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Acido cloroso: proprietà, sintesi, usi

Proprietà e sintesi dell’acido cloroso

L’acido cloroso, un composto inorganico con il cloro in una particolare forma di ossidazione, è il meno stabile tra gli ossiacidi del cloro. La sua molecolare è caratterizzata da un legame doppio tra il cloro e un atomo di ossigeno, insieme a un gruppo -OH. Questo determina una angolata. A causa della sua instabilità, l’acido cloroso tende a decomporsi secondo una reazione di disproporzione. Inoltre, nonostante sia teoricamente un buon ossidante, la sua propensione alla decomposizione ne limita il potere ossidante.

Sintesi dell’acido cloroso

La sintesi dell’acido cloroso può avvenire in due stadi, principalmente dalla reazione tra di sodio e cloruro di bario, seguita dalla reazione tra clorito di bario e . Un altro metodo sintetico coinvolge la reazione tra clorito di piombo e acido solforico.

Usi limitati

A causa della sua instabilità, l’uso dell’acido cloroso è molto limitato. Tuttavia, i suoi sali come il NaClO2 vengono impiegati in alcuni processi industriali, come ad esempio nella produzione di .

Questa molecola inorganica, il cui cloro è caratterizzato da un numero di ossidazione particolare, offre interessanti spunti di studio in campo chimico e industriale.

Determinazione qualitativa del tiosolfato: test preliminare, test di conferma

Come individuare e confermare la presenza di tiosolfato: test preliminare e di conferma

Il tiosolfato è ampiamente impiegato nelle titolazioni iodometriche poiché rappresenta uno degli agenti più stabili disponibili. Le titolazioni iodometriche si basano sull’ossidazione dello ioduro a iodio e sono utilizzate per determinare agenti .

La determinazione quantitativa dell’ossidante avviene mediante la titolazione dello iodio con una soluzione standardizzata di tiosolfato di sodio, utilizzando come indicatore la salda d’amido.

Test preliminare

Per verificare la presenza di tiosolfato in una miscela solida, si può eseguire un test preliminare. In una provetta si introduce una piccola quantità della miscela e si aggiunge dell’acido cloridrico. Si osserverà la formazione di un precipitato di zolfo e, se si scalda la provetta, si noterà l’emissione di anidride solforosa. Questa reazione è descritta dalla seguente equazione di disproporzione:

S2O32- + 2 H+ → S + SO2 + H2O

Test di conferma

Test con l’acetato di piombo

Se si aggiunge una soluzione di acetato di piombo alla miscela incognita, la presenza di tiosolfato viene confermata mediante la formazione del precipitato bianco di tiosolfato di piombo:

S2O32- + Pb2+ → PbS2O3

Se si riscalda il precipitato, esso diventerà nero a causa della formazione di solfuro di piombo secondo la reazione:

PbS2O3 + H2O → PbS + 2 H+ + SO42-

Test con il cloruro di ferro (III)

L’aggiunta di una soluzione di cloruro di ferro (III) alla miscela incognita conferma la presenza di tiosolfato mediante la formazione del complesso diamminotiosolfatoferrato (III) di colore viola scuro:

2 S2O32- + Fe3+ → [Fe(S2O3)2]-

La colorazione sparirà rapidamente a causa della riduzione del ferro (III) a ferro (II) ad opera del tiosolfato che si trasforma in :

2 S2O32- +2 Fe3+ → S4O62- + 2 Fe2+

Test con il

In ambiente basico, il permanganato reagisce con il tiosolfato formando un precipitato nero di biossido di manganese e solfato:

MnO4- + 3 S2O32- + H2O → MnO2 + 6 SO42- + 2 OH-

Test con il

L’aggiunta di una soluzione di nitrato di argento alla miscela incognita porta alla formazione di un precipitato bianco di tiosolfato di argento:
S2O32- + 2 Ag+ → Ag2S2O3

In presenza di un eccesso di tiosolfato, il precipitato si solubilizzerà a causa della formazione del complesso ditiosolfatoargento:
Ag2S2O3 + 3 S2O32- → 2 [Ag(S2O3)2]+

Il tiosolfato di argento tende a decomporsi con la formazione di un precipitato nero di solfuro di argento:
Ag2S2O3 → Ag2S + SO3

Questi test preliminari e di conferma consentono di individuare e verificare la presenza di tiosolfato in una miscela, fornendo importanti informazioni per analisi chimiche più approfondite.

Solfato: risonanza, ottenimento, usi

Solfato: , formazione e utilizzi

Il solfato è un anione poliatomico SO₄²- nel quale lo zolfo, con un numero di ossidazione di +6, è legato a due atomi di ossigeno attraverso un doppio legame e a due atomi di ossigeno con un legame semplice.

Struttura e risonanza

Il solfato è stabilizzato da varie formule di risonanza ed è presente nelle acque naturali a seguito dell’ossidazione dello ione solfuro presente nelle rocce. Il solfato costituisce la durezza permanente dell’ e può essere rimosso attraverso processi come l’, la distillazione frazionata e l’uso di .

Il solfato si combina con i cationi per formare sali poco solubili come il solfato di bario, calcio, stronzio, piombo, radio e argento. Inoltre, è presente anche nel sodio lauriletere solfato (SLES), un tensioattivo utilizzato in prodotti per l’igiene personale.

Formazione del solfato

Il solfato può essere ottenuto per ossidazione dei solfuri o dei solfiti metallici oppure per reazione di con diversi composti, come ad esempio lo zinco o l’ammoniaca.

Utilizzi

Tra i solfati più importanti vi è il solfato di rame (II) utilizzato in agricoltura come fungicida e nella coltivazione del riso. Il solfato di magnesio, noto come Epsom salt, è utilizzato per correggere la deficienza di magnesio nel terreno e come lassativo in campo medico.

Il solfato di calcio biidrato, noto come gesso, trova impiego nell’edilizia, nell’odontotecnica e nella scultura. Infine, il solfato di alluminio è utilizzato nella produzione della carta per regolare il pH dei residui della polpa di legno.

In sintesi, il solfato presenta una struttura stabile e svolge un ruolo importante in vari processi industriali e applicazioni, dall’agricoltura all’edilizia, passando per l’igiene personale e la produzione della carta.

Proprietà periodiche: energia di ionizzazione, affinità elettronica, elettronegatività

Proprietà periodiche degli elementi chimici

La periodicità delle proprietà degli elementi chimici è determinata dal loro numero atomico piuttosto che dalla massa atomica. Tale periodicità consente di confrontare alcune grandezze, dette proprietà periodiche, in base alla posizione dell’elemento nella tavola periodica degli elementi.

di ionizzazione

L’ rappresenta l’energia minima richiesta per rimuovere un elettrone da un atomo in stato gassoso, trasformandolo in ione positivo. Questa energia aumenta da destra a sinistra lungo un periodo e dal basso verso l’alto lungo un gruppo nella tavola periodica degli elementi. Ciò implica che gli elementi con bassa energia di ionizzazione tendono a formare ioni positivi con maggiore facilità.

L’affinità elettronica è l’energia liberata quando un atomo in fase gassosa acquisisce un elettrone. Questa grandezza tende ad aumentare da sinistra a destra lungo un periodo e dal basso verso l’alto lungo un gruppo nella tavola periodica.

Raggio atomico

Il raggio atomico diminuisce da sinistra a destra lungo i periodi e aumenta dal basso verso l’alto lungo un gruppo. Questo trend è dovuto alla contrazione del raggio atomico causata dall’aumento della carica nucleare effettiva lungo un periodo.

L’elettronegatività rappresenta la capacità di un atomo di attirare elettroni di legame. Questa grandezza aumenta da sinistra a destra lungo un periodo e dal basso verso l’alto lungo un gruppo nella tavola periodica.

Il carattere metallico diminuisce da sinistra a destra lungo un periodo e aumenta dal basso verso l’alto lungo un gruppo. Tale carattere è utile nel definire alcune proprietà chimiche, poiché i metalli tendono a formare cationi, mentre i non metalli tendono ad acquisire elettroni per formare anioni.

In generale, le proprietà periodiche degli elementi chimici mostrano trend ben definiti lungo la tavola periodica, come illustrato nelle figure rappresentative dei trend.

Accumulatore al piombo, reazioni, f.e.m.

L’accumulatore al piombo: reazioni e f.e.m.

Gli accumulatori sono dispositivi che trasformano l’ chimica in energia elettrica e viceversa, svolgendo sia la funzione di che di cella galvanica. Durante la carica, immagazzinano l’energia elettrica sotto forma di energia chimica, mentre durante la scarica forniscono energia elettrica grazie all’energia chimica precedentemente accumulata.

In entrambi i casi, le reazioni coinvolte sono di ossidoriduzione e possono verificarsi in entrambi i sensi, a seconda del funzionamento dell’accumulatore. Questi dispositivi trovano applicazione nell’avviamento dei motori a scoppio e diesel, nell’illuminazione di carrozze ferroviarie, nell’alimentazione di strumenti e come fonti di riserva ed emergenza di energia elettrica.

dell’accumulatore al piombo

L’accumulatore al piombo è composto da un anodo (-) costituito da piastre di piombo spugnoso e da un catodo (+) costituito da piastre di biossido di piombo (PbO2) allo stato di pasta finemente polverizzata. Entrambi gli elettrodi sono supportati su una griglia di materiale resistente alla corrosione e immersi in una soluzione acquosa di acido solforico al 30%.

Reazioni e f.e.m. dell’accumulatore al piombo

Durante la scarica, l’accumulatore funziona da cella galvanica, con reazioni di ossidazione all’anodo e di riduzione al catodo. La f.e.m. di un accumulatore al piombo, a 25°C, può essere determinata dai potenziali normali di riduzione delle due semireazioni. La reazione complessiva ha un potenziale pari a +2.04 V.

Durante la carica, l’accumulatore funziona da cella elettrolitica, con reazioni opposte a quelle della scarica. La reazione globale nel processo di carica è:

2 PbSO4(s) + 2 H2O → Pb(s) + PbO2(s) + 4 H+ + 2 SO4^2-

Considerazioni sulla f.e.m. e sulle fasi di carica e scarica

La f.e.m. di un accumulatore al piombo-acido è di circa 2 V e varia in base alla temperatura e alla concentrazione dell’acido solforico contenuto nella cella. Quando la tensione scende a circa .8 V, è necessario ricaricare l’accumulatore.

Elettrolisi dell’ contenuta nella cella eccessiva degradazione delle piastre sono problemi che possono verificarsi se la carica supera i 2.2 V. Inoltre, il processo di autoscarica può causare la perdita dell’1% di carica al giorno a temperatura ambiente. È consigliabile rabboccare con acqua distillata per mantenere il livello dell’accumulatore.

In conclusione, l’accumulatore al piombo è un dispositivo versatile con una struttura ben definita e delle reazioni elettrochimiche specifiche che lo rendono adatto ad un ampio spettro di applicazioni. Tuttavia, è importante gestirne correttamente la carica e la scarica per garantirne il corretto funzionamento nel tempo.

Ione carbonato: idrolisi, decomposizione, solubilità

Ione carbonato: proprietà, , decomposizione e solubilità

L’ione carbonato è un anione poliatomico con la formula CO₃²⁻. Presenta una geometria planare con angoli di 120°, in cui il è ibridato sp². È stabilizzato da diverse strutture di risonanza. Quando si trova in soluzione acquosa, l’ione carbonato, dell’idrogeno carbonato, subisce idrolisi basica secondo l’equilibrio CO₃²⁻ + H₂O ⇄ HCO₃⁻ + OH⁻.

Decomposizione termica dei carbonati metallici

Numerosi carbonati metallici subiscono decomposizione termica, producendo l’ossido metallico e . La temperatura di decomposizione dipende dal metallo presente, nonché dalla sua reattività. Ad esempio, i carbonati dei metalli alcalino-terrosi richiedono temperature elevate per decomporsi, poiché sono più stabili.

Solubilità dei carbonati

I carbonati, in generale, sono poco solubili, ad eccezione di quelli di litio, sodio, potassio e ammonio. I carbonati meno solubili sono quelli di magnesio, calcio, bario, stronzio, cadmio, cobalto (II), rame (II), ferro (II), piombo (II), manganese (II), nichel (II) e zinco. Tuttavia, i carbonati dei metalli alcalino-terrosi si solubilizzano rapidamente in acque contenenti biossido di carbonio, formando carbonati.

Ciclo geochimico del carbonio

L’ione carbonato entra nel ciclo geochimico del carbonio, attraverso lo scambio dinamico di carbonio tra geosfera, idrosfera, biosfera e atmosfera terrestre. Questo avviene attraverso una serie di reazioni chimiche e processi fisici, biologici e geologici.

Reazioni degli acidi con i carbonati metallici

Quando gli acidi reagiscono con i carbonati metallici, si formano sali, acqua e biossido di carbonio, liberando calore in una reazione esotermica. Ad esempio, la reazione tra carbonato di ferro (II) e produce solfato di ferro (II), acqua e biossido di carbonio.

La riscrittura ha eliminato link non necessari e ha rivisto l’organizzazione delle informazioni in modo più chiaro e leggibile.

Nitrito: comportamento acido-base, sintesi, reazioni, usi

Nitrito: caratteristiche e utilizzi

L’ione nitrito è un ion poliatomico con formula NO2-. Le sue strutture di risonanza sono riportate nell’immagine sottostante. Secondo la , vi è un legame di tipo σ tra ogni atomo di ossigeno e l’azoto e un legame π delocalizzato fornito dagli orbitali p dell’azoto e dell’ossigeno.

Comportamento acido-base
L’ione nitrito è la dell’, che si dissocia secondo l’equilibrio:
HNO2 + H2O ⇄ NO2- + H3O+.
La costante di dissociazione relativa a questo equilibrio è Kα = 4.5 × 10-4. Di conseguenza, una soluzione di un nitrito derivante da una base forte ha un pH superiore a 7.

Sintesi
Il nitrito e i suoi sali, come il nitrito di sodio, possono essere ottenuti a livello industriale per reazione del biossido di azoto con monossido di azoto in presenza di idrossido di sodio. In laboratorio, il nitrito di sodio può essere ottenuto dalla reazione tra nitrato di sodio e piombo o dall’ossidazione del monossido di azoto.

Reazioni
L’azoto nello ione nitrito presenta un numero di ossidazione +3, pertanto può essere sia ossidato che ridotto. Reagisce con il permanganato per formare nitrato e manganese (II) e con il bicromato per formare nitrato e cromo (III). È utilizzato anche nella formazione dei sali di diazonio e come inibitore della corrosione.

Usi
I sali contenenti l’ione nitrito sono utilizzati in vari settori, inclusi l’industria alimentare per prevenire il botulismo, la produzione di coloranti e fertilizzanti, lo sbiancamento delle fibre tessili, come inibitore della corrosione, come antidoto per avvelenamento da cianuro e in campo medico per ridurre il dolore associato all’attacco di angina.

Legge di Lambert-Beer. Esercizi svolti, assorbanza, trasmittanza

Legge di Lambert-Beer: Esercizi svolti, assorbanza e

La legge di Lambert-Beer è fondamentale nell’analisi chimica quantitativa poiché stabilisce una relazione diretta tra l’estinzione e la concentrazione della sostanza disciolta. Quando una radiazione luminosa attraversa un mezzo trasparente, parte di essa viene riflessa e parte si rifrange nel mezzo. La diminuzione dell’intensità di questa frazione man mano che la radiazione si propaga è alla base della legge di Lambert-Beer.

Il rapporto tra l’intensità della luce incidente (Io) e l’intensità della luce che fuoriesce (I) definisce la trasmittanza del mezzo. Il logaritmo decimale del reciproco della trasmittanza prende il nome di estinzione o assorbanza: A = log /T = log Io/I.

La legge di Lambert-Beer stabilisce una proporzionalità diretta tra l’assorbanza e la concentrazione della specie assorbente, espressa dall’equazione A = log Io/I = abc, dove “a” rappresenta l’, “b” lo spessore della soluzione attraversato dalla radiazione e “c” la concentrazione della sostanza assorbente nella soluzione.

La linearità si verifica di solito in ristretti intervalli di concentrazione. La relazione lineare tra A e c non è sempre verificata al crescere della concentrazione, e ciò può portare a deviazioni dalla legge di Lambert-Beer con scarsa attendibilità del dato analitico.

Per determinare la concentrazione di una soluzione incognita, solitamente si costruisce una retta di taratura, dove vengono misurate l’assorbanza di a titolo noto al fine di determinare la concentrazione della soluzione incognita per interpolazione conoscendone l’assorbanza.

*Esercizi svolti*

1) Una sostanza mostra il massimo di assorbanza a 275 nm con ε275 = 8400 M-1 cm-1 e lo spessore della soluzione di 1 cm. Applicando la legge di Lambert-Beer si calcola la concentrazione della soluzione ottenendo c = 8.33 ∙ 10-5 M.

2) In una soluzione con 4 g/L di una sostanza e uno spessore di 2 cm, calcolando il e la luce trasmessa con una concentrazione di 8 g/L – si ottiene un ε di 0.0376 e una luce trasmessa pari al 25%.

3) Con un coefficiente di estinzione molare di 0.20 a 450 nm, una luce trasmessa del 40% e uno spessore di 2 cm, la concentrazione della soluzione risulta pari a 0.995.

4) Calcolando l’assorbanza e la percentuale di luce trasmessa con diverse concentrazioni di soluzione di citosina, si ottengono i valori corrispondenti.

5) Infine, una proteina con un coefficiente di estinzione molare di 16 e un’assorbanza di 0.73 su uno spessore di 0.5 cm porta a una concentrazione della soluzione di 0.091 g/100 mL.

Questi esercizi forniscono un’applicazione pratica della legge di Lambert-Beer e dimostrano il suo ruolo cruciale nell’analisi chimica quantitativa.

Dipendenza dal pH delle reazioni redox: equazione di Nernst

Dipendenza dal pH nelle reazioni redox e l’

Nel campo della chimica, la dipendenza dal pH nelle reazioni redox gioca un ruolo significativo quando sono coinvolte specie che contengono protoni o quando le reazioni avvengono in un ambiente acido. Alcune equazioni redox non mostrano dipendenza dal pH, come nel caso della semireazione di riduzione:
Br2 + 2 e → 2 Br.

Equazione di Nernst e la dipendenza del potenziale di riduzione dal pH


Applicando l’equazione di Nernst al potenziale di riduzione di una semireazione, si ottiene l’espressione E = E° – RT/nF ln pH2/ [H+]2. A temperatura ambiente e con R = 8.309 J ∙ K/mol, F = 96500 Coulomb/eq, e ln = 2.3 log, l’equazione risulta E = – 0.059/2( log /[H+]2) che, semplificata, diventa E = – 0.059 pH.

Dipendenza del potenziale standard di riduzione dall’ossigeno molecolare dal pH


Il potenziale standard di riduzione dell’ossigeno molecolare, come evidenziato dalle due , dipende dal pH. A pH più alto, diventa più difficile ridurre l’ossigeno molecolare ad H2O. Ciò suggerisce che l’ossigeno agisce come un migliore ossidante in condizioni acide.

Importanza del pH per gli


Il pH a cui operano gli ossidanti è di grande importanza e ne determina la forza ossidante. Ad esempio, il permanganato di potassio agisce come ossidante in soluzione acida, neutra e basica, ma esplica al meglio la sua azione in soluzione acida. Questa peculiarità è evidente dalla variazione dei potenziali normali di riduzione nelle diverse condizioni di pH.

Riscrivendo l’articolo in un formato più chiaro, condividerai informazioni importanti ruolo del pH nelle reazioni redox e sull’importanza dell’equazione di Nernst, garantendo un approccio strutturato che favorisce la comprensione del lettore.

Effetto idrofobico: forza delle interazioni idrofobiche

Forza delle Interazioni Idrofobiche: Caratteristiche e Dipendenze

L’effetto idrofobico è il fenomeno attraverso il quale le molecole non polari hanno la tendenza ad aggregarsi in una soluzione acquosa, escludendo le molecole di acqua. Tale comportamento fu scoperto da Walter Kauzmann durante i suoi studi sulla stabilità termodinamica delle proteine.

Le molecole idrofobe sono considerate caratterizzate spesso da una lunga catena di atomi di e con una bassa in acqua, una molecola polare. Le interazioni idrofobiche descrivono le relazioni tra l’acqua e le molecole idrofobe, come nel caso del miscuglio acqua-olio.

Quando una specie non polare entra in contatto con l’acqua, si verificherà la rottura dei legami a idrogeno preesistenti, e intorno alla specie apolare si formerà una sorta di gabbia con una ordinata, chiamata clatrato. Quest’ultimo è composto da inclusione, ed è caratterizzato dal recludere le molecole ospiti all’interno di una gabbia, formata dalle molecole ospitanti.

Aspetto Termodinamico

Secondo il , i fenomeni spontanei avvengono con un aumento del grado di disordine o dell’entropia, mentre in caso di effetto idrofobico si verifica una diminuzione dell’entropia (ΔS

Diagrammi ladder per equilibri di acidi deboli

Diagrammi ladder per equilibri di acidi deboli

I diagrammi ladder rappresentano uno strumento utile per visualizzare in modo semplice le specie prevalenti a un determinato pH in un equilibrio acido-base.

Il concetto si basa principio dell’ HA che si dissocia in soluzione acquosa secondo l’equilibrio: HA(aq) + H2O(l) ⇄ H3O+(aq) + A-(aq).

L’espressione della costante di equilibrio relativa a questo equilibrio è: Ka = [H3O+][A-] / [HA]. Attraverso i logaritmi, è possibile ottenere l’: pH = pKa + log [A-]/[HA].

Un esempio pratico può essere fornito considerando il valore di pKa di HF che è pari a 3.2. In base a diverse concentrazioni di F- e HF, è possibile calcolare il pH e determinare la specie chimica prevalente.

Il valore del pKa gioca un ruolo fondamentale: se il pH è maggiore del valore di pKa, la specie prevalente è la A-, mentre se il pH è minore del valore di pKa, la specie prevalente è l’acido debole HA.

Un diagramma ladder può essere costruito per rappresentare graficamente l’equilibrio acido-base di un determinato acido. Questo strumento consente di visualizzare in quale intervallo di pH una particolare specie chimica è prevalente.

Nel caso dell’acido acetico, con un pH pari a 4.76, è possibile costruire un diagramma ladder che illustra visivamente come variano le specie chimiche in funzione del pH.

Per acidi poliprotici come l’, con due costanti di dissociazione (K1 e K2), è possibile realizzare dei diagrammi ladder appositi che mostrano le transizioni tra le diverse specie chimiche in funzione del pH.

In conclusione, i diagrammi ladder sono uno strumento utile per comprendere e visualizzare le variazioni delle specie chimiche in un equilibrio acido-base in funzione del pH. La costruzione di tali diagrammi fornisce una chiara rappresentazione grafica delle relazioni tra pH e le specie chimiche coinvolte nell’equilibrio acido-base.

Sintesi del glicogeno: enzimi, meccanismo

Sintesi del glicogeno: e di sintesi

La sintesi del glicogeno avviene all’interno delle cellule del fegato e dei muscoli, dove il glucosio viene convertito in glicogeno, contribuendo così all’equilibrio glicemico.

Il glicogeno è un polimero ramificato del glucosio, caratterizzato dalla presenza di legami glicosidici α-(,4) e α-(1,6).

La sintesi del glicogeno inizia con il glucosio-6-fosfato, che deriva dalla fosforilazione del glucosio in posizione 6, catalizzata dalla chinasi, un enzima del gruppo delle .

Successivamente, il glucosio-6-fosfato si trasforma in glucosio-1-fosfato attraverso l’azione della fosfoglucomutasi, un enzima appartenente alla classe delle isomerasi.

L’UDP-glucosio, ottenuto dall’uridintrifosfato (UTP) e dal glucosio-1-fosfato, rappresenta il donatore di glucosio nella biosintesi del glicogeno. Tale reazione è catalizzata dall’enzima UDP-glucoso pirofosforilasi.

La glicogeno sintasi svolge un ruolo chiave nella sintesi del glicogeno, catalizzando il trasferimento del glucosio dall’UDP-glucosio ai residui terminali di glicogeno. Affinché avvenga la sintesi del glicogeno, è necessario un primer costituito dalla glicogenina, che catalizza l’autoglicosilazione di otto residui derivanti dall’UDP-glucosio.

Per la formazione di legami α-1,6 che rendono il glicogeno ramificato, è necessario l’intervento di un ulteriore enzima ramificante, che porta alla formazione del glicogeno ramificato. Questo è di fondamentale importanza non solo per la maggiore del glicogeno ma anche per aumentare la velocità della sintesi e degradazione del glicogeno.

In sintesi, il processo di sintesi del glicogeno coinvolge una serie di enzimi e reazioni biochimiche che portano alla formazione di una molecola essenziale per il mantenimento dell’equilibrio glicemico.

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