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Processi fotochimici secondari

Processi Fotochimici Secondari

I processi fotochimici coinvolgono lo studio delle chimiche, isomerizzazioni e comportamento fisico a seguito dell’influenza di luce ultravioletta o visibile (U.V.).

Raramente è possibile condurre un’analisi dettagliata delle trasformazioni che una molecola eccitata subisce. Può seguire diverse trasformazioni che comportano il ritorno al suo stato fondamentale con emissione di radiante o la dissipazione dell’eccesso di energia, oppure può dare luogo a trasformazioni chimiche.

Secondo la teoria degli orbitali molecolari, i processi associati all’eccitazione di una molecola che nel suo stato fondamentale possiede due coppie di elettroni appaiati possono portare alla promozione di un elettrone da un orbitale molecolare legante a un orbitale molecolare antilegante.

La luce necessaria per i processi fotochimici può provenire da molte fonti. Il chimico Giacomo Luigi Ciamician, considerato il padre della fotochimica, utilizzò la luce solare per gran parte delle sue ricerche presso l’Università di Bologna all’inizio del 1900.

A seconda dei composti studiati e delle informazioni ricercate per studiare i processi fotochimici, si utilizzano diverse sorgenti luminose, come lampade ad incandescenza, lampade al mercurio a bassa, media e alta pressione, sorgenti flash e ad alta intensità.

I processi fotochimici iniziano con l’assorbimento di un quanto di luce da parte di un cromoforo, seguito da una conseguente eccitazione elettronica.

Singoletto e Tripletto

Vi è la possibilità di transizione da uno stato di singoletto ottenuto direttamente dall’eccitazione a uno stato di tripletto secondo uno schema specifico. Uno stato di singoletto è caratterizzato dal fatto che l’elettrone eccitato è ancora appaiato con l’elettrone rimasto nell’orbitale di origine, mentre uno stato di tripletto è caratterizzato dal fatto che l’elettrone eccitato non è più appaiato con l’elettrone rimasto nell’orbitale di origine.

Probabilità di Transizione

La probabilità della transizione può essere calcolata applicando i metodi della meccanica quantistica. Essa dipende dalla differenza di energia tra i due strati e da un termine che riflette l’interazione spin-orbita che dà origine alla transizione.

La vita media di uno stato di tripletto è significativamente più elevata di quella di uno stato di singoletto, giustificando l’importante ruolo che gli stati di tripletto hanno nella fotochimica.

Stato di Singoletto

Lo stato di singoletto eccitato può seguire diverse alternative, tra cui il decadimento allo stato fondamentale senza radiazione, il ritorno allo stato fondamentale con emissione di radiazione, l’interconversione a uno stato di tripletto eccitato, il ritorno da uno stato di tripletto eccitato allo stato fondamentale, la trasformazione e la disattivazione dello stato di tripletto a causa di un trasferimento di energia con un’altra molecola.

In conclusione, i processi fotochimici sono un campo complesso e affascinante, in cui le eccitate possono subire molteplici trasformazioni con implicazioni sia fisiche che chimiche. La comprensione di tali processi è fondamentale per lo sviluppo di nuove tecnologie e applicazioni nel campo della chimica e della fotofisica.

Energia in un sistema biatomico

in un sistema biatomico e le sue variazioni

Nel contesto di un sistema biatomico, l’energia a distanza infinita è la somma delle energie dei due atomi, in assenza di qualsiasi forza agente. Tuttavia, l’energia del sistema subisce variazioni significative quando i due atomi interagiscono tra loro a distanze finite.

All’energia potenziale del sistema biatomico contribuiscono le attrazioni elettrostatiche tra i nuclei positivi e gli elettroni negativi, nonché le repulsioni tra le nuvole elettroniche e i nuclei. È altresì importante considerare l’energia cinetica degli elettroni e dei nuclei, la cui variazione rispetto al caso di atomi isolati ha un impatto significativo sull’energia complessiva del sistema.

La massa dei nuclei M è molto superiore a quella degli elettroni m (M/m circa 2000), dunque i nuclei si muovono molto più lentamente degli elettroni. Di conseguenza, l’energia totale del sistema risente minimamente del moto lento dei nuclei, permettendo di trascurare il contributo dell’energia cinetica dei nuclei in prima approssimazione. Pertanto, l’energia del sistema A-A può essere espressa in funzione della distanza tra i due nuclei.

L’energia del sistema biatomico è determinata dall’energia degli elettroni nel campo di potenziale creato dai nuclei fissi, sommata all’energia di repulsione tra i nuclei. La rappresentazione di questa interazione è evidenziata nella curva US, che indica le varie fasi dell’interazione tra gli atomi.

La curva US evidenzia tre zone significative: la prima rappresenta le grandi distanze caratterizzate da deboli interazioni, la seconda corrisponde alla , mentre la terza coincide con le brevi distanze internucleari con forti . In quest’ultima fase, l’energia del sistema sale rapidamente, raggiungendo un picco quando i nuclei si trovano a distanza nulla.

La curva US mostra un minimo in corrispondenza di una determinata ro, che rappresenta una posizione di equilibrio intorno alla quale i nuclei possono oscillare. L’eventuale spostamento dei nuclei da questa posizione comporta un aumento dell’energia del sistema, dando origine a forze che tendono a riportare il sistema alla condizione di minima energia. Le oscillazioni dei nuclei vengono definite vibrazioni molecolari, contribuendo in maniera trascurabile all’energia totale del sistema.

La curva UA, invece, rappresenta una situazione in cui l’energia del sistema è sempre maggiore di quella degli atomi separati. In questo caso, l’energia attrattiva è così ridotta da essere superata, anche alle grandi distanze, da quella repulsiva. Se l’energia del sistema è descritta dalla curva US, si ha la formazione di un aggregato stabile A2, accompagnato da un guadagno energetico. Invece, se l’energia del sistema è rappresentata dalla curva UA, non si forma un aggregato stabile poiché l’energia del sistema è costantemente maggiore dell’energia dei due atomi isolati.

Da un punto di vista generale, queste considerazioni sono valide, anche nel caso in cui si considerassero due atomi diversi (A-B). Sostanzialmente, il ragionamento rimarrebbe lo stesso anche per aggregati atomici costituiti da più atomi, sebbene l’energia del sistema debba essere correlata a un numero maggiore di distanze internucleari in casi più complessi, come nel sistema triatomico ABC.

Interazione tra molecole

Interazione tra : forze e polarità

Le molecole polari, con il loro movimento caotico, possono avvicinarsi e generare reciproca attrazione o repulsione, dando luogo a un’interazione tra molecole.

Se queste collisioni avvengono con la stessa probabilità, non si osserva alcun effetto risultante, é attrattivo né repulsivo. Tuttavia, la probabilità di collisione quando le molecole sono orientate in modo da generare attrazione è leggermente maggiore di quella che porta a una collisione repulsiva, determinando una forza di attrazione risultante, spesso debole, a causa della polarità della molecola.

tra molecole polari

L’ che deriva da questa forza di attrazione tra due molecole è determinata dalla distanza tra di esse, dal momento dipolare della molecola e dalla temperatura. Questo tipo di forza di attrazione è solo uno dei contributi all’interazione tra le molecole polari.

Le sono invece caratterizzate da un baricentro che coincide con quello delle cariche negative. Tuttavia, quando sono sottoposte a un campo elettrico, la nube elettronica di tali molecole viene deformata, generando una molecola polare con un momento indotto proporzionale all’intensità del campo in cui si trova la molecola. Questa polarizzazione indotta, dipendente dalle dimensioni molecolari e chiamata effetto di induzione, contribuisce anch’essa all’energia di attrazione tra le molecole.

Effetti di dispersione e interazioni van der Waals

L’interazione tra due molecole apolari può avvenire attraverso un effetto di dispersione, che comporta la formazione di due dipoli istantanei reciprocamente indotti. Questo tipo di interazione contribuisce significativamente all’energia complessiva di coesione delle molecole apolari.

In conclusione, le forze di interazione tra le molecole, dette forze di van der Waals, sono responsabili in larga misura delle deviazioni dei gas reali dal comportamento ideale. Queste forze, insieme agli altri tipi di interazione descritti, generano la struttura energetica del sistema molecolare.

Momento dipolare di una molecola biatomica

Il concetto di momento dipolare in una molecola biatomica

Il momento dipolare in una molecola biatomica si manifesta quando il baricentro delle cariche positive non coincide con quello delle cariche negative, rendendo la molecola polare e dotata di un momento dipolare. In una molecola AB, ad esempio, se una parziale carica positiva si trova sull’elemento A e una parziale carica negativa su B, la molecola agisce come un dipolo elettrico. Questo dipolo è caratterizzato da un modulo μ = δ ∙d, dove d è la distanza tra le cariche e δ è il valore assoluto della frazione di carica.

Il calcolo del momento dipolare

Se due cariche elettriche di segno opposto sono separate da una distanza unitaria, il risultante è calcolato come μ = 4.8 ∙10^-18 Fr cm. Poiché i momenti dipolari molecolari hanno valori di questo tipo di ordine di grandezza, essi possono essere espressi convenzionalmente in una chiamata Debye, definita come D = 1.0 ∙ 10^-18 Fr cm.

Fattori che contribuiscono al momento dipolare

Il momento dipolare di una molecola è il risultato di vari contributi, derivanti dalla distribuzione non simmetrica delle coppie di elettroni di legame e dalle coppie di non legame. Ciò è riconducibile alla diversa degli elementi che costituiscono la molecola e alle dimensioni atomiche differenti.

Esempio con il cloruro di idrogeno

Prendiamo ad esempio il cloruro di idrogeno, che presenta un momento dipolare sperimentale di 1.07 D diretto dall’atomo di idrogeno a quello di cloro. Tale momento può essere considerato come la risultante di tre contributi distinti:

1) L’atomo di cloro ha un’elettronegatività maggiore rispetto a quello di idrogeno, causando una polarizzazione della coppia di elettroni di legame verso di sé.
2) L’atomo di idrogeno ha dimensioni molto minori rispetto a quelle del cloro, con la regione di sovrapposizione degli orbitali atomici più vicina al nucleo di idrogeno.
3) Considerando le coppie di elettroni non di legame, queste hanno una distribuzione e una simmetria sferica diversa rispetto agli elettroni del guscio esterno del cloro, dando origine a una separazione di carica e a un momento dipolare diretto.

Il momento dipolare molecolare risultante è di 1.07 D, diretto dal l’atomo di idrogeno a quello di cloro.

pH di sali acidi derivanti da acidi diprotici

Calcolo del dei sali derivanti da

Il calcolo del pH dei sali derivanti da acidi diprotici è un processo complesso a causa dell’equilibrio simultaneo. Vediamo come calcolare il pH dei sali acidi come KHSO3, NaHS, KHCO3, che si dissociano in producendo rispettivamente ioni HSO3, HS, HCO3. Indichiamo con MHA il sale acido e con HA l’anfolita proveniente dalla dissociazione del sale.

Reazioni di equilibrio

In acqua si verificano contemporaneamente i seguenti equilibri: ) HA + H+ H2A, 2) HA  H+ + A2-, 3) H2O H+ + OH. Da questi equilibri si ottiene l’equazione pH = ½ pKa1 + ½ pKa2, che può essere utile nel calcolo del pH di una soluzione di NaHCO3.

È possibile semplificare ulteriormente la formula del pH se Ka2 non è molto piccolo, arrivando a pH ≈ √ Ka1Ka2C, dove C è la concentrazione analitica del sale MHA. Ad esempio, se abbiamo le costanti delle coppie acido-base CO2/HCO3 con pKa1 = 6.35 e HCO3/CO32- con pKa2 = 10.33, possiamo calcolare il pH di una soluzione 0.1 M di NaHCO3 come pH = 6.35 + 10.33/ 2 = 8.34.

Questi sono i passaggi necessari per ottenere la formula semplificata del pH. L’equazione finale può essere utile nel calcolo pratico del pH dei sali derivanti da acidi diprotici.

Energia di legame. Esercizi svolti

svolti sull’: calcolo delle variazioni di entalpia

L’energia di legame rappresenta l’energia richiesta per rompere omoliticamente (in frammenti neutri) un legame covalente. Le energie di legame sono espresse in kJ/mole e rappresentano l’energia di dissociazione di legame quando fornite per specifici legami, o energie medie di legame quando riassumono un dato tipo di legame per vari tipi di composti.

Le Tavole relative all’energia di legame possono essere consultate in diversi libri di testo e manuali. Ad esempio, per rompere mole di cloruro di idrogeno gassoso in idrogeno e cloro elementare, occorrono 432 kJ, pertanto l’energia di dissociazione del legame è di + 432 kJ/mol.

Esercizio 1

a) Assumendo che la reazione di formazione del 2-cloropropano avvenga a temperatura tale che tutte le sostanze si trovino allo stato gassoso, si calcola la variazione di entalpia dalle energie di legame fornite.

b) Quando la reazione è condotta a 298 K, il 2-cloropropano si presenta liquido. La variazione di è +27 kJ/mol. Calcolare la variazione di entalpia della reazione.

Per il punto a) viene valutata l’energia totale per rompere i legami C-H e Cl-Cl e l’energia prodotta per formare i legami C-Cl e H-Cl. La variazione complessiva è calcolata come la differenza tra queste energie.

Per il punto b) considerando la variazione di entalpia di vaporizzazione e formazione del 2-cloropropano, si calcola la variazione complessiva di entalpia.

Esercizio 2

Si calcola la variazione di entalpia di combustione del propano data la reazione di combustione. Viene fatta l’analisi dei legami che si rompono nei reagenti e nei prodotti per calcolare la variazione di entalpia associata alla reazione di combustione del propano.

Alla fine del calcolo, si nota che il valore di ΔH è minore di zero, il che è compatibile con il fatto che la combustione avviene con sviluppo di energia.

La comprensione e la risoluzione di esercizi pratici sull’energia di legame sono fondamentali per consolidare la conoscenza di questo concetto in fisica e chimica organica.

Reazioni nucleari: teoria del nucleo composto

Teoria del nucleo composto: le basi delle nucleari

Le reazioni nucleari sono un processo unico in cui il nucleo di un atomo subisce una trasformazione per formare un altro atomo. Secondo la teoria del nucleo composto avanzata da Bohr nel 1936, le reazioni nucleari avvengono in due fasi distintive. Inizialmente, la particella incidente si fonde con il nucleo bersaglio per formare il nucleo composto, comportando la cessione di cinetica e di legame. Durante questo breve periodo, il nucleo composto esiste come un’entità separata, con l’energia distribuita uniformemente tra i nucleoni.

Le particelle cariche come protoni, o particelle alfa devono superare una barriera elettrostatica per interagire con il nucleo, richiedendo un’energia cinetica sufficiente. Al contrario, i neutroni possono interagire con il nucleo senza superare tale barriera e le reazioni con i neutroni termici sono comuni. Le reazioni con i fotoni gamma sono invece rare poiché non contribuiscono all’ del nucleo.

Dopo la formazione del nucleo composto, segue la sua disintegrazione, che può avvenire in diversi modi a seconda dell’energia disponibile, come l’emissione di nucleoni o raggi gamma. Ogni stato eccitato del nucleo composto è caratterizzato da una vita media specifica, mentre la probabilità di disintegrazione è proporzionale all’ampiezza di livello del nucleo.

Ad esempio, durante la reazione tra un atomo di rame e un deuterone si forma un nucleo composto di zinco, e a seconda dell’energia disponibile, il nucleo composto può subire diversi tipi di decadimento, come l’emissione di raggi gamma, neutroni o atomi di elio, tra gli altri.

Ogni modo di decadimento del nucleo composto è determinato dallo stato del nucleo e la probabilità di disintegrazione è proporzionale all’ampiezza di livello del nucleo. In tal modo, la teoria del nucleo composto fornisce importanti informazioni sulle reazioni nucleari e sui meccanismi di decadimento dei nuclei instabili.

Densità. Esercizi svolti

: risolti

La densità rappresenta il rapporto tra la massa e il volume di una sostanza, e per i gas varia in base alla pressione e alla temperatura. Nel caso dei gas, la densità presenta variazioni significative in relazione alla pressione e alla temperatura ed è espressa comunemente in g/L.

Esercizio

Calcolare le dimensioni di un cubo di rame conoscendo la sua massa e la densità del rame.

Per risolvere l’esercizio, convertiamo la massa da chilogrammi a grammi:
massa = 0.630 kg = 630 g

Applicando la formula della densità d = m/V, otteniamo il volume del cubo di rame:
V = 630 g / 8.94 g/cm^3 = 70.5 cm^3

Poiché il volume di un cubo è definito come V = l^3, possiamo calcolare le dimensioni del cubo:
l = ∛V = ∛70.5 = 4.13 cm

Esercizio 2

Determinare la massa di una biglia metallica immersa in olio minerale.

Iniziamo calcolando la densità dell’olio minerale:
massa dell’olio minerale = 159.446 g – 124.966 g = 34.480 g
d = 34.480 g / 40.00 mL = 0.8620 g/mL

Successivamente, calcoliamo il volume dell’olio minerale con la biglia all’interno del cilindro e determiniamo la densità del metallo.

Esercizio 3

Calcolare la massa di un cilindro costituito da una lega di zinco-rame, conosciute le proporzioni dei due metalli e le loro densità.

In questo caso, determiniamo il volume del cilindro utilizzando la formula V = πr^2h e calcoliamo le masse di rame e zinco nella lega. Otteniamo, infine, la massa totale del cilindro.

Esercizio 4

Calcolare la lunghezza di un filo di rame conoscendone la massa e il diametro, e la densità del rame.

Partendo dal volume del filo di rame e utilizzando la formula V = πr^2h, determiniamo la lunghezza del filo.

Esercizio 5

Calcolare la densità di un oggetto immerso in etanolo, noti i cambiamenti di massa nel contenitore.

Mediante le differenze di massa e il volume dell’etanolo fuoriuscito, giungiamo al calcolo della densità dell’oggetto.

Esercizio 6

Calcolare il diametro interno di un tubo di vetro knowing la massa di etanolo necessaria e la densità dell’etanolo.

Utilizzando la formula del volume V = πr^2h, calcoliamo il diametro interno del cilindro di vetro chiuso.

Solubilizzazione di precipitati ionici. Esempi svolti

Solubilizzazione dei precipitati ionici: tecniche e

La solubilizzazione dei precipitati ionici può avvenire attraverso acido-base, complessazione o ossidoriduzione.

Un sale poco solubile può essere solubilizzato attraverso la partecipazione di uno dei suoi ioni a una reazione in soluzione. L’equilibrio di dissoluzione del precipitato ionico MqAp può essere spostato a destra secondo il coinvolgendo uno dei due ioni M^p+ o A^q- in una reazione. Ciò comporta la diminuzione della concentrazione di uno dei due ioni e la dissoluzione del precipitato per ripristinare l’equilibrio. Continuando a sottrarre uno dei due ioni, il sale continua a sciogliersi fino alla completa dissoluzione.

Solubilizzazione in seguito a reazione acido-base

La solubilizzazione per reazione acido-base avviene quando l’anione o il catione presentano proprietà basiche o acide, rispettivamente.

Le proprietà basiche dell’anione si manifestano generalmente nei confronti dello ione H+ (anione come ); le proprietà acide del catione sono estese a tutte le specie che possono formare un complesso stabile (catione come acido di Lewis).

La solubilizzazione avviene attraverso l’aggiunta di acidi forti o di un legante specifico che reagisce con l’ione del sale poco solubile.

Solubilizzazione in seguito a ossidoriduzione

La solubilizzazione in seguito a ossidoriduzione avviene quando uno dei ioni costituenti il sale manifesta capacità riducenti o ed è suscettibile di ossidoriduzione in presenza di un opportuno reagente.

Ad esempio, il solfuro di mercurio (II) si scioglie in acido nitrico concentrato perché lo ione NO3- è in grado di ossidare lo ione S2- a SO42- e il solfato mercurico HgSO4 è un sale solubile.

Decadimento alfa e beta. Esercizi svolti

Decadimento Alfa e Beta: Svolti

Il decadimento radioattivo è un processo con cui alcuni radionuclidi decadono nel tempo, emettendo una particella alfa costituita da due protoni e due , che corrisponde a un atomo di elio. Questo fenomeno avviene per nuclidi instabili e radioattivi con numero atomico maggiore di 83. In seguito al decadimento alfa, l’elemento si sposta di due posizioni nella tavola periodica passando da Z a Z-2. La scrittura delle di decadimento alfa richiede l’utilizzo della tavola periodica.

Esercizi Sui Decadimenti Alfa
Di seguito sono riportate le reazioni di decadimento alfa per alcuni :

1) 256103 Lr → 42He + 252101 Md
2) 23191 Pa → 42He + 22789 Ac
3) 22589 Ac → 42He + 22187 Fr
4) 21187 Fr → 42He + 20785 At
5) 18579 Au → 42He + 18177 Ir
6) 23392 U → 42He + 22990 Th
7) 14964 Gd → 42He + 14562 Sm
8) 23290 Th → 42He + 22888 Ra
9) 17578 Pt → 42He + 17176 Os
10) 23793 Np → 42He + 23391 Pa

Il decadimento beta avviene con la trasformazione di un nuclide instabile in un altro nuclide. Un tipo di decadimento beta, chiamato , comporta la trasmutazione di un neutrone in una coppia protone-elettrone più un antineutrino, aumentando il numero atomico di una unità e mantenendo invariato il numero di massa.

Esercizi Sui Decadimenti Beta
Di seguito sono riportate le reazioni di decadimento beta per alcuni isotopi:

1) 6He → 00 ῡ + 0-1 e + 63Li
2) 2411Na → 00 ῡ + 0-1 e + 2412Mg
3) 20179Au → 00 ῡ + 0-1 e + 20180 Hg
4) 5226Fe → 00 ῡ + 0-1 e + 5227Co
5) 4219 K → 00 ῡ + 0-1 e + 4220 Ca
6) 9038 Sr → 00 ῡ + 0-1 e + 9039 Y
7) 23993 Np → 00 ῡ + 0-1 e + 23994 Pu
8) 24795 Am → 00 ῡ + 0-1 e + 24796 Cm
9) 8235 Br → 00 ῡ + 0-1 e + 8236 Kr
10) 9943 Tc → 00 ῡ + 0-1 e + 9944 Ru

Questi esercizi forniscono un’esercitazione pratica per comprendere e applicare i concetti di decadimento alfa e beta, consentendo agli studenti di sviluppare competenze e abilità nel campo della chimica nucleare.

Velocità media di un gas. Esercizi svolti

La velocità media di un gas dipende dalla radice quadrata della temperatura e dal peso molecolare del gas. La relazione per calcolare la velocità media di un gas è data da: v = √3 RT/M, essendo R la costante universale dei gas, T la temperatura espressa in gradi Kelvin e M il peso molecolare del gas espresso in kg/mol.

Esercizio

: Calcolare la velocità media delle di O2 a 0°C e a 100 °C. Convertendo la temperatura da gradi centigradi a gradi Kelvin, si ottiene T1 = 273 K e T2 = 373 K. Il peso molecolare dell’ossigeno è 32 g/mol, che convertito in kg/mol diventa 0.032 kg/mol. A 0°C si ha v = 461.3 m/s, mentre a 100 °C si ha v = 539.2 m/s.

Esercizio 2

: Calcolare la velocità media di CH4 e N2 a 273 K e a 546 K. Il peso molecolare del metano e dell’azoto è rispettivamente 0.016098 kg/mol e 0.0280134 kg/mol. A 273 K, la velocità media del metano è 650 m/s e quella dell’azoto è 493 m/s. A 546 K, la velocità media del metano è 920 m/s e quella dell’azoto è 697 m/s.

Esercizio 3

: Calcolare il rapporto tra le velocità del kripton rispetto all’azoto nelle stesse condizioni di pressione e temperatura. Fissata la temperatura a 273 K, il peso atomico del kripton è 0.083798 kg/mol e la sua velocità è di 285 m/s. La velocità dell’azoto, con peso molecolare 0.0280134 kg/mol, è di 493 m/s. Il rapporto tra le velocità del kripton rispetto all’azoto vale 0.578.

Esercizio 4

: Determinare quale tra O e , nelle stesse condizioni di pressione e temperatura, si muove più velocemente. Il peso atomico dell’ossigeno è 0.016 kg/mol e la sua velocità è di 652 m/s a 273 K. Per l’azoto, con peso atomico 0.014 kg/mol, la velocità è 697 m/s. Quindi, l’azoto si muove 1.07 volte più velocemente dell’ossigeno.

Terzo principio della termodinamica

Il significato e l’applicazione del terzo principio della termodinamica

La termodinamica, parola che deriva dall’unione di due parole greche termos () e dynamis (forza), è una branca della fisica che si occupa delle relazioni quantitative tra il calore e altre forme di durante le trasformazioni. Tra i principi fondamentali di questa disciplina, il terzo principio della termodinamica riveste un ruolo significativo, pur essendo meno noto del primo e del secondo.

# Formulazioni del terzo principio della termodinamica

Una delle formulazioni più comuni del terzo principio della termodinamica afferma che “ogni sostanza pura ha un valore positivo di che diviene pari a zero allo zero assoluto quando essa, in queste condizioni, è un solido cristallino perfetto”. Questa affermazione è legata al concetto di entropia residua, secondo il quale l’entropia di un sistema si avvicina a un valore costante quando la temperatura si avvicina allo zero assoluto.

# Applicazione pratica e esempio

Un esempio intuitivo che aiuta a comprendere il terzo principio della termodinamica è quello del vapore acqueo, che passa da uno stato di elevato disordine a una fase più ordinata all’avvicinarsi dello zero assoluto. Matematicamente, questo principio può essere espresso come limite di entropia (S) che tende a zero quando la temperatura (T) si avvicina allo zero assoluto.

# Conseguenze e calcolo dell’entropia

Dal terzo principio discende l’importante conseguenza che l’entropia di un sistema a una determinata temperatura può essere calcolata conoscendo l’equazione che esprime la dipendenza del dalla temperatura. Questo calcolo è essenziale per comprendere il comportamento dei materiali a diverse temperature e fornisce informazioni cruciali per varie applicazioni in diversi campi scientifici e tecnologici.

In sintesi, sebbene meno noto rispetto agli altri principi, il terzo principio della termodinamica gioca un ruolo fondamentale nell’analisi dei processi termodinamici e nel comprendere il comportamento dei materiali in relazione alle variazioni di temperatura.

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