back to top
Home Blog Pagina 439

Abbronzanti artificiali: composizione

Composizione e Storia degli Abbronzanti Artificiali

Gli abbronzanti artificiali sono prodotti che inducono una colorazione simile all’abbronzatura in assenza dell’esposizione al sole. Queste sostanze non agiscono tramite o coloranti, ma i loro ingredienti attivi reagiscono chimicamente con gli amminoacidi dello strato corneo, come la tirosina, per formare un pigmento scuro. La profondità della colorazione dipende dalla composizione degli amminoacidi della pelle.

Dopo l’applicazione, che richiede da 3 a 5 ore per manifestare il colore, la tintura permane per 3-7 giorni e poi si dissolve gradualmente a causa del naturale ricambio dello strato corneo. La colorazione può essere intensificata con applicazioni successive entro certi limiti. È importante applicare il prodotto uniformemente sulla pelle pulita per ottenere un risultato uniforme e evitare la formazione di chiazze colorate.

A differenza dell’abbronzatura solare, l’abbronzatura artificiale non accelera l’invecchiamento della pelle. Tuttavia, per rimuoverla, sono necessari mezzi meccanici come la pietra pomice o l’. Le allergie possono derivare dagli additivi presenti, come sostanze profumate, anziché dai principi attivi.

I prodotti abbronzanti non offrono protezione dai danni causati dai raggi solari, a meno che non contengano agenti antisolari.

Storia e Composizione

Gli abbronzanti artificiali sono stati sviluppati negli Stati Uniti alla fine degli anni ’50 e introdotti nel mercato europeo nel 1960. Esistono in diverse forme, tra cui crema, gel a base acquosa, spray e acquose alcoliche. Tuttavia, le soluzioni acquose alcoliche possono comportare un rischio maggiore di macchie cutanee a causa dell’applicazione non uniforme.

Il principio attivo degli abbronzanti artificiali è il diidrossiacetone (DHA), che reagisce con i gruppi amminici liberi delle della pelle tramite la . Questa reazione forma una sostanza colorante marrone, ma può provocare una colorazione giallastra della pelle. Per prevenire questa situazione, vengono aggiunte al preparato altre sostanze che reagiscono con le proteine cutanee, formando altre sostanze coloranti.

Avvertenza sulle Implicazioni per la Salute

Un gruppo di studiosi dell’European Environment Agency ha lanciato un S.O.S. riguardo all’uso di tali prodotti, sostenendo che potrebbero interferire negativamente con la capacità riproduttiva, aumentando la probabilità di infertilità e favorendo la comparsa di alcune forme tumorali.

Spettroscopia: tipi e tabelle

Spettroscopia: principi e tipologie

La spettroscopia è una tecnica analitica che si occupa della misurazione e interpretazione degli spettri risultanti dall’interazione tra la radiazione elettromagnetica e la materia. Gli spettri ottenuti forniscono informazioni caratteristiche sulla natura dei composti presenti nel campione analizzato.

La meccanica quantistica ha stabilizzato che atomi e molecole possono esistere in stati con valori discreti di . Le grandezze misurate sono le differenze di energia tra due stati. Ad esempio, l’energia rotazionale e vibrazionale si applica alle molecole, mentre l’energia elettronica si può suddividere in energia di legame e energia di cuore interno.

La funzione d’onda del sistema è il prodotto della funzione d’onda elettronica e nucleare, e l’energia del sistema è la somma dell’energia elettronica e dell’energia nucleare. Questa è rappresentata dalle relazioni: ψ = ψe(qe)ψn(qn) e E = Ee + En, dove i pedici e e n si riferiscono rispettivamente agli elettroni e ai nuclei.

Dalle risoluzioni delle equazioni di Schrödinger si ottengono gli insiemi di valori discreti corrispondenti delle diverse forme di energia che caratterizzano le zone spettroscopiche.

Tipi di spettroscopia

In relazione alla natura della radiazione, esistono diversi tipi di spettroscopia. Le regioni spettroscopiche vengono denominate in base ai processi fisici corrispondenti. Ad esempio, la zona dei raggi γ riguarda transizioni nucleari, mentre quella dei raggi X e dell’ultravioletto o visibile coinvolge transizioni degli elettroni (atomiche o molecolari). Inoltre, i moti rotazionali e vibrazionali dei nuclei mostrano attività spettroscopica nelle regioni dell’infrarosso e delle microonde.

Tabelle delle regioni spettroscopiche

Nelle tabelle sono riportate le diverse regioni spettroscopiche, includendo la zona, il processo fisico, la regione spettrale (λ), la frequenza (ν), e l’energia corrispondente (eV). Per esempio, la radiazione nella regione dell’infrarosso deve essere attribuita essenzialmente alle vibrazioni dei nuclei, mentre quella nelle regioni dell’infrarosso lontano e delle microonde trae origine dalle rotazioni delle molecole.

Utilizzando l’accoppiamento di vari tipi di spettroscopia, è possibile ottenere analisi sempre più raffinate e precise, contribuendo così al progresso delle applicazioni analitiche in spettroscopia.

Paramagnetismo di Pauli: elementi del blocco s e p

Il di Pauli: come influisce sugli elementi del blocco s e p

Il paramagnetismo di Pauli si riferisce alla tendenza degli elettroni di conduzione presenti nei solidi metallici di allinearsi con un campo magnetico esterno. Questa proprietà è associata ai momenti permanenti generati dagli elettroni di conduzione, caratterizzando il fenomeno del paramagnetismo di Pauli.

Ciascun elettrone in un atomo possiede un momento angolare di spin e, tranne nel caso degli elettroni che occupano un orbitale s, un momento angolare orbitale. A questi momenti angolari sono associati un momento magnetico di spin e un momento magnetico orbitale, in virtù della carica elettrica dell’elettrone.

Nel contesto di un atomo polielettronico isolato, la presenza di elettroni spaiati nel livello più esterno genera un momento elettronico permanente, risultante dalla combinazione dei momenti magnetici di spin e orbitale. Questo comportamento è tipico degli atomi dei blocchi s e p.

Gli atomi isolati dei metalli alcalini, con configurazione elettronica ns1, e altri elementi con un numero dispari di elettroni, come idrogeno, azoto e gli alogeni, mostrano un momento magnetico di spin. Al contrario, gli atomi dei gas nobili, con configurazione elettronica esterna ns2, np6, sono sostanze diamagnetiche e non presentano momento magnetico di spin.

Nel caso di un insieme di atomi gassosi non interagenti, il movimento casuale dei dipoli magnetici associati a ciascun atomo, generato dall’agitazione termica, comporta l’assenza di un momento magnetico complessivo per la sostanza gassosa.

Nei blocchi d e f, gli elementi comportano propriamente diverso rispetto a quelli dei blocchi s e p, in quanto danno comunemente composti contenenti elettroni spaiati e quindi manifestano proprietà paramagnetiche. Tuttavia, allo stato elementare, presentano un magnetismo variabile e spesso indipendente dalla temperatura.

Ad esempio, il , il cobalto, il nichel e il gadolinio mostrano un comportamento ferromagnetico allo stato elementare, mentre gli atomi del gruppo IB e IIB sono diamagnetici. Queste differenze di comportamento possono essere correlate alla presenza di elettroni spaiati nel livello più esterno negli elementi s e p, e invece in orbitali di livello più interni negli elementi d e f.

Il paramagnetismo di debole intensità, indipendente dalla temperatura e chiamato paramagnetismo di Pauli, è visibile negli elementi d e f allo stato elementare. Tale fenomeno può essere spiegato mediante il modello a bande del legame metallico, in cui l’immersione della sostanza in un campo magnetico esterno porta a una variazione di dei due gruppi di livelli contenenti elettroni con spin diverso, generando un momento magnetico risultante di debole intensità.

Le differenze nei comportamenti magnetici degli elementi nei vari blocchi della tavola periodica sono affascinanti e offrono approfondimenti interessanti sulla natura e le proprietà dei materiali. Sebbene il tema sia complesso, le proprietà magnetiche dei vari elementi giocano un ruolo cruciale nella nostra comprensione della materia e nelle sue applicazioni pratiche.

Isomeria strutturale e sterica

Isomeria strutturale e isomeria stereoisomerica

L’isomeria, derivante dal greco ἰσομερής, composto di ἴσος, “uguale” e μέρος, “parte”, è un concetto utilizzato per descrivere composti con la medesima formula molecolare ma strutture chimiche diverse.

Le proprietà di una sostanza derivano dalla sua struttura molecolare, pertanto le molecole con diverse formule di struttura corrispondono a sostanze distinte. La formula di struttura individua l’unicità della molecola e le sue proprietà, mentre la formula bruta, da sola, non è in grado di distinguere tra sostanze diverse. Ad esempio, alla formula bruta C2H6O corrispondono due sostanze differenti, ovvero l’alcol metilico e l’etere dimetilico: CH3CH2OH e CH3OCH3.

In passato, la prima classificazione delle sostanze avveniva attraverso la formula bruta, poiché le conoscenze della struttura spaziale erano limitate e le principali informazioni derivavano dall’analisi elementare e dalla determinazione del peso molecolare.

Le sostanze con stessa formula bruta erano classificate come isomeri, indicando che le molecole avevano la stessa composizione, concetto ancora valido oggi, sebbene in molti casi il significato dell’isomeria si sia svuotato di rilevanza. La diversità delle formule di struttura evidenzia la completa diversità delle due sostanze, rendendo la classificazione degli isomeri di scarsa rilevanza in questo contesto.

Una classificazione comune distingue due :

1) Isomeria strutturale

2) Isomeria sterica

Isomeria strutturale

L’isomeria strutturale si verifica quando le formule di due sostanze presentano differenti raggruppamenti atomici. Al contrario, l’isomeria sterica o stereoisomeria si verifica quando due formule di struttura contengono gli stessi atomi disposti in modo spaziale diverso.

La notazione con formule di struttura ha reso ovvie le diverse forme di isomeria strutturale. Un esempio di questo concetto è rappresentato dall’alcol etilico e dall’etere dimetilico. Un altro esempio è il composto con formula bruta CrCl3H12O6 che può presentarsi sotto forma di cationi [Cr(H2O)6]3+ e tre anioni Cl-, oppure cationi [Cr(H2O)5Cl]2+, due anioni Cl- e una molecola di acqua di cristallizzazione.

Isomeria sterica

Di particolare interesse è l’isomeria sterica. Un tipo di isomeria sterica importante è l’isomeria geometrica cis-trans, ad esempio quella del cis-2-butene e del trans-2-butene. Nel caso del cis-2-butene, i due gruppi CH3 si trovano su vertici contigui, mentre nel trans-2-butene si trovano su vertici opposti. Affinché le due formule corrispondano a due diversi isomeri, è necessario che non vi sia possibilità di rotazione intorno al doppio legame.

Un altro esempio di stereoisomeria è l’isomeria ottica, che si verifica quando una molecola non è sovrapponibile alla sua immagine speculare. Le molecole di questo tipo sono denominate dissimmetriche o chirali. Coppie di isomeri ottici di questo tipo sono chiamate antipodi ottici.

Sono necessarie configurazioni non planari, dove un atomo è circondato da atomi o raggruppamenti atomici tutti diversi tra loro, affinché si verifichi questo fenomeno.

In conclusione, l’isomeria rappresenta un concetto fondamentale nel campo della , contribuendo a un’ulteriore comprensione della diversità e unicità delle molecole.

Orbitali molecolari: orbitali di legame e di antilegame

Orbitali molecolari: Legame chimico e antilegame

Il processo matematico chiamato sovrapposizione lineare degli orbitali atomici (LCAO) conduce alla formazione degli orbitali molecolari quando gli orbitali atomici si sovrappongono a un nuovo livello.

Un legame chimico avviene quando la forza di attrazione tra un elettrone e due nuclei supera la repulsione elettrostatica tra i nuclei. Si richiede che l’elettrone si trovi in una regione di spazio chiamata regione di legame.

Per visualizzare un orbitale molecolare, vengono considerati due atomi isolati con i rispettivi orbitali atomici, avvicinandoli fino a raggiungere una distanza internucleare corrispondente alla formazione di un orbitale molecolare.

Ad esempio, nell’ione H2+, composto da due nuclei di idrogeno, gli orbitali atomici 1s si fondono gradualmente in un orbitale molecolare avente la maggiore densità di carica tra i due nuclei.

L’orbitale risultante è un detto legame σ. Al contrario, un σ* si oppone al legame a causa della sovrapposizione fuori fase delle funzioni d’onda degli orbitali atomici.

Nel caso di un orbitale di antilegame, le regioni con maggiore probabilità di trovare l’elettrone non si uniscono, generando una regione di spazio equidistante dai due nuclei, in cui la probabilità di trovare l’elettrone è zero, noto come piano nodale.

Gli elettroni presenti in un orbitale di antilegame non contribuiscono alla formazione del legame, ma si oppongono ad esso.

L’ degli orbitali molecolari può essere correlata agli orbitali atomici da cui derivano attraverso i diagrammi M.O.

Nel caso dell’ione H2+, l’orbitale di legame viene riempito da un singolo elettrone, riducendo l’energia potenziale di una mole di coppie di nuclei di idrogeno. Nonostante la stabilità dall’energia potenziale, questa specie è particolarmente reattiva.

Nel caso della molecola H2, i due elettroni si posizionano nell’orbitale di legame, generando un pari a 1, corrispondente a un legame semplice.

Tuttavia, la molecola di He2, contenente quattro elettroni, non si forma in quanto l’ordine di legame risulta essere zero.

Estendendo il modello a atomi con elettroni nell’orbitale 2s, per la molecola Li2 si ottiene un ordine di legame pari a 1.

Analogamente, per la molecola eteronucleare LiH, viene formato un orbitale molecolare σ, mentre l’orbitale di antilegame σ* rimane vuoto, generando un ordine di legame pari a 1.

In conclusione, gli orbitali molecolari, sia di legame che di antilegame, giocano un ruolo fondamentale nella formazione e nella stabilità delle molecole.La può essere applicata anche agli atomi che possiedono elettroni negli orbitali p. Gli orbitali di tipo p, come px, py e pz, hanno una forma lobata e sono perpendicolari tra loro, a differenza degli orbitali di forma sferica. Quando un atomo con elettroni negli orbitali p si lega ad un altro atomo, si formano due orbitali: uno di legame σ e uno di antilegame σ*.

L’orbitale molecolare di legame presenta una elevata densità di carica elettrica nella regione tra i due nuclei, causando una diminuzione dell’energia potenziale. Dall’altro lato, nell’orbitale di antilegame, la densità di carica elettrica è lontana dalla regione internucleare, con una superficie a metà tra i due nuclei dove la probabilità di trovare l’elettrone è pari a zero.

La combinazione degli orbitali py e pz porta alla formazione degli orbitali molecolari π, i quali sono formati dalla sovrapposizione laterale di due orbitali p. Il legame risultante π si estende al di sopra e al di sotto del piano in cui è situato il legame σ, che unisce i due nuclei, con una massima densità di carica elettrica sopra e sotto il piano dei due nuclei.

Per quanto riguarda la molecola di O2, ciascun atomo di ossigeno ha una configurazione elettronica 1s2, 2s2, 2p4, quindi presenta in totale 2 + 4 elettroni nel guscio esterno. Questi elettroni vanno posizionati a partire dall’orbitale σ.

In sintesi, la teoria degli orbitali molecolari offre una descrizione dettagliata della formazione e della natura dei legami all’interno delle molecole, permettendo di comprendere meglio il comportamento dei composti molecolari e di applicarli in diversi contesti chimici.

Reazioni monomolecolari: cinetica, esempi

monomolecolari: cinetica e esempi

Le reazioni monomolecolari comportano la trasformazione di un singolo composto per produrre i prodotti di reazione:
A → Prodotti

Esempi
Tra gli esempi di reazioni monomolecolari troviamo le isomerizzazioni come:
CH3NC → CH3CN
Le decomposizioni a molecole stabili come:
C2H5Cl → C2H4 + HCl
E le decomposizioni di molecole stabili per formare come:
C2H6 → 2 CH3·

La molecola A deve essere attivata per avviare la reazione; in fase gassosa, questa attivazione avviene a causa delle collisioni con altre molecole, indicate generalmente con M. Quindi, la trasformazione può essere schematizzata come segue:
A + M K-1 ⇌ k1 A* + M
A* → k2 P
dove k1 è la costante di reazione diretta, k-1 è la costante di reazione inversa relativa al primo stadio e k2 è la costante di reazione relativa al secondo stadio.

Cinetica
La descrizione cinetica delle reazioni monomolecolari è stata formulata da Lindemann applicando l’ipotesi dello stato intermedio stazionario. Supponendo che la concentrazione dell’intermedio A* sia costante secondo l’approssimazione dello stato quasi stazionario, si può calcolare la velocità di formazione del prodotto P trovando la velocità di formazione e di consumo di A*.

Ad esempio, consideriamo la decomposizione del pentossido di diazoto che dà luogo alla formazione di diossido di azoto e triossido di azoto:
N2O5 → NO2 + NO3
Questa reazione avviene secondo due stadi:
2 N2O5 → N2O5* + N2O5
N2O5* → NO2 + NO3
Secondo l’approssimazione dello stato stazionario, la velocità di reazione è data da:
velocità = k2[N2O5*]2 / (k-1[N2O5] + k2)

In base a dati sperimentali, la velocità può essere del primo ordine rispetto alla concentrazione iniziale di N2O5 o del secondo ordine. Se k2 >> k-1, si può assumere che k-1 ≅ 0, quindi la velocità di reazione vale:
velocità = k1[N2O5*]2, indicando una cinetica del secondo ordine. Se, invece, k2

Radioisotopi in natura: nuclidi primordiali, cosmogenici e artificiali

Radionuclidi in natura: Primordiali, Cosmogenici e Artificiali – Cosa sono e come si formano

I radioisotopi, noti anche come radionuclidi, sono presenti in natura e si possono classificare in tre categorie principali:

1) Radionuclidi Primordiali

I radionuclidi primordiali si sono formati in epoche antiche e sono ancora presenti poiché il loro periodo di dimezzamento è così lungo che non si sono ancora decaduti. Questi sono presenti nella Terra, nelle rocce, nell’acqua e negli oceani. Ad esempio, l’uranio-235 ha un periodo di dimezzamento di 7.04 x 10^8 anni, mentre il potassio-40 ha un periodo di dimezzamento di 1.28 x 10^9 anni.

2) Radionuclidi Cosmogenici

Questi radionuclidi sono prodotti da interazioni di raggi cosmici. Ad esempio, il -14 ha un periodo di dimezzamento di 5730 anni, il trizio-3 ha un periodo di dimezzamento di 12.3 anni e il berillio-7 ha un periodo di dimezzamento di 53.28 giorni.

3) Radionuclidi Artificiali

Questi radionuclidi vengono prodotti artificialmente attraverso nucleari indotte. Ad esempio, l’iodio-131 ha un periodo di dimezzamento di 8.04 giorni, il cesio-137 ha un periodo di dimezzamento di 30.17 anni e il plutonio-239 ha un periodo di dimezzamento di 2.41 x 10^4 anni.

I radionuclidi sono molto utili per diverse applicazioni in vari campi scientifici e tecnologici.

Caratteristiche principali dei Radionuclidi

It is important to highlight that the radionuclides can be indicated by the symbol of the element preceded by a superscript in which the mass number (sum of protons and neutrons) of the radioactive isotope is indicated. For example, a radioactive isotope of hydrogen is indicated as ^3H. However, in some cases, it is preferred to indicate the isotope by preceding the element symbol with both its mass number and its atomic number (number of protons) in the bottom left. In this case, for the previous isotope, it is expressed as ^3_1H.

Conclusioni

La presenza di radionuclidi in natura riveste un’importanza fondamentale per una vasta gamma di applicazioni scientifiche, dall’archeologia all’ingegneria nucleare. Comprendere la formazione e le caratteristiche di questi radionuclidi è essenziale per valutarne l’impatto sull’ambiente e sfruttarne le potenzialità in modo sicuro e responsabile.

Cella elettrochimica: galvanica e di elettrolisi

Celle elettrochimiche: Tipi e funzionamento

Le celle elettrochimiche rappresentano dispositivi in grado di convertire l’ in energia elettrica, o di far avvenire non spontanee utilizzando energia elettrica per produrre energia chimica. Esistono due tipi principali di celle elettrochimiche: le celle galvaniche e le celle di elettrolisi.

Le celle galvaniche, come le batterie, rappresentano un esempio di come l’energia derivante da una reazione chimica possa essere convertita in energia elettrica. Dall’altra parte, le celle di elettrolisi, come nel caso dell’elettrolisi dell’acqua per produrre idrogeno e ossigeno gassosi, permettono di far avvenire reazioni non spontanee utilizzando energia elettrica.

In entrambi i tipi di celle, avvengono reazioni di ossidoriduzione in cui si verifica un trasferimento di elettroni tra le specie chimiche coinvolte, con una specie che perde elettroni (si ossida) e un’altra che li acquista (si riduce).

Componenti delle celle elettrochimiche

Una cella elettrochimica è composta da due semicelle, ciascuna delle quali contiene un elettrodo e un elettrolita, che possono essere simili o diversi tra le due semicelle. Le reazioni chimiche all’interno di una cella possono coinvolgere l’elettrolita, gli elettrodi o anche specie esterne, come nelle celle a combustibile.

Un ponte salino o un setto poroso viene utilizzato per garantire il contatto ionico tra le due e mantenere l’elettroneutralità, consentendo il passaggio di ioni da una semicella all’altra. Senza un ponte salino o un setto poroso, la reazione e il flusso di elettroni si arresterebbero.

Nelle celle galvaniche, si verifica un passaggio di elettricità in seguito a una reazione chimica spontanea.

Pila Daniell

Un esempio emblematico di cella galvanica è rappresentato dalla Pila Daniell, costituita da due semicelle. In una semicella, lo zinco si ossida, cedendo elettroni, e funge da polo negativo, mentre nell’altra semicella, avviene la riduzione del , che si comporta da polo positivo. Complessivamente, la reazione redox avviene tra lo zinco e i ioni rame.

Celle di elettrolisi

Nelle celle di elettrolisi, avviene una reazione non spontanea attraverso l’utilizzo di energia elettrica. Un esempio è rappresentato da una soluzione di HCl, in cui due elettrodi collegati a una batteria provocano la produzione di cloro e idrogeno.

In sintesi, mentre nelle pile l’energia chimica viene convertita in energia elettrica grazie a reazioni spontanee, nelle celle di elettrolisi sono le reazioni elettrodiche non spontanee a essere innescate dall’energia elettrica esterna.

Calcinazione e arrostimento: processi

Calcinazione e arrostimento nei processi metallurgici

I processi di arrostimento e di calcinazione sono fasi cruciali nel campo metallurgico, in quanto permettono di estrarre gli ossidi metallici contenuti nelle rocce, essenziali per la successiva riduzione e ottenere così il metallo puro.

La stragrande maggioranza dei metalli si trova in natura sotto forma di composti inorganici nei minerali, principalmente come ossidi, carbonati e solfuri, ad eccezione di alcuni come l’oro, il platino, il palladio, il rodio, il rutenio, l’iridio e l’osmio.

Processo di calcinazione

Nel processo di calcinazione, la roccia viene sottoposta a un trattamento termico per essere riscaldata in assenza di aria. Tale procedura mira ad eliminare i componenti volatili e indurre di decomposizione, come nel caso del carbonato di calcio e del triossido di bialluminio triidrato.

I carbonati di magnesio, manganese (II) e (II) si decompongono a temperature specifiche per dare i rispettivi ossidi, mentre i carbonati di e si decompongono a temperature inferiori ai 500 °C.

Processo di arrostimento

Il processo di arrostimento è utilizzato per trasformare i solfuri minerali nei rispettivi ossidi mediante trattamento ad alta temperatura in presenza di abbondante aria, generando anidride solforosa. Questo processo è particolarmente utile per i metalli reattivi come ferro, , piombo e rame, i quali si trovano nelle rocce sotto forma di carbonati e solfuri.

Ad esempio, il solfuro di zinco contenuto nella blenda è trasformato in ossido per arrostimento a 900 °C. Allo stesso modo, la preparazione del triossido di biarsenico e dell’arsenico si basa sull’arrostimento della arsenopirite FeAsS, mentre l’estrazione del mercurio avviene mediante arrostimento del cinabro HgS.

In conclusione, sia la calcinazione che l’arrostimento svolgono un ruolo cruciale nella metallurgia, consentendo di trasformare i composti metallici presenti nelle rocce in precursori che possono essere successivamente ridotti per ottenere il metallo puro.

pH e pOH: esercizi svolti

Il e il pOH: appunti e formule pratiche

La comprensione del pH e del pOH di una soluzione acquosa è essenziale per determinarne l’acidità o la basicità. Il processo di segue l’equilibrio H2O(l) ⇄ H+(aq) + OH(aq). La Kw è espressa come Kw = [H+][OH], con un valore di 1.0 ∙ 10-14 a 25°C. La dissociazione dell’acqua implica che la concentrazione di ioni H+ e ioni OH è la stessa, entrambe pari a x.

Quando si aggiunge un acido, la concentrazione di ioni H+ aumenta, mentre l’aggiunta di una base comporta un aumento della concentrazione di ioni OH. L’applicazione della scala logaritmica di Sorenson aiuta a determinare la relazione tra la concentrazione degli ioni e l’acidità o la basicità della soluzione.

Sorenson introdusse i concetti di pH e pOH, definiti rispettivamente come -log [H+] e -log [OH]. La somma del pH e del pOH di una soluzione è sempre pari a 14, permettendo la conversione tra i due valori.

Per calcolare la concentrazione di H+ noto il pH, si applica la formula [H+] = 10-pH. Allo stesso modo, per ottenere il valore di [OH], si può utilizzare la relazione [H+][OH]= 1.0 ∙ 10-14 o calcolare pOH = 14 – pH e quindi [OH] = 10-pOH.

L’analisi dei dati sperimentali consente di classificare la soluzione come acida quando [H+] > [OH] e basica quando [OH] > [H+]. La comprensione di questi concetti è cruciale per la pratica in laboratorio e per comprendere le proprietà delle acquose.

Diffusione nei solidi: leggi di Fick

Diffusione nei solidi: principi delle leggi di Fick

La diffusione nei materiali solidi rappresenta un processo mediante il quale i liquidi, i gas o altri solidi possono miscelarsi a livello atomico. La velocità di questo processo è fortemente influenzata dalla temperatura. A diverse temperature rispetto allo zero assoluto, gli atomi si trovano costantemente in movimento, indipendentemente dal loro stato di aggregazione. Poiché il movimento delle particelle è associato agli urti, la traiettoria di una singola particella è a zig-zag. Nella diffusione atomica o molecolare, la conduttività si riferisce alla diffusività o alla costante di diffusione, indicata con il simbolo “D”, e riflette la mobilità delle specie che diffondono in specifiche condizioni. Questi valori sono maggiori nei gas, minori nei liquidi ed estremamente bassi nei solidi.

Nel processo di diffusione, il flusso segue la relazione generale: Flusso = (conduttività)∙(forza trainante). La forza trainante per molti tipi di diffusione è dovuta al gradiente di concentrazione, che descrive la variazione di una determinata proprietà come funzione della distanza nella direzione dell’asse delle ascisse. I processi di diffusione possono essere suddivisi in stato stazionario e stato non stazionario.

La riguarda la diffusione sia nello stato stazionario che in quello non stazionario, mentre la seconda legge è relativa alla diffusione nello stato non stazionario. La prima legge di Fick afferma che il flusso diffusivo è proporzionale al gradiente di concentrazione, e viene espressa come J = -D(dc/dx). La costante di permeazione (K) è cruciale per determinare la velocità di diffusione in determinate condizioni.

La descrive il flusso di un dato materiale attraverso un volume, e la sua soluzione dipende dalle condizioni specifiche del sistema di diffusione. In sostanza, la diffusione nei solidi segue principi definiti dalle leggi di Fick, fornendo una base teorica per comprendere e quantificare questo importante fenomeno di trasporto.

Titolazioni di miscele di basi: esercizi svolti

Titolazioni di :

Le titolazioni di miscele di basi, come il sodio e il carbonato di sodio, presentano in genere due punti . In queste titolazioni, si utilizzano due indicatori che devono virare ad opportuni valori di pH. Ad esempio, si può titolare una soluzione contenente una miscela di due basi purché la K_b della base più forte sia almeno 10^4 volte maggiore rispetto alla K_b della base più debole.

Esercizio 1

Per neutralizzare completamente 25.0 mL di una soluzione di NaOH e Na_2CO_3 sono occorsi 25.0 mL di una soluzione 0.200 N di HCl usando come indicatore la . Un ugual misura di soluzione è stata titolata da 60 mL di HCl 0.100 N usando come indicatore il metilarancio. Calcolare le concentrazioni di NaOH e Na_2CO_3 presenti nella soluzione.

La titolazione dipende dall’indicatore usato. Se viene usato il metilarancio, l’acido cloridrico usato titolerà entrambe le basi. Se viene usata la fenolftaleina, essa titolerà l’idrossido di sodio e la metà del carbonato di sodio.

Detti x = m Eq di NaOH e y = m Eq di Na_2CO_3, le m Eq di HCl sono pari a 25.00 mL∙0.200 N = 5.00. Nella titolazione in cui si usa il metilarancio, l’acido titola sia NaOH che Na_2CO_3, pertanto: m Eq di HCl = m Eq di NaOH + Na_2CO_3, quindi 6.00 = x + y.

Risolvendo il sistema di due equazioni in due incognite, si ottiene x = 4.00 = m Eq di NaOH = 0.00400 eq e y = 10.0 – 2 ( 4.00) = 2.00 = m Eq di Na_2CO_3 = 0.00200 eq.

Le concentrazioni di NaOH e Na_2CO_3 sono rispettivamente 6.4 g/L e 4.24 g/L.

Esercizio 2

Una soluzione di Na_2CO_3 e NaHCO_3 avente volume di 25.0 mL è titolata con 40.0 mL di HCl 0.100 N usando come indicatore il metilarancio. Un ugual volume di tale soluzione è titolato da 15.0 mL di HCl 0.100 N usando come indicatore la fenolftaleina. Determinare le concentrazioni dei due sali presenti nella soluzione.

L’analisi dipende dall’indicatore usato. Se viene usato il metilarancio, l’acido cloridrico titolerà entrambe le basi. Se è usata la fenolftaleina, essa titolerà la metà del carbonato di sodio.

Le concentrazioni di Na_2CO_3 e NaHCO_3 sono rispettivamente 6.36 g/L e 3.36 g/L.

è in caricamento