back to top
Home Blog Pagina 330

Metalli del blocco d: identificazione

Metalli del blocco d: caratteristiche e colori dei composti

I metalli del blocco d appartenenti al 4° periodo includono scandio, titanio, , cromo, , , cobalto, nichel, e . Essi presentano varie configurazioni elettroniche e numeri di ossidazione.

Configurazione e numeri di ossidazione

I numeri di ossidazione degli elementi del blocco d sono diversi. Ad esempio, il cromo può presentare numerosi valori di ossidazione, tra cui +1, +2, +3, +4, +5 e +6, mentre il manganese può avere valori da +2 a +7.

Colori degli acquoioni

I composti contenenti questi metalli, disciolti in acqua, possono formare complessi colorati. Ad esempio, il [Fe(H2O)6]3+ appare giallo-marrone, mentre il [Ni(H2O)6]3+ e il [Cu(H2O)6]2+ appaiono verdi e blu, rispettivamente.

Colore degli idrossidi

Aggiungendo idrossido di sodio a una soluzione contenente questi ioni si possono formare idrossidi colorati come il Cr(OH)3 verde, il Co(OH)2 rosa e il Fe(OH)3 marrone.

Complessi con cloruro e ammoniaca

Con l’aggiunta di acido cloridrico concentrato si formano complessi colorati come il [FeCl4]2- verde e il [CuCl3]2- giallo. Inoltre, alcuni idrossidi possono formare complessi colorati con ammoniaca, ad esempio [Co(NH3)6]2+ (giallo) e [Ni(NH3)6]2+ (blu).

In conclusione, i metalli del blocco d presentano una varietà di colori nei loro composti che possono fornire utili informazioni sulla loro natura chimica.

Scoperta una nuova forma di DDT

Una Nuova Cristallina di Scoperta da un Team di Scienziati

Il DDT, acronimo di Dicloro-Difenil-Tricloroetano, è un insetticida organico di sintesi, appartenente alla classe degli idrocarburi alogenati aromatici. Fu scoperto dal chimico austriaco Othmar Zeidler nel 1873 e successivamente ottenne rilevanza come agente insetticida nel 1939, grazie alla scoperta del chimico svizzero Paul Hermann Müller, per il suo efficace contrasto alla malaria.

Inizialmente, il DDT trovò largo impiego negli Stati Uniti per difendere le truppe dalle malattie tropicali e in Italia per contrastare la malaria. Tuttavia, sin dai suoi esordi, emersero preoccupazioni riguardo all’uso massiccio di questa sostanza e ai suoi possibili effetti a lungo termine. La comunità scientifica manifestò inoltre la preoccupazione per lo sviluppo di resistenza da parte degli insetti dannosi e per il danno inflitto alle specie utili.

Il DDT fu vietato negli Stati Uniti nel 1972 e in Italia nel 1978. L’Unione Europea etichettò il DDT con la frase di rischio R40, mentre l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro lo classificò come una sostanza con limitati indizi di cancerogenicità. Pertanto, l’uso di questo insetticida è stato oggetto di dibattito scientifico per decenni.

Recentemente, un team di scienziati della New York University ha fatto una scoperta sorprendente: la presenza di una nuova forma cristallina del DDT. Questa forma, denominata forma II, è stata dimostrata essere molto più efficace della forma I, precedentemente conosciuta, nell’azione contro gli insetti. I test condotti hanno evidenziato che la forma II richiede una quantità notevolmente minore di DDT, riducendo così l’impatto ambientale e il danno all’ecosistema.

Di conseguenza, questa scoperta offre nuove prospettive per l’utilizzo del DDT nella lotta contro la malaria, una malattia diffusa nelle regioni tropicali del mondo che nel 2015 ha causato oltre 438.000 morti. La nuova forma cristallina di DDT potrebbe rappresentare un passo avanti significativo nella lotta contro questa malattia devastante.

Analisi per combustione. Esercizi

Determinazione della formula empirica tramite per combustione

Uno dei metodi classici per determinare la formula empirica dei composti sfrutta la loro combustione. Durante il processo di combustione, alcuni elementi come carbonio, idrogeno, azoto o zolfo producono i rispettivi ossidi, i quali possono essere determinati quantitativamente per stabilire le percentuali in degli elementi presenti nel composto. Conoscendo la massa molare del composto ottenibile, è possibile determinare anche la formula molecolare.

di calcolo della tramite analisi per combustione

Uno dei metodi utilizzati per calcolare la formula minima di un composto tramite analisi per combustione consiste nel valutare la quantità di ossidi formati durante la reazione. Qui di seguito sono riportati diversi esercizi svolti per determinare la formula minima di vari composti mediante l’analisi per combustione.

Esercizio 1

La combustione di un composto contenente carbonio, idrogeno, cloro e ossigeno ha prodotto 58.57 g di CO2 e 14.98 g di H2. La determinazione sperimentale ha rilevato che un’aliquota di 75.00 g del composto contiene 22.06 g di cloro. Utilizzando questi dati, è possibile determinare la formula minima del composto.

Le moli di CO2 risultano essere 1.331, mentre le moli di H2 sono 1.664. Successivamente, calcolando le moli di cloro e ossigeno, è possibile determinare il rapporto molare di ciascun elemento e quindi la formula minima del composto, che risulta essere C4H5ClO2.

Esercizio 2

Altra soluzione per determinare la formula minima di un composto, consiste nell’analisi dei ottenuti tramite la combustione di un campione. In questo caso, è stato utilizzato un campione contenente carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Dopo la combustione, sono stati ottenuti 4.36 g di CO2 e 0.892 g di H2. Inoltre, da altri campioni sono stati ottenuti 2.60 g di SO3 e 2.80 g di HNO3. Utilizzando questi dati, è stata determinata la formula minima del composto, che risulta essere C5H5SNO.

Esercizio 3

Nell’ultimo esercizio, è stata fornita la massa di ossidi formati dalla combustione di un composto contenente solo azoto e idrogeno. Dopo aver determinato le moli di tali ossidi, è stato possibile calcolare la formula minima e molecolare del composto che corrisponde a NH2 e N2H4 rispettivamente.

Concludendo, l’analisi per combustione rappresenta un metodo fondamentale per determinare la composizione dei composti, calcolarne la formula minima e molecolare, e comprendere la proporzione degli elementi presenti all’interno delle molecole.

Elettrone: scoperta

0

La scoperta dell’elettrone: da Geissler a Millikan


L’elettrone, una particella subatomica con carica negativa, è uno dei componenti fondamentali dell’atomo. La sua scoperta, lungo un percorso che coinvolge le ricerche di diversi scienziati, ha contribuito in modo significativo alla comprensione della natura della materia.

Le scoperte di Geissler e Hittorf

Nel 1858, Heinrich Geissler saldò due lamine di metallo in un tubo di vetro a bassa pressione, notando che l’applicazione di corrente ad alto potenziale induceva una scarica elettrica all’interno del tubo, colorata in base al gas contenuto. A pressione ridotta, il tubo si riempiva di una luminosità diffusa, il cui colore dipendeva dal gas presente. Successivamente, nel 1869, Johann Hittorf suggerì che la osservata fosse causata da una corrente di raggi emessi dal catodo, i cosiddetti ““.

I contributi di Crookes e Thomson

Sir William Crookes scoprì che i raggi catodici potevano essere deviati da un magnete, identificandoli come particelle cariche elettricamente. Ulteriori studi condussero Crookes a concludere che si trattava di corpuscoli di materia, con una notevole velocità e una carica negativa. Joseph John Thomson, proseguendo le ricerche raggi catodici, calcolò nel 1896 il rapporto tra carica e di tali corpuscoli, giungendo alla conclusione che tutta la materia è costituita da particelle elementari cariche di elettricità negativa, che egli chiamò “elettroni”.

L’esperimento di Millikan

Nel 1909, Robert Andrews Millikan sviluppò un metodo per misurare la carica elettrica dell’elettrone. Utilizzando goccioline d’olio caricate e sottoposte a un campo elettrico, Millikan determinò il valore numerico della carica elettrica elementare, che risultò essere 1,6021892 · 10^-19 C. Questo valore è considerato l’unità fondamentale di elettricità e rappresenta la carica elettrica dell’elettrone. La scoperta dell’elettrone ha aperto la strada a numerosi sviluppi nella fisica e nella tecnologia, influenzando profondamente il modo in cui comprendiamo e interagiamo con il nostro mondo a livello atomico.

Acidi e basi secondo Lewis

Acidi e basi secondo Lewis: concetto e reazioni

Secondo la teoria di Lewis, gli acidi sono sostanze in grado di accettare un doppietto elettronico proveniente da una base, mentre le basi di Lewis sono quelle in grado di donare un doppietto elettronico a un acido.

Reazione di Lewis

Un esempio classico di reazione acido-base di Lewis avviene tra l’ammoniaca (NH3) e il trifluoruro di boro (BF3), la quale porta alla formazione del composto NH3∙ BF3.

Struttura molecolare e

L’ammoniaca ha una struttura piramidale, mentre il trifluoruro di boro ha una struttura trigonale. Durante la reazione, si osserva una riorganizzazione degli orbitali del boro, portando alla formazione di addotti acido-base.

di basi di Lewis

Le basi di Lewis possono essere sia monatomiche che poliatomiche, tra cui spiccano le basi azotate come l’ammoniaca e le ammine, le basi ossigenate come l’acetone e l’etere etilico, oltre a diverse altre specie chimiche.

Ampliamento della teoria di Lewis

Un altro esempio interessante è il comportamento del tetrafluoruro di silicio (SiF4) come acido di Lewis, accettando due doppietti da due ioni F per dare l’ SiF62-.

Conclusione

La teoria di Lewis è in grado di interpretare il comportamento acido-base di numerose sostanze in modo più dettagliato rispetto ad altre teorie, come quella di Brønsted-Lowry. Questo tipo di approccio fornisce una prospettiva approfondita sulle reazioni chimiche e sulle interazioni molecolari.

Batterie litio-ferro fosfato

Batterie al fosfato: un’ delle loro caratteristiche e potenziali applicazioni

Le batterie ricaricabili stanno sfruttando il litio-ferro fosfato (LFP) per la sua stabilità, durata e sicurezza, che lo rendono uno dei materiali più promettenti in questo settore. Queste batterie stanno acquisendo importanza negli ambiti dell’ e dei trasporti, soprattutto per i veicoli elettrici.

Una recente ricerca condotta dal MIT ha rivelato aspetti insoliti nel comportamento di carica e scarica delle batterie al litio-ferro fosfato. I risultati hanno mostrato che il materiale si comporta in modo diverso da quanto inizialmente ipotizzato, aprendo la strada alla scoperta e allo sviluppo di nuove batterie.

Inizialmente si pensava che tali batterie fossero adatte solo per applicazioni a bassa potenza. Tuttavia, nuove scoperte hanno dimostrato che le prestazioni possono essere notevolmente migliorate utilizzando nanoparticelle. Questo approccio ha reso il tipo di batteria molto più fruibile, ma i motivi del successo delle nanoparticelle di LiFePO4 rimanevano poco chiari.

La recente ricerca ha rivelato che il materiale non subisce la separazione delle fasi sotto determinate condizioni di corrente, fenomeno precedentemente ritenuto inerente al basso rendimento del materiale. La teoria di Bazant ha previsto che, oltre una corrente critica, la reazione è così veloce da impedire la separazione in fasi, spiegando così le eccezionali prestazioni delle batterie ricaricabili.

Studiando le variazioni del materiale durante l’uso, sia durante la carica che la scarica, i ricercatori hanno compreso come le sue proprietà cambino nel , fornendo approfondimenti fondamentali per migliorarne le prestazioni e per lo studio di nuovi tipi di batterie.

La scoperta di bande di materiale arricchito e impoverito che si muovono attraverso le particelle durante la carica a bassa corrente ha contribuito a comprendere meglio il comportamento del litio-ferro fosfato. Le zone ricche e povere di litio tendono a formare bande all’interno del materiale, fornendo una spiegazione per la durata eccezionale di queste batterie.

Questo nuovo approccio di studio, che si concentra sul comportamento delle nanoparticelle, potrebbe contribuire allo sviluppo di batterie al litio con applicazioni più ampie e prestazioni migliorate. La ricerca potrebbe rappresentare un importante contributo nello sviluppo delle batterie al litio e aprire nuove prospettive nel settore.

Lieviti chimici o baking powder

Lievito chimico: caratteristiche, composizione e dosaggio

I lieviti chimici, noti anche come baking powder, sono sostanze costituite da un acido debole o da una base debole che aumentano il volume alleggerendo la consistenza dei da forno.

La lievitazione è un processo cruciale che conferisce sofficità e morbidezza agli impasti a base di farina, zucchero, , burro e altri ingredienti cotti in forno. In passato, il lievito madre ricavato dalla fermentazione di acqua e farina veniva impiegato per la preparazione di come brioche e babà, nonché per impasti per pizze. Tuttavia, il lievito madre è stato progressivamente sostituito dal lievito di birra e successivamente dal lievito di birra liofilizzato, più pratico e con una conservazione più lunga.

Prima dell’utilizzo diffuso dei lieviti chimici, la preparazione del Pan di Spagna richiedeva lunghe fasi di montaggio di tuorli e chiare d’uovo per incorporare aria all’impasto, conferendogli leggerezza e sofficità. Negli ultimi decenni, la crescente mancanza di ha portato all’uso sempre più diffuso dei lieviti chimici, che consentono di ottenere rapidamente e facilmente dolci e prodotti da forno, rappresentando un’alternativa più salutare alle merendine industriali.

Composizione e reazione

I lieviti chimici si presentano in polvere e possono essere preparati in casa mescolando potassio tartrato acido (cremor tartaro) e bicarbonato di sodio. Alcune marche di prodotti dolciari producono lieviti costituiti da carbonato acido di sodio e altre sostanze stabilizzanti, amido di mais e aromi. Questi lieviti sono costituiti da un sale basico e uno o più sali acidi che, in presenza di acqua o calore, si decompongono, formando biossido di carbonio che consente all’impasto di lievitare.

Dosaggio e reazioni durante la cottura

Il dosaggio dei lieviti chimici è di fondamentale importanza, in quanto un eccesso di lievito non reagito potrebbe alterare il sapore finale della preparazione. Durante la cottura, i lieviti chimici liberano biossido di carbonio, che contribuisce all’aumento del volume dell’impasto. È essenziale non aprire il forno durante la cottura per evitare un rapido raffreddamento dell’impasto non ancora solidificato, che potrebbe comprometterne la lievitazione.

Gli agenti lievitanti presenti nel lievito chimico sono generalmente innocui e vengono utilizzati nel settore alimentare per coloro che hanno intolleranze ad altri tipi di lievito. I lieviti chimici consentono quindi di preparare facilmente e rapidamente prodotti da forno di alta qualità, offrendo un’alternativa salutare alle preparazioni industriali.

Chimica nucleare: e le reazioni che cambiano la natura del nucleo

Chimica nucleare e le reazioni che modificano il nucleo atomico

La chimica nucleare è una branca della chimica che studia le reazioni che alterano la natura del nucleo atomico. Attraverso la comprensione di tali reazioni, è possibile identificare i meccanismi e le caratteristiche dei decadimenti radioattivi. Le applicazioni principali di questa disciplina spaziano dal campo medico alla produzione di energia, e alla protezione dell’ambiente. La chimica nucleare si concentra anche sullo studio delle operazioni coinvolte nella produzione di combustibili nucleari.

I

sono gli elementi di cui si conosce il numero atomico Z, il numero di A e quindi anche il numero di protoni (A-Z). Gli

isotopi

sono due nuclidi di uno stesso elemento con lo stesso numero atomico ma diverso numero di massa. La stabilità di un nucleo è legata alla sua energia nucleare di , e questa energia si manifesta come difetto di massa calcolato attraverso la differenza tra la massa ottenuta sommando i nucleoni e la massa nucleare calcolata sperimentalmente.

Il

radioattivo

avviene con l’emissione di diverse radiazioni, tra cui i raggi alfa, i raggi beta e i raggi gamma. La stabilità di un nucleo è correlata alla sua propensione a emettere radiazioni e dipende dal rapporto tra il numero di neutroni e il numero di protoni.

I diversi tipi di decadimento, come il decadimento alfa, il decadimento beta-meno, il decadimento beta-più e la cattura di un elettrone, portano a diverse trasformazioni dei nuclidi. L’energia svolta durante tali reazioni può essere calcolata in base alla relazione di Einstein E=mc^2.

Questo campo di studio presenta molteplici applicazioni sia pratiche che teoriche, aprendo la strada a diversi e problemi che richiedono competenze e conoscenze specifiche. Il lavoro della chimica nucleare è vitale per molteplici settori, dall’energia alla medicina, e offre spunti interessanti per la comprensione e l’innovazione in vari ambiti scientifici.

Acidi deboli e basi deboli

Acidi e : caratteristiche e

Gli si caratterizzano per la loro dissociazione incompleta in acqua e per la creazione di un equilibrio reattivo, espresso dalla K_a. Tale costante definisce la dissociazione dell’acido debolmente monoprotico HA mediante l’equazione K_a = [H^+][A^-] / [HA].

Acidi diprotici e triprotici sono rispettivamente acidi che si dissociano secondo due e tre reazioni di equilibrio, ciascuna caratterizzata da una costante di equilibrio K_a1 e K_a2 per gli acidi diprotici e K_a1, K_a2 e K_a3 per gli acidi triprotici.

Esercizi sugli acidi:

È possibile calcolare le concentrazioni delle specie all’equilibrio e il pH di una soluzione di HBrO 0.260 M conoscendo che K_a vale 2.06 · 10^-9, mentre, per una soluzione di H_2S 0.10 M sapendo che K_a1 = 1.1 · 10^-7 e K_a2 = 1 · 10^-14, si possono calcolare le concentrazioni di tutte le specie all’equilibrio e il pH.

Le basi deboli, come NH_3, si dissociano solo parzialmente nei loro ioni, seguendo una reazione di equilibrio regolata dalla costante K_b. Un esempio è la reazione di dissociazione di NH_3: NH_3 + H_2O ⇄ NH_4^+ + OH^-, regolata da K_b = [NH_4^+][OH^-] / [NH_3].

Esercizi sulle basi:

Calcolare il pH di una soluzione 0.100 M di NH_3 sapendo che K_b = 1.8·10^-5 e la concentrazione iniziale di NH_3 se si vuole ottenere una soluzione a pH = 12.00, sono di problemi da risolvere. Inoltre, calcolare la K_b della base debole dietilammina (C_2H_5)_2NH, conoscendo che una soluzione 0.500 M ha un pH pari a 12.33, è un ulteriore quesito da valutare.

Basicità o acidità di una soluzione ovvero il pH

Il concetto di pH in chimica: cosa rappresenta e come calcolarlo

La basicità o l’acidità di una soluzione è strettamente correlata alla presenza di ioni OH- o H3O+ all’interno di essa. L’acqua pura si dissocia secondo un preciso equilibrio, regolato dalla K_w, che vale 1.0 · 10^-14. Questo porta a una relazione in cui [H3O+] = [OH-] = 10^-7 M.

Il concetto di pH, per indicare il “potenziale dello ione idrogeno”, è stato introdotto nel 1909 dal biochimico danese Søren Sørensen. Egli lo definì come il valore negativo del logaritmo di [H3O+]. In modo analogo, per definire la basicità si utilizza il .

Nel calcolare il pH di una soluzione, ad esempio in una soluzione di HCl 0.0025 M, si ottiene [H3O+] = 2.5 · 10^-3 M, e quindi un pH di 2.60. Al contrario, per determinare [H3O+] corrispondente ad un certo valore di pH, ad esempio pH = 4.50, si può ricavare [H3O+] = 3.2 · 10^-5.

Si può anche definire la grandezza pOH come il valore negativo del logaritmo di [OH-], introducendo il simbolo pKw per indicare il logaritmo dell’espressione di Kw. Utilizzando queste relazioni, si ottiene pKw = pH + pOH = 14.00.

Nell’acqua pura e in tutte le soluzioni acquose con pH = 7.00 si parla di pH neutro. Se il pH è minore di 7.00, la soluzione è definita come acida, mentre se è superiore a 7.00, la soluzione è considerata basica o alcalina.

Questo concetto di pH ha numerose applicazioni pratiche nei diversi campi della chimica, dalla biologia alla chimica industriale. La comprensione e la misurazione del pH sono di fondamentale importanza nella rilevazione e nel controllo di processi chimici, e nella comprensione dei fenomeni biologici e ambientali. Se vuoi saperne di più sulla definizione e le applicazioni del pH, visita il nostro link.

Con questa trattazione, è possibile capire meglio il significato e l’applicazione pratica del pH in diversi campi della chimica. La misurazione e la comprensione del pH sono altamente rilevanti in vari contesti, dalla ricerca scientifica all’industria e all’ambiente. Se vuoi esplorare ulteriormente il tema del pH e dell’acidità, visita il nostro sito per saperne di più.

Un cuore d’oro: nuovi materiali per gli infartuati

Nuovi Materiali per la Riparazione Cardiaca: Un’Innovativa Scoperta

Un gruppo di studiosi del MIT ha sviluppato capaci “riparatori” cardiaci costituiti da minuscoli , che potrebbero essere impiegati per creare frammenti di tessuto le cui cellule replicano le dinamiche del muscolo cardiaco. Questa nuova tecnologia utilizza dispersi tra le cellule cardiache cresciute in vitro, offrendo un notevole potenziale per migliorare il funzionamento del cuore danneggiato, con prospettive promettenti per la riparazione dei tessuti danneggiati in caso di infarto.

Per superare le sfide legate alle prestazioni del cuore danneggiato, i ricercatori si sono avvalsi di una metodologia innovativa. Gli scienziati Timko e Dvir hanno unito le proprie esperienze, sfruttando la conoscenza dei nanofili semiconduttori e dei tessuti cardiaci rispettivamente. Grazie a ricerche approfondite, sono riusciti a sviluppare un materiale che facilita il passaggio dei segnali elettrici attraverso il tessuto.

Il team ha utilizzato l’alginato come materiale di base, una sostanza organica comunemente impiegata per questo scopo, mescolandolo con filamenti d’ per creare una struttura composita con miliardi di microstrutture metalliche. Successivamente, le cellule sono state impiantate nel composito oro-alginato e la conduttività del tessuto ottenuto è stata testata e confrontata con quella del tessuto costituito solo da alginato.

Poiché i segnali all’interno e tra le cellule sono trasportati dagli ioni calcio, i ricercatori hanno analizzato l’intensità dei segnali tramite un rivelatore di ioni Ca2+ e hanno esaminato la struttura al microscopio. È emerso che la conduzione dei segnali risultava essere tre ordini di grandezza maggiore rispetto a quella riscontrata nelle strutture tradizionali.

I ricercatori prevedono di continuare le ricerche in vivo, convinti che questa scoperta possa aprire nuove opportunità per i pazienti affetti da malattie cardiache.

L’autoionizzazione dell’acqua

dell’Acqua e Natura dell’

L’autoionizzazione dell’acqua è un processo chimico in cui due molecole di acqua reagiscono per formare uno ione H3O+ e uno ione OH-. Nonostante la purezza, l’acqua ha una bassa concentrazione di ioni, rilevabile attraverso misurazioni di conduttività elettrica, e dà luogo all’autoionizzazione.

Questa reazione può essere interpretata come il risultato di alcune molecole d’acqua che agiscono come donatori di protoni e altre come accettori. La formazione degli ioni idronio e idrossido avviene in seguito alla reazione.

Equilibrio

La reazione è reversibile, con l’inversione della reazione che ritrasforma H3O+ in OH-. L’equilibrio tra le due forme è spostato verso la sinistra.

L’espressione della , K, è rappresentata da [H3O+][OH-] e a 25 °C in acqua pura, [H3O+] = [OH-] = 1.0 · 10-7 M. La costante di equilibrio per la reazione di autoionizzazione dell’acqua viene detta dell’acqua ed indicata dal simbolo K. La sua espressione è K = 1.0 ·10-14, il che si applica a tutte le soluzioni acquose, non solo all’acqua pura.

Natura dello ione Idronio

Considerando che lo ione H+ è di dimensioni molto ridotte e con concentrazione elevata di carica positiva, è probabile che si leghi a centri di carica negativa. Questo avviene quando l’ione H+ si lega ad una coppia solitaria di elettroni di un atomo di O dell’H2O.

In passato, si riteneva che lo ione idronio, H3O+, fosse uno di una serie di protoni idratati. Tuttavia, evidenze sperimentali hanno dimostrato l’esistenza di H3O+, non solo in soluzione acquosa ma anche allo stato gassoso e nei solidi. L’attuale concezione dello ione idronio in soluzione acquosa è quella di un cluster contenente l’ione H3O+ centrale circondato da molecole d’acqua.

è in caricamento