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Gadolinio: proprietà, reazioni, usi

La del gadolinio, metallo appartenente alla serie dei , è legata al minerale gadolinite, così chiamato in onore del chimico finlandese Johan Gadolin, scopritore sia dell’ che dell’elemento in questione. È interessante notare che fu Jean Charles Galissard de Marignac, chimico ginevrino, il primo a osservare le di questo nuovo elemento in campioni di minerali nel 1880.

Il gadolinio è stato isolato per la prima volta come ossido di gadolinio (III) da Georges Urbain nel 1904. Il metodo di isolamento del metallo dai minerali che lo contengono prevede il trattamento per ottenere cloruro o fluoruro di gadolinio (III), seguito dall’elettrolisi del sale.

Con configurazione elettronica [Xe] 4f^75d^16s^2, il gadolinio si presenta come un metallo bianco-argenteo, duttile e malleabile, con numeri di ossidazione +1, +2 e +3 ed una buona stabilità all’aria, formando nel tempo una patina di ossido di gadolinio (III) a seguito della reazione con l’ossigeno.

Reazioni del Gadolinio

Il gadolinio reagisce con gli acidi diluiti producendo idrogeno gassoso. Tuttavia, non reagisce con l’acido fluoridrico, formando uno strato protettivo di fluoruro di gadolinio (III) sulla superficie del metallo. Inoltre, reagisce con gli alogenati producendo alogenuri di gadolinio (III), con il cloruro, bromuro e fluoruro che sono bianchi e lo ioduro di colore giallo.

In presenza di acqua calda, il gadolinio reagisce rapidamente formando idrogeno gassoso e idrossido di gadolinio (III), mentre in acqua fredda la reazione è più lenta.

Usi del Gadolinio

Il gadolinio trova impiego in leghe di e cromo per conferire maggiore resistenza all’ossidazione e alle alte temperature, così come nelle leghe utilizzate in magneti e componenti elettronici. Grazie alla sua capacità di catturare neutroni, è utilizzato nelle barre di controllo dei reattori nucleari. L’ione Gd^3+, con la sua configurazione elettronica [Xe] 4f^7, è paramagnetico ed è stato utilizzato come mezzo di contrasto nella diagnostica per immagini.

Tuttavia, a seguito di studi condotti dall’Agenzia Europea dei medicinali, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha vietato l’uso di mezzi di contrasto contenenti gadolinio a causa della sua capacità di accumularsi nei tessuti cerebrali.

Puntura di ortica: rimedi

I pericoli e i rimedi per la puntura di ortica

La puntura di ortica è un’esperienza molto dolorosa, dovuta alla sostanza urticante rilasciata dai peli della pianta. Le proprietà medicinali e culinarie dell’ortica sono ben conosciute, ma è fondamentale prestare attenzione ai pericoli che questa pianta può causare. La sostanza rilasciata dai peli dell’ortica ha lo scopo di difendere la pianta dagli eventuali predatori e può provocare prurito e bruciore sulla pelle.

Sostanze rilasciate dalla puntura di ortica

La puntura di ortica rilascia diverse sostanze che causano reazioni cutanee. Tra queste sostanze troviamo l’, che provoca gonfiore e infiammazione a livello locale. L’istamina è rilasciata dal sistema immunitario per difendersi dagli allergeni. Un’altra sostanza presente è la serotonina, un neurotrasmettitore che stimola le terminazioni nervose sensoriali provocando dolore. Ancora, l’, un altro neurotrasmettitore presente nella puntura di ortica, può causare vasodilatazione e contrazione muscolare. Infine, l’, che ha un’azione caustica sulla pelle, è un’altra sostanza rilasciata durante la puntura di ortica.

Rimedi per la puntura di ortica

In caso di puntura di ortica, è fondamentale adottare tempestivamente dei rimedi per ridurre l’irritazione cutanea. Evitare di toccare o strofinare la parte interessata, ma bagnarla immediatamente con fredda può aiutare a limitare l’assorbimento delle sostanze urticanti. Si consiglia di rimuovere i peli con dello scotch e applicare del bicarbonato di sodio per alleviare il bruciore e il prurito.

In conclusione, durante le passeggiate in natura è importante prestare attenzione e evitare il contatto con l’ortica per evitare spiacevoli reazioni cutanee. E in caso di puntura, è fondamentale agire prontamente con i giusti rimedi per limitare i danni provocati dalla sostanza urticante.

Ossidazione biologica del metanolo: prodotti dell’ossidazione

L’ossidazione biologica del metanolo avviene per via enzimatica, principalmente nel fegato attraverso l’azione dell’alcol deidrogenasi e dell’aldeide deidrogenasi. Il risultato finale di questa reazione è la formazione dell’, che può anche presentarsi come formiato, conosciuto per la sua tossicità poiché inibisce la citocromo c ossidasi mitocondriale, causando ipossia cellulare e acidosi metabolica.

Ossidazione di alcoli e la formazione di composti tossici

L’

ossidazione di un alcol primario

porta alla formazione dell’aldeide, e successivamente, attraverso un’altra oxidazione, si genera l’acido carbossilico.

Durante il periodo del

proibizionismo

, molte persone persero la vita a causa dell’assunzione di

metanolo

, noto per la sua pericolosità: un quantitativo minimo può causare cecità, mentre un’assunzione più consistente può portare alla morte.

Dopo l’assunzione di

etanolo

, si forma l’

etanale

, che è tossico e in quantità elevate può causare effetti gravi come il coma etilico o persino la morte. L’ossidazione dell’etanale porta alla formazione dell’acido etanoico, meno pericoloso come composto.

Processo di ossidazione biologica del metanolo

Nel caso specifico dell’ossidazione biologica del metanolo, il processo avviene attraverso un meccanismo simile all’ossidazione dell’etanolo: prima si produce metanale, che poi si ossida dando vita all’acido formico. Queste sono le fasi del processo:

CH3OH → HCHO → HCOOH

L’enzima

alcol deidrogenasi

catalizza la trasformazione del metanolo in metanale secondo la reazione:

CH3OH + NAD+ → HCHO + NADH + H+

Successivamente, l’enzima

aldeide deidrogenasi

catalizza la trasformazione di metanale in acido formico attraverso la reazione:

HCHO + NADP+ + H2O → HCOOH + + H+

Comparato al metabolismo dell’etanolo, nell’ossidazione del metanolo si producono sia metanale (tossico) che acido formico, il quale può causare danni agli occhi e alle cellule degli organi vitali, portando alla cecità e persino alla morte.

La chimica in cucina: così i fornelli si trasformano in un laboratorio scientifico

L’importanza della chimica nella gastronomia e l’effetto delle reazioni chimiche sui cibi

La cucina va oltre la creatività e la passione, essa rappresenta anche una vera e propria scienza. La chimica gioca un ruolo cruciale nella preparazione dei cibi, trasformando la cucina in un laboratorio scientifico. Durante le varie fasi di preparazione dei piatti, si verificano diverse reazioni chimiche che influenzano il sapore, la digeribilità e l’aspetto finale dei cibi.

Utilizzo degli acidi per migliorare il sapore dei cibi

L’uso di acidi come il succo di limone o l’aceto in determinati piatti ha una motivazione scientifica. Ad esempio, aggiungere succo di limone al pesce bollito neutralizza le ammine volatili indesiderate, migliorando il gusto del piatto.

e reazioni di lievitazione

I lieviti chimici, composti da sali basici e acidi, sono fondamentali per far lievitare le torte. Questi ingredienti reagiscono tra loro, generando anidride carbonica che forma le bollicine nell’impasto e provoca la lievitazione.

La e l’aspetto dei cibi cotti

La reazione di Maillard conferisce ai cibi cotti il caratteristico aspetto bruno e l’aroma intenso. Questa reazione avviene tra amminoacidi e zuccheri riducenti, producendo composti che influenzano sia il gusto che l’aspetto del cibo.

Emulsioni e l’uso della in cucina

La maionese rappresenta un esempio di emulsione, dove l’olio è disperso nell’ contenuta nel tuorlo. Questo sistema colloidale, composto da due liquidi immiscibili, si presenta con uno dei due liquidi suddiviso in piccole gocce nell’altro.

Ruolo della chimica nel raffreddamento rapido delle bevande

La chimica gioca un ruolo anche nel raffreddamento delle bevande. L’, ottenuto tramite l’immersione del contenitore in una soluzione di ghiaccio, acqua e sale, permette di ridurre la temperatura di congelamento dell’acqua circostante, raffreddando più rapidamente una bibita rispetto ai tradizionali cubetti di ghiaccio.

In conclusione, la chimica riveste un ruolo essenziale in cucina, influenzando diversi aspetti della preparazione e conservazione degli alimenti, così come il loro gusto e aspetto finale. La comprensione di queste reazioni chimiche può migliorare notevolmente l’esperienza culinaria e la qualità dei piatti preparati.

Scala di Mohs: ordine di durezza

La scala di durezza dei materiali elaborata nel 1812 dal chimico e mineralogista tedesco Friedrich Mohs è ancora oggi uno strumento fondamentale per determinare la resistenza di un materiale alla penetrazione di un corpo più duro.
Mohs prese in considerazione dieci minerali, ad eccezione del , che sono economicamente accessibili, creando così una scala da 1 a 10 basata sull’ordine di durezza di queste specie.

La scala di Mohs non è lineare, poiché la differenza di durezza tra due minerali successivi può variare considerevolmente. Per esempio, il corindone è due volte più duro del topazio, mentre il diamante è circa quattro volte più duro del corindone.

Importanza della Scala di Mohs

I minerali sono stati classificati in ordine di durezza sulla scala di Mohs come segue:

1

– Talco

2


3

– Calcite

4


5

– Apatite

6

– Ortoclasio

7


8

– Topazio

9

– Corindone

10

– Diamante

Questi minerali servono come “pietre di paragone” per determinare la durezza di altre specie minerali, confrontandone il comportamento con quelli nella scala di Mohs.

e Prove di Laboratorio

Di seguito, riportiamo i dati di durezza assoluta dei minerali ottenuti mediante prove di laboratorio e strumentazione adeguata:

1

– Talco

2

– Gesso

9

– Calcite

21

– Fluorite

48

– Apatite

72

– Ortoclasio

100

– Quarzo

200

– Topazio

400

– Corindone

1500

– Diamante

Come si può notare, il talco risulta essere il materiale più tenero, mentre il diamante è il più duro in assoluto. La scala di Mohs è un’utile strumento per confrontare la durezza dei materiali e comprendere le differenze di resistenza tra di essi.

Preparazione di una soluzione tampone a pH 7

Come preparare una soluzione tampone con un neutro

Utilizzo di acido debole per preparare una soluzione tampone

Per creare una soluzione tampone con un pH neutro, è necessario utilizzare un acido debole con un valore di pKa intorno a 7. Si può adottare una soluzione contenente H2PO4- e la sua base coniugata HPO4^2-, considerando che la costante K

Grafite: struttura, usi

La Struttura Particolare della Grafite

La grafite, uno degli stati allotropici del carbonio insieme al , , e , ha una struttura stratificata. In ogni strato, gli atomi di carbonio sono legati tra loro con un legame covalente, formando un particolare reticolo cristallino a nido d’ape.

Legame e Conducibilità Elettrica

Ogni atomo di carbonio è ibridato sp² e si lega tramite legame covalente ad altri tre atomi di carbonio attraverso legame σ. L’elettrone non ibridato appartenente all’orbitale p è delocalizzato, conferendo alla grafite un’elevata conducibilità elettrica. Questa caratteristica la rende ideale per essere utilizzata negli elettrodi di grafite.

Strati e Tenerività

Gli strati della grafite sono vincolati da deboli legami di van der Waals, rendendola un materiale tenero poiché gli strati possono scorrere facilmente l’uno rispetto all’altro.

La Grafite negli Usi Industriali

La grafite, grazie alla sua stabilità termica e inerzia chimica, trova impiego materiali refrattari. Ad esempio, i mattoni refrattari realizzati con ossido di magnesio mostrano alta refrattarietà, resistenza a temperature elevate, alla corrosione e alla scheggiatura. Inoltre, accoppiata con l’ossido di zirconio, è utilizzata nei refrattari impiegati nelle acciaierie.

Altri Utilizzi della Grafite

La grafite è presente anche nelle matite, insieme all’argilla, determinandone la morbidezza e l’intensità della traccia. Inoltre, reagendo con il vapore acqueo presente nell’atmosfera, forma un sottile film lubrificante che riduce l’attrito su superfici diverse.

Potenzialità del Grafene

Attraverso varie tecniche come l’esfoliazione meccanica o in fase liquida, la grafite può essere convertita in grafene, un materiale di grande interesse per le sue potenzialità in svariati settori e soggetto a numerosi studi scientifici ed applicazioni future.

Struttura dei fullereni

La scoperta dei Fullereni e la sua importanza

I premi Nobel per la Chimica del 1996, Robert F. Curl, Richard E. Smalley e Harold W. Kroto, hanno contribuito alla scoperta di una nuova forma allotropica del carbonio: i fullereni. Questi composti sono costituiti interamente da atomi di carbonio e presentano una struttura simile a una sfera cava o a un ellissoide, chiamati “buckyball”, o a una forma tubolare chiamata “buckytube” o nanotubi di carbonio.

La Struttura dei Fullereni

Uno dei fullereni più significativi è costituito da 60 atomi di carbonio disposti in una struttura che ricorda un icosaedro tronco con 12 pentagoni e 20 esagoni. Questa forma è stata chiamata “buckminsterfullerene” in onore dell’architetto Buckminster Fuller, che progettò cupole geodetiche con una struttura simile. La struttura dei fullereni è stata determinata tramite spettrometria di massa.

La Struttura Molecolare

La formazione dei fullereni avviene attraverso la vaporizzazione di barre di in atmosfera di . Ogni atomo di carbonio nella struttura è legato a tre atomi di carbonio tramite un doppio legame e due legami semplici, suggerendo un’ sp². Tuttavia, a differenza della grafite dove gli atomi sono su un piano, fullereni gli atomi non sono planari e l’angolo tra gli orbitali pz introduce una certa tensione molecolare.

Stabilità e Proprietà uniche

Nonostante la tensione, la simmetria elevata dei fullereni permette una distribuzione uniforme della tensione, conferendo stabilità alla struttura molecolare. Questa caratteristica di elevata simmetria è ciò che distingue i fullereni dagli altri allotropi del carbonio e contribuisce alle loro proprietà uniche.

In conclusione, la scoperta dei fullereni ha giocato un ruolo cruciale nell’espandere la nostra comprensione dell’ del carbonio e ha aperto la strada a nuove ricerche e applicazioni nell’ambito della chimica e della scienza dei materiali.

Amminoacidi a catena ramificata: catabolismo, integratori

Benefici degli Amminoacidi a Catena Ramificata: , e Valina

Gli amminoacidi a catena ramificata, conosciuti come leucina, isoleucina e valina, sono amminoacidi essenziali che devono essere assunti tramite la dieta poiché il corpo non è in grado di produrli autonomamente. Questi amminoacidi sono fondamentali per il corretto funzionamento dell’organismo e sono presenti principalmente nelle proteine di alimenti come carne, latticini e legumi.

Storia e Struttura dei BCAA

La scoperta della leucina risale al 1818 grazie al chimico Joseph Louis Proust. I BCAA vengono definiti anche con l’acronimo BCAA, ovvero Branched Chain Amino Acids, a causa della loro struttura molecolare con catene ramificate. Questi amminoacidi rappresentano circa il 15-25% dell’apporto proteico totale.

Catabolismo degli Amminoacidi a Catena Ramificata

I BCAA sono catabolizzati da che agiscono su e tre gli amminoacidi. Il processo di catabolismo inizia con la transaminazione reversibile e prosegue con la ossidativa. Queste reazioni portano alla formazione di composti come l’isovaleril-CoA, il 2-metilbutirril-CoA e l’isobutirril-CoA.

Integratori a Base di BCAA

Gli atleti spesso utilizzano integratori a base di amminoacidi a catena ramificata per favorire la sintesi proteica e migliorare le performance durante gli allenamenti. Il rapporto ottimale tra leucina, isoleucina e valina è di 2:1:1. Questi integratori possono essere assunti prima dell’attività fisica per preservare la massa muscolare e ritardare l’affaticamento, oppure dopo l’allenamento per favorire il recupero e la rigenerazione muscolare.

Rubidio: storia, reazioni, usi

Rubidio, un elemento metallico alcalino facilmente reattivo, è presente in tracce in minerali come pollucite e lepidolite. Appartiene al gruppo dei ed ha una configurazione elettronica [Kr] 5s1. Il rubidio ha un caratteristico colore bianco-argenteo ed è considerato uno dei metalli più reattivi.

Scoperta e Proprietà

Scoperto nel 1861 dai chimici tedeschi Robert Bunsen e Gustav Kirchhoff, il rubidio è stato isolato dall’ di campioni di lepidolite. Il nome “rubidio” deriva dal latino “rubidus”, che significa rosso intenso, in riferimento alle due di colore rosso scuro osservate nello spettro del metallo. Attualmente, il rubidio viene ottenuto come sottoprodotto della metallurgia del litio.

Reazioni

Il rubidio reagisce violentemente con l’, formando idrossido di rubidio e idrogeno. In presenza di aria, il metallo reagisce lentamente con l’ossigeno, ossidandosi a superossido. Non reagisce con acidi e basi, ma forma idruro reagendo con l’idrogeno, e alogenuri reagendo con gli alogenatori.

Utilizzi

Il rubidio trova impiego nella produzione di vetri speciali, orologi atomici e fotocellule. È utilizzato anche nei fuochi d’artificio per conferire una colorazione viola distintiva. Nonostante vengano preferiti altri metalli alcalini, il rubidio rimane un elemento versatile con varie applicazioni tecnologiche.

In conclusione, il rubidio è un metallo alcalino dalle proprietà interessanti e versatile applicazioni industriali e tecnologiche. Con una affascinante e caratteristiche chimiche uniche, il rubidio continua ad essere oggetto di studio e interesse nel campo della scienza dei materiali e della chimica.

Isotopi: massa atomica, numero di massa, isotopi dell’idrogeno e del carbonio

La scoperta degli isotopi ha rivoluzionato il campo della chimica. Gli isotopi sono atomi che presentano lo stesso numero di protoni ma un diverso numero di neutroni. Questi atomi vengono identificati in base al , che rappresenta la somma dei protoni nel nucleo.

Definizione degli isotopi

L’origine del termine deriva dal greco ισος e τοπος, che significa “stesso posto”, indicando che gli isotopi dello stesso elemento occupano la stessa posizione nella Tavola Periodica. Questi atomi con lo stesso numero atomico ma diverso numero di massa furono scoperti da Frederick Soddy nel 1913 durante i suoi studi sulla . Dall’anno della scoperta, gli isotopi furono identificati anche negli elementi stabili da Sir Joseph John Thomson.

Isotopi dell’idrogeno

L’idrogeno, con numero atomico 1, presenta tre isotopi: (senza neutroni), deuterio (con un neutrone) e trizio (con 2 neutroni). Questi isotopi hanno numeri di massa pari a 1, 2 e 3, e vengono indicati con la notazione che riporta il numero atomico in basso e il numero di massa in alto.

Isotopi del carbonio

Il carbonio, con numero atomico 6, ha tre isotopi con numeri di massa 12, 13 e 14, differenziati dal numero di neutroni presenti nel nucleo.

e isotopi

La massa atomica di un elemento è influenzata dalla presenza e dalla composizione degli isotopi. Viene calcolata tramite la media ponderata delle masse atomiche dei singoli isotopi, considerando l’ di ciascun isotopo nella natura. Ad esempio, la massa atomica del boro viene calcolata considerando la percentuale e la massa di ciascun isotopo presente.

Gli isotopi di un elemento condividono le stesse proprietà chimiche poiché dipendono dal numero di elettroni di legame. Un’eccezione è rappresentata dall’effetto isotopico cinetico, che comporta una variazione nella velocità di reazione quando un isotopo sostituisce un atomo nell’ambiente reattivo. Questo effetto è particolarmente evidente negli isotopi dell’idrogeno, a causa delle loro diverse masse rispetto al protio.

Torio: proprietà, storia, radioattività, reazioni, sali, usi

Il torio è un metallo appartenente alla serie degli e si rinviene come costituente minore in molti insieme al cerio, , neodimio e praseodimio nella monazite, con percentuali che variano dal 2% al 20%.

Proprietà del torio

Il torio presenta una configurazione elettronica [Rn] 6d², 7s² ed è un metallo debolmente radioattivo di colore argenteo. In presenza di aria forma uno strato di biossido di torio di colore nero. È relativamente duro, malleabile con elevato punto di fusione e presenta numeri di ossidazione +1, +2, +3 e +4, di cui quest’ultimo è il più stabile.


Nel 1815, il chimico svedese Jöns Jakob Berzelius scoprì un nuovo elemento che chiamò torio in onore di Thor, il dio del tuono. Tuttavia, nel 1824 si scoprì che la specie era in realtà fosfato di ittrio e solo nel 1828 Berzelius ricevette un campione di minerale contenente torio inviatogli dal geologo norvegese Hans Morten Thrane Esmark.


Il torio è radioattivo, come dimostrato per la prima volta dal chimico tedesco Gerhard Schmidt nel 1898 e successivamente confermato da Marie Curie. L’isotopo più abbondante è 232Th con un tempo di semidesideramento di circa 10^10 anni, il che lo rende disponibile come metallo e per la formazione di numerosi composti. Il torio forma il biossido di torio ThO2, un materiale refrattario con il punto di fusione più alto tra tutti gli ossidi.L’ossido di torio è stato introdotto per la prima volta dal chimico austriaco Carl Auer Freiherr von Welsbach nell’invenzione della lampada a mantello. In questa lampada, l’ossido di torio, insieme all’ossido di cerio, viene utilizzato per catalizzare la combustione del gas, generando così una forte emissione luminosa a temperature elevate.

Oltre all’utilizzo nelle lampade a mantello, l’ossido di torio trova applicazione anche nella produzione di vetro ad alto indice di rifrazione, impiegato per la realizzazione di obiettivi fotografici di alta qualità.

Nel campo della chimica, l’ossido di torio funge da catalizzatore per la produzione di acido solforico, nel cracking degli idrocarburi e nella conversione dell’ammoniaca in acido nitrico.

Composti e Reazioni

L’ossido di torio può reagire con gli alogenati e formare tetralogenuri igroscopici, solubili in solventi polari. In presenza di aria calda, può formare due nitruri, ThN e Th₃N₄, con differenti numeri di ossidazione. Inoltre, in ambienti ricchi di carbonio a elevate temperature, può generare il carburo di torio ThC₂, mentre a temperature tra 300 e 400°C reagisce con l’idrogeno formando l’idruro ThH₂.

Sali di Torio

L’ossido di torio forma diversi sali, spesso sotto forma di composti idrati con ioni poliatomici, tra cui perclorati, solfati, solfuri, nitrati, fosfati, cromati, carbonati e altri anioni poliatomici.

Applicazioni e Utilizzi

Oltre ai suoi utilizzi in campo chimico e luminotecnico, l’ossido di torio viene impiegato anche nelle leghe contenenti magnesio per aumentarne la resistenza alle alte temperature. Inoltre, è utilizzato in cellule fotoelettriche per la misurazione delle lunghezze d’onda nell’intervallo di 2000-3750 Å, tipiche delle radiazioni ultraviolette.

Queste svariate applicazioni illustrano la versatilità e l’importanza dell’ossido di torio in diversi settori, dalla produzione di energia alla tecnologia fotografica.

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