucleo composto, comportando la cessione di energia cinetica e di legame. Durante questo breve periodo, il nucleo composto esiste come un’entità separata, con l’energia distribuita uniformemente tra i nucleoni.

Le particelle cariche come protoni, neutroni o particelle alfa devono superare una barriera elettrostatica per interagire con il nucleo, richiedendo un’energia cinetica sufficiente. Al contrario, i neutroni possono interagire con il nucleo senza superare tale barriera e le reazioni con i neutroni termici sono comuni. Le reazioni con i fotoni gamma sono invece rare poiché non contribuiscono all’ del nucleo.

Dopo la formazione del nucleo composto, segue la sua disintegrazione, che può avvenire in diversi modi a seconda dell’energia disponibile, come l’emissione di nucleoni o raggi gamma. Ogni stato eccitato del nucleo composto è caratterizzato da una vita specifica, mentre la probabilità di disintegrazione è proporzionale all’ampiezza di livello del nucleo.

Ad esempio, durante la reazione tra un atomo di rame e un deuterone si forma un nucleo composto di zinco, e a seconda dell’energia disponibile, il nucleo composto può subire diversi tipi di decadimento, come l’emissione di raggi gamma, neutroni o atomi di , tra gli altri.

Ogni modo di decadimento del nucleo composto è determinato dallo stato del nucleo e la probabilità di disintegrazione è proporzionale all’ampiezza di livello del nucleo. In tal modo, la teoria del nucleo composto fornisce importanti informazioni sulle reazioni nucleari e sui meccanismi di decadimento dei nuclei instabili.

Densità. Esercizi svolti

: risolti

La densità rappresenta il rapporto tra la massa e il volume di una sostanza, e per i gas varia in base alla pressione e alla temperatura. Nel caso dei gas, la densità presenta variazioni significative in relazione alla pressione e alla temperatura ed è espressa comunemente in g/L.

Esercizio 1

Calcolare le dimensioni di un cubo di rame conoscendo la sua massa e la densità del rame.

Per risolvere l’esercizio, convertiamo la massa da chilogrammi a grammi:
massa = 0.630 kg = 630 g

Applicando la formula della densità d = m/V, otteniamo il volume del cubo di rame:
V = 630 g / 8.94 g/cm^3 = 70.5 cm^3

Poiché il volume di un cubo è definito come V = l^3, possiamo calcolare le dimensioni del cubo:
l = ∛V = ∛70.5 = 4.13 cm

Esercizio 2

Determinare la massa di una biglia metallica immersa in olio minerale.

Iniziamo calcolando la densità dell’olio minerale:
massa dell’olio minerale = 159.446 g – 124.966 g = 34.480 g
d = 34.480 g / 40.00 mL = 0.8620 g/mL

Successivamente, calcoliamo il volume dell’olio minerale con la biglia all’interno del cilindro e determiniamo la densità del metallo.

Esercizio 3

Calcolare la massa di un cilindro costituito da una lega di zinco-rame, conosciute le proporzioni dei due metalli e le loro densità.

In questo caso, determiniamo il volume del cilindro utilizzando la formula V = πr^2h e calcoliamo le masse di rame e zinco nella lega. Otteniamo, infine, la massa totale del cilindro.

Esercizio 4

Calcolare la lunghezza di un filo di rame conoscendone la massa e il diametro, e la densità del rame.

Partendo dal volume del filo di rame e utilizzando la formula V = πr^2h, determiniamo la lunghezza del filo.

Esercizio 5

Calcolare la densità di un oggetto immerso in etanolo, noti i cambiamenti di massa nel contenitore.

Mediante le differenze di massa e il volume dell’etanolo fuoriuscito, giungiamo al calcolo della densità dell’oggetto.

Esercizio 6

Calcolare il diametro interno di un tubo di vetro knowing la massa di etanolo necessaria e la densità dell’etanolo.

Utilizzando la formula del volume V = πr^2h, calcoliamo il diametro interno del cilindro di vetro chiuso.

è in caricamento